CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 4655 del 9 marzo 2016
TRIBUTI – ACCERTAMENTI BANCARI – OPERAZIONI DI ADDEBITO E PRELEVAMENTO SU C/C – PRESUNZIONE DI RICAVI NON DICHIARATI – IMPUTAZIONE A REDDITO D’IMPRESA – ONERE A CARICO DEL CONTRIBUENTE DI PROVARE LA DIVERSA ORIGINE DEI PROVENTI TRANSITATI SUL CONTO CORRENTE BANCARIO
Osserva
La CTR di Roma ha accolto l’appello di D.F.S. – appello proposto contro la sentenza n. 219/05/2010 della CTP di Frosinone che respinto accolto il ricorso della D.F.- ed ha così annullato l’avviso di accertamento per IVA – IRPEF – IRAP per l’anno 2004 a mezzo del quale era stato recuperato a tassazione reddito di impresa derivante da ricavi non dichiarati e recuperata IVA ritenuta indetraibile, sulla scorta di accertamenti bancari effettuati sui conti correnti intestati alla D.F. medesima; i redditi accertati erano stati imputati all’esercizio di impresa avente ad oggetto “altre attività di servizi”, sul presupposto che l’attività di agricoltore diretto che la D.F. aveva dichiarato di esercitare non era risultata in alcun modo attiva, nel mentre la società “E. sas” (nella quale la D.F. era stata socia accomandataria) risultava cessata il 21.5.2002 e nel mentre l’attività di promotore finanziario (che la D.F. aveva iniziato in data 11.07.2006) non poteva considerarsi ancora attiva.
La predetta CTR ha motivato la decisione evidenziando che alla ricostruzione dei fatti operata dall’Agenzia (e cioè che la contribuente aveva sempre esercitato una attività di servizi, dapprima con lo schermo giuridico della “E. sas” e successivamente senza alcuno schermo ed in totale evasione d’imposta) si contrapponevano due elementi, e cioè il fatto che per le annualità antecedenti al 2004 la CTR Lazio aveva ritenuto infondato il quadro accusatorio riferito sia alla società che alla D.F. ed inoltre il fatto che per il 2004 l’Agenzia avesse attribuito alla D.F. ricavi, in precedenza imputati ad altro soggetto, senza che fosse stato riscontrato in sede di verifica alcun documento od elemento che potesse confortare la presunzione di svolgimento di una attività commerciale né da parte di E. sas né da parte della D.F. L’accertamento doveva considerarsi illegittimo anche per ulteriori ragioni: anzitutto (per quanto è possibile intendere da una frase mancante di senso compiuto) il fatto che si dovesse prendere in esame la documentazione prodotta in sede contenziosa dalla D.F. (senza l’ostacolo dell’omessa esibizione in sede di verifica) alla luce del fatto che la D.F. stessa aveva dovuto formulare apposita richiesta ad istituti bancari onde ottenere detta documentazione; inoltre, il fatto che le argomentazioni analiticamente prospettate dall’appellante e la documentazione di supporto consentivano di ritenere assolto all’onere di prova attribuito alla D.F. in ordine alle operazioni di “addebito/prelevamento”, così che la D.F. medesima aveva “dimostrato l’estraneità alle predette operazioni allo svolgimento di un’attività imprenditoriale di servizi”. Si tralasciano gli argomenti su cui si fonda il capo di decisione relativo al recupero dell’IVA ritenuta indetraibile, giacché sul punto la parte ricorrente ha espressamente dichiarato di fare acquiescenza.
L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
La contribuente si è difesa con controricorso.
Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 cpc – può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.
Infatti, con il secondo motivo di impugnazione (improntato alla violazione dell’art. 32 del DPR n. 600/1973; dell’art. 51 del DPR n. 633/1972 e degli art. 2697, 2727, 2728 cod civ) e con il terzo motivo di impugnazione (improntato alla nullità della sentenza per violazione degli art. 36 e 61 del D.Lgs. 546/1992 nonché dell’art. 132 cpc) -da esaminare preliminarmente rispetto al primo motivo, perché più liquidi e congiuntamente, perché strettamente correlati- la parte ricorrente si duole:
a) del fatto che il giudicante abbia attribuito decisiva rilevanza al difetto di elementi presuntivi circa l’avvenuto svolgimento di una attività commerciale, in tal modo invertendo in capo all’Amministrazione finanziaria l’onere della prova e per quanto l’Amministrazione medesima godesse del vantaggio di una presunzione legale (desumibile dai menzionati art. 32 e 51) in ordine alla natura delle movimentazioni bancarie identificate sui conti correnti intestati alla D.F., sicché altrettanto erroneo doveva considerarsi l’assunto del giudicante secondo il quale l’Amministrazione avrebbe dovuto preliminarmente dare la prova del fatto che la D.F. avesse esercitato una specifica attività d’impresa;
b) della obiettiva carenza nell’indicazione del criterio logico seguito dal giudicante ai fini di adottare il dispositivo di accoglimento dell’appello, alla luce del fatto che il medesimo giudicante si era limitato a formulare mere clausole di stile e puramente assertive a proposito della fondatezza dell’appello. I motivi appaiono entrambi fondati e da accogliersi (con assorbimento dei residui).
Da un canto, appare manifestamente violato il criterio logico di inversione dell’onus probandi normativamente imposto e che giova riassumere a mezzo del principio di diritto enunciato da Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25365 del 05/12/2007:”In tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, l’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; posto che, in materia, sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale, né è possibile ricorrere all’equità”.
Non vi è quindi onere da assolvere per l’Amministrazione né in tema di dimostrazione della riferibilità ad attività di impresa dei proventi emergenti da operazioni di conto corrente né in ordine al fatto stesso dell’esercizio di attività di impresa da parte del soggetto verificato, sul quale incombe – invece – l’onere di fornire la prova della diversa origine dei proventi transitati sul conto corrente bancario.
D’altro canto, gli argomenti utilizzati dal giudicante per -contraddittoriamente evidenziare il positivo assolvimento dell’onere di prova incombente sulla parte contribuente appaiono risolversi in mere formule prive di consistenza, ivi non individuandosi né il come né il perché detto onere possa ritenersi assolto e da dove risulti che sia stata dimostrata “l’estraneità …. allo svolgimento di una attività imprenditoriale di servizi”, sicché la motivazione si risolve —sul punto in una acritica condivisione delle tesi di parte appellante, in difetto di qualsivoglia esplicitazione dell’iter logico decisionale.
Pertanto, si ritiene che il ricorso – in riferimento ai motivi secondo e terzo – possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza, con conseguente rimessione della lite al giudice del merito affinché -sul presupposto del passaggio in giudicato della statuizione relativa alla ritenuta in detraibilità dell’IVA – rinnovi l’esame delle censure di appello in ordine alle residue questioni controverse.
Ritenuto inoltre:
che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Lazio che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.
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