CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 4637 del 9 marzo 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO – AVVOCATO – RIVALUTAZIONE – LIQUIDAZIONE DELLE SPESE PROCESSUALI – SUCCESSIONE DI TARIFFE PROFESSIONALI – ONORARI E DIRITTI
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Palmi, con sentenza n. 17171, dichiarava il diritto della I., bracciante agricola, ad ottenere la rivalutazione dell’indennità di disoccupazione percepita per gli anni dal 1990 al 1992, con condanna dell’INPS al pagamento delle somme dovute, oltre accessori di legge e delle spese di giudizio, liquidate in L. 152.000, di cui L. 102.500 per diritti, oltre IVA e CAP, con distrazione.
La Corte di Appello di Reggio Calabria – adita dalla ricorrente al fine di ottenere la riforma della sentenza di primo grado riguardo al capo relativo alla liquidazione delle spese processuali accoglieva parzialmente il ricorso, condannando l’INPS al pagamento delle spese processuali di primo grado liquidate in complessivi €158,16 (di cui € 5,16 per esborsi, €73,00 per diritti di procuratore ed €80,00 per onorari), oltre IVA e CAP, e compensava le spese del giudizio di appello.
La Corte di Cassazione, ricorsa dall’assicurata con sei motivi, rigettava il 2° motivo, accoglieva il 1°, il 3° ed il 4° motivo, dichiarava assorbiti il 5° ed il 6°, e rinviava la causa alla Corte d’appello di Catanzaro, anche per le spese, formulando il seguente principio di diritto: “il R.D. n. 1578 del 1933, art. 60 e la L. n. 794 del 1942, art. 4, si integrano tra di loro e autorizzano l’esercizio (motivato) da parte del giudice della facoltà di riduzione dei soli onorari di avvocati e motiverà, nella determinazione degli onorari ridotti e dei diritti facendo riferimento alla fascia di valore applicabile nella specie e, per quanto riguarda gli onorari, ai conseguenti minimi tariffari”.
Con ricorso depositato l’11.3.2010, la ricorrente riassumeva il giudizio, invocando la riforma della sentenza di primo grado in relazione alla liquidazione delle spese di primo grado nonché la condanna dell’INPS al pagamento delle spese degli ulteriori gradi del giudizio.
L’INPS, costituitosi, chiedeva il rigetto della domanda avversaria.
Con sentenza depositata il 26 marzo 2012, la Corte di merito, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palmi, rideterminava le spese di lite di primo grado in € 268,04, di cui € 178,17 per diritti ed il resto per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.a.p., da distrarsi; condannava l’INPS al pagamento delle spese del giudizio di appello, pari ad €522,05, di cui €178,22 per diritti ed il resto per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.a.p., da distrarsi; compensava per 16 le spese di legittimità, condannando l’INPS alla refusione dei restanti 56, liquidati in € 500,00, oltre spese generali, i.v.a. e c.a.p., da distrarsi; compensava per 1/3 le spese del giudizio di rinvio, condannando l’INPS alla refusione dei restanti 2/3, pari ad € 484,00, di cui € 321,00 per diritti, oltre spese generali, i.v.a. e ca.p., da distrarsi.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la I., affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria.
L’INPS ha depositato delega in calce al ricorso notificato.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione del d.m. n. 127/2004, con riferimento alla determinazione delle spese del giudizio di appello, oltre a vizio di motivazione per erroneità ed illogicità manifeste (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.).
Lamenta che le spese del giudizio di appello vennero liquidate sulla base della nota 4.6.02, allorquando il gravame venne deciso il 13.7.07 ed erano da tempo già entrate in vigore le tariffe professionali di cui al d.m. n. 127/2004, sostitutive delle precedenti di cui al d.m. n. 585/1994, mentre la liquidazione doveva avvenire con riferimento alle tariffe vigenti all’epoca della conclusione del giudizio. Evidenzia che il giudizio di appello si era svolto tutto nel vigore delle nuove tariffe professionali in quanto, pur proposto con ricorso del 4.6.02, la prima udienza era stata fissata per il 22.5.07, sicché la Corte di merito avrebbe dovuto liquidare le spese, tenuto conto dei minimi (quanto agli onorari), in € 740,00 per onorari ed €. 232,00 per diritti di procuratore (e non già, rispettivamente, in €522,05 ed €178,22).
Il motivo è solo in parte fondato.
Come dedotto dalla stessa ricorrente, in materia deve applicarsi il principio secondo cui in caso di successione di tariffe professionali, per determinare quale tariffa forense va applicata è necessario tenere distinte le diverse voci che compongono la parcella dell’avvocato e, cioè il rimborso delle spese giustificate (c.d. spese vive), i diritti e gli onorari di avvocato. I “diritti” sono il compenso per attività meramente formale (tradizionalmente propria della funzione di procuratore), cui corrisponde il criterio di determinazione in misura fissa. L’onorario” è il compenso per l’opera di carattere intellettuale prestata dall’avvocato. La sua determinazione varia da un minimo ad un massimo. Ora, gli onorari (diritti) di procuratore vanno liquidati alla stregua delle tariffe vigenti al momento delle singole prestazioni, le quali si esauriscono nell’atto stesso in cui sono compiute, mentre gli onorari di avvocato, in considerazione del carattere unitario dell’attività difensiva, devono essere liquidati in base alla tariffa in vigore nel momento in cui l’opera complessiva è stata condotta a termine, o l’attività difensiva si è esaurita, senza che sia dato utilizzare la più favorevole tariffa in vigore all’epoca della liquidazione del credito del difensore” (ex aliis, Cass. n. 25351/2011).
In applicazione del suddetto principio debbono ridursi gli onorari ed i diritti richiesti, inerenti le attività svolte ed esaurite precedentemente all’udienza di discussione, per le quali doveva essere applicata la tariffa professionale di cui al previgente d.m. n. 585/1994, risultando invece corrette le varie voci indicate per le attività svolte nel vigore del successivo d.m. n. 127/2004. Per l’effetto le somme dovute a tali titoli vanno determinate in € 685,35 per onorari, €. 218,78 per diritti.
2. – Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell’art. 60 r.d.l. n. 1578/1933, oltre a difetto assoluto di motivazione. Lamenta che la sentenza impugnata, con riferimento al giudizio di cassazione, compensò per 1/6 le spese, considerato che dei sei motivi proposti ne erano stati accolti solo cinque (laddove, ad avviso della ricorrente, le questioni proposte in Cassazione erano state solo due, entrambe accolte); che aveva attribuito solo gli onorari minimi (per la natura della controversia e la semplicità delle questione portate all’esame della Corte), dimezzando ulteriormente l’importo ottenuto ex art. 60 r.d.l. n. 1578/1933 (per la facile trattazione della causa).
Lamenta che il giudice avrebbe dovuto motivare tale duplice riduzione, laddove non era comprensibile che un giudizio dinanzi alla S.C., articolato in sei motivi, dovesse considerarsi di facile trattazione.
Il motivo è infondato.
La stessa ricorrente ammette, e risulta dagli atti, che i motivi del ricorso per cassazione furono sei e non due (in tesi integralmente accolti). Tale semplificazione è peraltro già di per sé dimostrativa della facile trattazione della controversia e della semplicità delle questioni, solo in parte accolte in sede di legittimità, che comunque il giudice di merito ha congruamente evinto dalla natura della controversia inerente la determinazione delle spese in controversia avente il valore di € 268,04 (come dedotto dalla stessa ricorrente a pag. 13 del ricorso).
3. – Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., dell’art. 60 r.d.l. n. 1578/1933 in relazione all’art. 392 c.p.c., oltre a difetto assoluto di motivazione, quanto alla determinazione delle spese nel giudizio di rinvio. Quanto alla compensazione lamenta che nella specie non vi era reciproca soccombenza, laddove essa derivava dall’accoglimento solo parziale della richiesta riliquidazione, come visto almeno in parte corretta, dovendosi qui evidenziare che l’attuale ricorrente non ha depositato le note spese richieste, in contrasto con l’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c.
Quanto alla riduzione degli onorari ex art. 60 r.d.l. n. 1578/1933, la ricorrente insiste per la non motivata “facile trattazione della controversia” di cui si è già detto, oltre che sull’inapplicabilità della norma, a suo avviso compatibile con il giudizio di merito, ma non con quello di rinvio, stante la sua natura “chiusa”, già delimitata dalla sentenza rescindente. Anche tale doglianza è infondata, dovendo il giudizio di rinvio certamente definirsi come giudizio di merito, sia pur delimitato dalla sentenza rescindente (cfr. Cass. 26.5.2015 n. 10854, Cass. 16.4. 2014 n. 8872, Cass. 7.5.2013 n. 10550).
4. – Il ricorso deve pertanto solo parzialmente accogliersi nei sensi di cui alla presente motivazione e come da dispositivo. Considerato l’accoglimento solo parziale del ricorso e l’esito complessivo della lite, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo in relazione al valore della controversia, debbono essere compensate per due terzi, con condanna dell’INPS al pagamento della residua parte, da distrarsi in favore del difensore della ricorrente, dichiaratosi anticipante.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie parzialmente il primo motivo di ricorso e rigetta i restanti. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna l’INPS al pagamento delle spese dei giudizio di appello in misura pari ad €. 685,35 per onorari, €. 218,78 per diritti, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. A.P. Condanna l’INPS al pagamento di un terzo delle spese del presente giudizio di legittimità, compensatele per due terzi, che liquida per l’intero in € 100,00 per esborsi ed €1.200,00 per compensi professionali, oltre spese generali ed accessori di legge, da distarsi in favore dell’avv. A.P.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, la Corte dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
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