CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 4775 depositata il 11 marzo 2016
TRIBUTI – SANZIONI TRIBUTARIE – VIOLAZIONI RIFERITE A SOCIETA’ – RIFERIBILITA’ ESCLUSIVA A CARICO DI SOCIETA’ O ENTE CON PERSONALITA’ GIURIDICA DELLA SANZIONI RELATIVE AL RAPPORTO FISCALE – REGIME TRANSITORIO – APPLICABILITA’ A VIOLAZIONI CHE, ALLA DATA DEL 2 OTTOBRE 2003, NON SIANO STATE ANCORA CONTESTATE O LA SANZIONE IRROGATA
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza n. 95/44/13 la Commissione Provinciale di Milano accoglieva i ricorsi riuniti proposti da (…) avverso l’avviso di accertamento n. T9B03IE03094/2012 per IVA, IRES ed IRAP per l’anno di imposta 2005 ed il provvedimento di irrogazione sanzioni n. (…) per IVA, IRES ed IRAP per la medesima annualità, con i quali l’Agenzia delle entrate lo aveva chiamato a rispondere quale coautore delle violazioni della società ICER SRL nei cui confronti, dopo aver rideterminato gli imponibili, venivano accertate maggiori IVA per €.479.140,00, IRES per €.571.951,00 ed IRAP per €.73.958,00, con l’irrogazione di sanzioni di €.857.926,50, anche a titolo di autonoma contestazione.
Il primo giudice aveva ritenuto fondata l’eccezione del ricorrente secondo cui allo stesso non potevano essere addebitate le imposte evase da una società di capitali, dotata di personalità giuridica.
2. L’Agenzia delle entrate proponeva appello, accolto dalla Commissione Regionale della Lombardia con la sentenza n. 2641/2014, depositata il 21.05.2014 e non notificata.
3. Il giudice di secondo grado premetteva che i fatti storici rappresentati nel pvc e nell’avviso di accertamento ed ascritti al ricorrente in relazione alla ICER SRL non risultavano essere stati contestati dal (…) quindi, dopo averli ripercorsi in dettaglio, concludeva sostenendo che “il ricorrente , grazie alle sue conoscenze tecnicocontabili e fiscali, è risultato essersi ingerito nella gestione funzionale e nella direzione operativa di diverse società edili al fine di consentire loro – e, con esse, a coloro che ne erano gli effettivi partecipi, e cioè, per quanto riguarda la ICER, tale (…) dal 2003 al 2007, e tali (…) dal 2007 al 2009 (…) al fine di trarre indebito profitto per l’omesso versamento di tributi e contributi previdenziali, con il connesso guadagno personale anche a titolo di compensi per l’attività svolta con l’utilizzo di vari studi, tutti riconducibili alla sua persona”. Sulla scorta di ciò affermava la personale responsabilità del ricorrente, in solido con la ICER, relativamente ai tributi, sanzioni e interessi dovuti con riferimento al rapporto giuridico di imposta solo formalmente intestato alla società, di cui, in realtà il ricorrente tesseva concretamente le fila, promuovendo e rafforzando negli altri partecipi il disegno criminoso, e risultando esserne stato uno degli amministratori di fatto e, anche a titolo di coautore delle violazioni commesse dalla società, in quanto promotore, organizzatore ed artefice del disegno fraudolento concretizzatosi nei modi sopra esposti.
Confermava anche la sanzione a titolo di concorso, di cui all’art. 9, comma 1, primo periodo, del DLGS n. 472/1997. Secondo la Commissione ciò non costituiva un’eccezione al principio di personalizzazione, in quanto in capo al ricorrente era posta anche un’obbligazione autonoma di carattere civile, e cioè la responsabilità solidale con la società per le imposte e sanzioni da questa dovute, da non confondere con la sanzione irrogata giustamente con l’atto di contestazione, sicché non si era verificata alcuna duplicazione d’imposta, erroneamente lamentata dal ricorrente.
Riteneva inoltre applicabile al caso di specie la disciplina del raddoppio dei termini prevista dall’art.43 del DPR n.600/1973, in ragione della rilevanza penale dei fatti contestati nel corso delle attività ispettive in relazione al proc. pen. n. 15079/2010, aperto dalla Procura presso il Tribunale di Brescia.
4. Il ricorrente.per cassazione (…) si affida a sette motivi, corroborati da memoria ex art.378 c.p.c.. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 57 del DLGS n. 546/1992, nonché dell’art. 112 c.p.c. (artt. 62 del DLGS n. 546/1992 e 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), sostenendo che l’Ufficio in appello aveva indebitamente integrato le ragioni, di fatto e di diritto, poste a fondamento giustificativo degli atti impugnati e la CTR non solo aveva disatteso la eccezione di novità e di inammissibilità di tali domande, ma le aveva accolte, pronunciando oltre i limiti della pretesa sanzionatoria contenuta negli atti impugnati con ultrapetizione.
Nella prospettazione della parte privata, l’Ufficio, con il gravame, aveva sostanzialmente modificato il petitum e la causa petendi originari, sicché la responsabilità personale per sanzioni imputata al coautore delle violazioni era stata trasformata in responsabilità, in proprio o in solido con la ICER, per imposte e sanzioni imputate all’amministratore di fatto ed al consulente-coautore delle violazioni.
A parere del ricorrente, la CTR non aveva considerato che attraverso il gravame l’Ufficio aveva fatto valere una pretesa fiscale diversa (e cioè l’imputazione al (…) delle imposte facenti capo alla ICER SRL), rispetto a quella contenuta negli atti impugnati, ove – a suo dire- erano richieste solo le sanzioni ex art. 9 del DLGS n. 472/1997, ed un titolo della pretesa fiscale diverso.
1.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.73 del TUIR, dell’art.3 del DLGS n. 446/1997, degli artt. 1 e 17 del DPR n. 633/1972, nonché dell’art. 2462 cc (artt. 62 del DLGS n. 546/1992 e 360, comma 1, n.3, c.p.c.), sostenendo che la Commissione aveva errato per aver imputato a (…) una responsabilità personale, nonché in solido con la ICER, per i tributi IVA, IRAP ed IRES dell’anno 2005, esclusivamente imputabili alla ICER, società dotata di autonomia patrimoniale perfetta, non in stato di liquidazione e, dunque, unico soggetto a poter essere chiamato a rispondere dei propri debiti tributari, per cui mancavano i presupposti di legge per richiedere, a qualunque titolo, al ricorrente le imposte esclusivamente imputabili alla persona giuridica ICER SRL.
A parere del ricorrente l’Ufficio aveva emesso l’accertamento nei confronti della ICER, notificandolo ai suoi legali rappresentanti , nonché allo stesso (…) semplicemente in qualità di “coautore della violazione”: ne deduceva che, con tale atto le imposte erano state richieste solo alla ICER, mentre a (…) era stata applicata (anche se erroneamente) solo la sanzione prevista dall’art. 9 del DLGS n. 472/1997.
Sostiene quindi di avere eccepito nel corso del giudizio di primo grado la propria oggettiva ed assoluta estraneità alle violazioni contestate alla ICER con specifico riferimento all’anno di imposta 2005, negando e contestando ogni addebito; afferma che i giudici di primo grado avevano negato che il (…) fosse coautore delle violazioni, escludendone la responsabilità per le sanzioni e, andando oltre, avevano anche affermato che allo stesso, carente di legittimazione passiva, non potevano essere addebitate le imposte dalla ICER SRL, società dotata di personalità giuridica con propri rappresentanti di fatto o di diritto.
Argomenta quindi che l’Ufficio, nel proporre l’appello aveva cambiato la propria linea difensiva costruendo il proprio unico motivo principalmente sulla pretesa violazione dell’art.62 del DPR n.600/1973, secondo cui all’amministratore di fatto può essere attribuita la rappresentanza della società a fini tributari, favorendo così una fuorviante ricostruzione dell’operato dello stesso (…) nel tentativo di estendere al medesimo, anche ai sensi dell’art. 36 del DPR n.602/1973, la responsabilità imputabile invece esclusivamente alla ICER ex art. 2462 cc.
1.3. Con il terzo motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 37 del DPR n. 600/1973, nonché degli artt. 2462 e 2797 cc, (artt. 62 del DLGS n. 546/1992 e 360, comma 1, n.3, c.p.c.) sostenendo che la Commissione nell’affermare la responsabilità del ricorrente, relativamente ai tributi, sanzioni ed interessi “con riferimento al rapporto giuridico d’imposta solo formalmente intestato alla società” (fol.3 della sentenza) aveva errato nel qualificare il ricorrente come soggetto interponente rispetto al rapporto di imposta, imputabile esclusivamente alla ICER SRL, perché mancavano i presupposti di legge e perché non vi era alcun fondamento probatorio.
Secondo il ricorrente la statuizione appare viziata da ultrapetizione e rappresenta una invenzione processuale del giudice di appello, perché l’Ufficio, a partire dal pvc della G. di F., nell’avviso di accertamento, nell’atto di contestazione ed anche nell’atto di appello non aveva mai sostenuto la responsabilità del (…) per interposizione fittizia, né lo aveva qualificato come socio di fatto, ma lo aveva ritenuto co-autore delle violazioni. A suo parere la sentenza era viziata da ultrapetizione per aver imputato al (…) per effetto di tale travisamaneto dei fatti, una responsabilità personale, nonché in solido con la ICER, esclusivamente imputabile alla società di capitali, dotata di autonomia patrimoniale perfetta.
1.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio consistente nella denunciata assenza di specifici addebiti in capo al ricorrente relativamente all’esercizio 2005 (artt. 62 del DLGS n. 546/1992 e 360, comma 1, n.5, c.p.c.).
Secondo il ricorrente gli atti impositivi impugnati non contenevano addebiti, né tanto meno riferimenti fattuali ad elementi di prova a carico del ricorrente che consentissero l’estensione al medesimo di qualsivoglia responsabilità, per imposte e/o sanzioni, con riferimento all’anno 2005 e non vi era alcun passaggio della sentenza di appello che riferiva e contestualizzava all’anno 2005 gli addebiti – a suo dire – genericamente ed indirettamente, nonché erroneamente, rilevati a carico del ricorrente per il periodo novembre 2007/giugno 2009, nonostante la specifica doglianza sollevata sia in primo che in secondo grado.
1.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art.62 DPR n.600/1973, dell’art.36 DPR n.602/1973, dell’art.112 c.p.c., nonché degli artt. 2462 e 2697 cc; mancanza dei presupposti di legge e difetto di prova per qualificare il ricorrente amministratore di fatto di ICER ed estendere al medesimo, in tale veste, la responsabilità per imposte e sanzioni esclusivamente imputabili alla ICER SRL (artt. 62 del DLGS n. 546/1992 e 360, comma 1, n.3, c.p.c.).
Sostiene il ricorrente che i giudici di appello avevano errato per ultrapetizione nell’attribuire al medesimo (…) la veste giuridica di amministratore di fatto della società ICER – in luogo di quella sua propria di consulente della società medesima – senza che tale tesi fosse stata mai sostenuta dall’Ufficio e senza averne essi titolo giurisdizionale e comunque senza riscontro probatorio, imputandogli una responsabilità che, invece, era solo della società.
1.6. I motivi dal primo al quinto sono tutti inammissibili e vanno respinti.
1.7.1. I motivi primo, terzo e quinto sono inammissibili per le seguenti plurime ragioni.
1.7.2 Invero in tutti i casi la critica per ultrapetizione, portata alla sentenza, non risponde all’archetipo del vizio, dedotto ai sensi dell’art.360, comma 1, n.3, c.p.c., mentre avrebbe dovuto essere formulato ai sensi dell’art.360, comma 1, n.4, c.p.c..
1.7.3. Inoltre le denunce si palesano contraddittorie perché ciascun unico motivo espone vizi di extrapetizione e vizi di violazione di legge, tra loro inconciliabili.
Infatti, il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” e “causa petendi”) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), nel caso di specie una pretesa fiscale per tributi, oltre che per sanzioni, sulla scorta a) della qualifica di “amministratore di fatto” e b) sull’accertamento di una interposizione nel rapporto di imposta societario – a dire del ricorrente – la prima non contestata dall’Amministrazione finanziaria con gli atti impugnati, ma solo tardivamente con l’atto di appello, in luogo di quella di “coautore delle violazioni”, e la seconda addirittura frutto di invenzione processuale del giudice di appello (fol. 30 del ricorso).
Invero il vizio di ultrapetizione implica che il giudice pronunci oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato (Cass. 15882/2007; 13866/2014), mentre il vizio di violazione di norme di diritto suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma (Cass. n. 19433/2011; 8315/2013).
Nel caso di specie, il ricorrente contemporaneamente censura l’extrapetizione e la violazione di legge, censure queste del tutto inconciliabili tra loro e pone una serie di questioni circa la ricostruzione dei fatti operata dalla Commissione Regionale, che sembrano sollecitare, inammissibilmente, anche un riesame del merito.
1.7.5. Sotto un ulteriore profilo, le censure risultano assertive e difettano, altresì, di autosufficienza, poiché il ricorrente omette di riportare, nei loro esatti termini, e non genericamente, ovvero con estrapolazioni stringate o per riassunto, gli atti amministrativi (pvc, avviso di accertamento, atto di contestazione), l’atto di appello e le difese svolte in secondo grado, in maniera ampia e sufficiente a valutare la fondatezza delle doglianze e la loro decisività (cfr., ex plurimis, Cass. 6055/2003; S.U. 15781/2005; 16752/2006; 5344/2013) in ottemperanza del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, che deve consentire al giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli dal corretto svolgersi dell’iter processuale.
1.7.6. In particolare va rimarcato che la mancanza di autosufficienza di questi tre motivi, circa la novità della domande formulata con l’appello dall’Ufficio, con riferimento alla qualificazione giuridica del (…) quale amministratore di fatto, è enucleabile dalla stessa sentenza impugnata, ove nel riferire il contenuto della decisione dei primi giudici è detto “Con la sentenza suindicata la CTP (….) ha ritenuto di accogliere l’eccezione del ricorrente (…) avendo ritenuta contraddittoria e priva di elementi probatori certi la costruzione dell’Ufficio di attribuzione al ricorrente della qualità di amministratore di fatto della ICER nei cui confronti, di conseguenza, in tale veste e quale coautore delle violazioni contestate, è iniziata l’azione di ripresa e sanzionatoria dell’Ufficio” (fol.2 della sentenza impugnata). Orbene tale passaggio – che contraddice in modo palese l’assunto circa la novità dei motivi di appello, perché dà atto che il tema dell’amministratore di fatto era stato anche già esaminato dai primi giudici, anche se questi avevano ritenuto carente la prova – non solo non è stato impugnato, ma viene del tutto ignorato nell’articolazione del ricorso per cassazione, confermando la mancanza di autosufficienza dei motivi stessi.
1.8.1. Anche i motivi secondo e quarto sono inammissibili.
1.9.1. Il secondo motivo contiene alcune affermazioni che confliggono con quanto accertato in fatto della Commissione, senza tuttavia proporre espressa censura sul punto.
1.9.2. In particolare la CTR ha affermato, sulla scorta della sentenza della CTP, che i fatti, rappresentanti nel pvc e nell’avviso di accertamento ed emergenti anche da numerose dichiarazioni acquisite agli atti, non erano stati contestati dal (…) in primo grado (fol.2 della sentenza); quindi nell’evidenziare la contraddittorietà della sentenza di primo grado ha rilevato (riportandone anche alcuni passaggi) che questa sentenza, pur negando che il (…) avesse il ruolo di amministratore di fatto, aveva riconosciuto che era stato accertato in modo inequivocabile che lo stesso ” “sia stata la mente dell’operazione di evasione attraverso diversificate e mutevoli operazioni finanziarie” e che ciò “non era stato contestato neppure dallo stesso ricorrente”, e, da ultimo, afferma “che non è legittimo addebitare allo stesso le imposte evase in presenza di una società di capitali, con propri organi legittimi ai quali e alla quale vanno imputati gli effetti degli atti evasivi”.” (fol, 3 della sentenza impugnata), escludendo quindi la responsabilità del (…) solo in ragione della autonomia giuridica della società di capitali.
1.9.3. Ciò contrasta con quanto sostenuto dal ricorrente, circa l’aver eccepito nel corso del giudizio di primo grado la propria oggettiva ed assoluta estraneità alle violazioni contestate alla ICER anche con specifico riferimento all’anno di imposta 2005, e con l’interpretazione dallo stesso proposta della sentenza di primo grado, quando asserisce che i giudici di primo grado avevano negato che egli fosse coautore delle violazioni (v. sub 1.2.).
1.9.4. Sulla scorta di queste contraddittorie emergenze, sembra che il motivo si fondi su una ricognizione della fattispecie concreta non coincidente con quella che si evince dalla sentenza impugnata e ciò rende evidente la carenza di autosufficienza del motivo: invero i numerosi riferimenti ai diversi atti del giudizio (ricorso originario, sentenza di primo grado, atto di appello e difese svolte in secondo grado) sono proposti alternano sintetiche estrapolazioni ad interpretazioni di parte, che non ne consentono un vaglio adeguato e che non offrono lumi circa le evidenziate contraddizioni, rilevabili dalla lettura della sentenza impugnata e sulle quali il ricorrente nulla dice.
1.9.5. Va in proposito ricordato che “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (Cass. n. 4178/2007; cfr. n. 8315/2013).
1.9.6. Nel caso in esame il ricorrente, oltre che adempiere ai suoi oneri in tema di autosufficienza, avrebbe dovuto, anche contestare la valutazione delle risultanze di causa in merito a quanto già accertato dalla CTP, e posto dalla CTR a base del proprio sviluppo motivazionale, ma non lo ha fatto in maniera adeguata nemmeno con il quarto motivo.
1.10.1. Anche il quarto motivo, l’unico proposto come vizio motivazionale, è inammissibile.
Con questo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio consistente nella denunciata assenza di specifici addebiti in capo al ricorrente relativamente all’esercizio 2005.
1.10.2. La censura difetta di autosufficienza, poiché il ricorrente ha omesso di indicare e di trascrivere, nel ricorso per cassazione, l’atto difensivo o i verbale di udienza nei quali l’eccezione suindicata sarebbe stata proposta, onde consentire alla Corte di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività (cfr., ex plurimis, Cass. 6055/2003; S.U. 15781/2005; 16752/2006; 5344/2013; 7525/2015).
Invero come già rilevato sub 1.9.2. la sentenza impugnata riferisce che la Commissione di primo grado aveva affermato che (…) non aveva contestato i fatti rappresentati nel pvc e nell’avviso di accertamento relativo proprio all’anno 2005, e da ciò parte per procedere alla disamina degli elementi probatori ed alla qualificazione giuridica dei fatti. Tale passaggio motivazionale, del tutto ignorato dal ricorrente, rende ancor più evidente la parzialità ed insufficienza degli elementi fomiti dal ricorrente a sostegno del suo assunto, che sembra addirittura connotarsi di novità, e ne impone il rigetto.
2.1. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione falsa applicazione dell’art.7 del DL n. 269/2003, degli artt. 5, 9 e 11 del DLGS n. 472/1997, nonché dell’art.2697 cc ; inapplicabilità e comunque non duplicabilità in capo al ricorrente delle sanzioni in quanto esclusivamente imputabili alla ICER SRL ed ai suoi legali rappresentanti ( artt. 62 del DLGS n. 546/1992 e 360, comma 1, n.3, c.p.c.).
Sostiene il ricorrente che la CTR ha errato nel ritenere applicabile la sanzione in concorso ai sensi dell’art.9 del DLGS n. 472/1997.
2.2. Il sesto motivo è fondato e va accolto.
2.3. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare il DL n. 269/2003, art. 7, comma 1, (conv. nella L. n. 326/2003) pone in via esclusiva a carico di società o enti con personalità giuridica le sanzioni relative al rapporto fiscale, prevedendo espressamente, al comma 3, che alla situazioni previste dalla norma non sono più applicabili le regole del DLGS n. 472/1997, ed in particolare non è più applicabile la responsabilità solidale a carico dell’amministratore (anche di fatto – secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale formatosi nel vigore della precedente disciplina) prevista dall’art. 11 di detto decreto.
La disposizione di diritto transitorio di cui all’art. 7, comma 2 del menzionato decreto ha poi statuito che la nuova disciplina non ha efficacia retroattiva e si applica, qualora le violazioni siano contestate o le sanzioni irrogate, posteriormente alla data di entrata in vigore del menzionato decreto. Orbene, nel caso di specie risulta che l’atto di contestazione, contenente la specifica contestazione delle stesse sanzioni addebitate alla ICER in sede di accertamento, fu notificato al ricorrente (…) il 28 agosto 2012, e quindi in data successiva all’entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003, conv. nella L. n. 326 del 2003. Da ciò discende che deve affermarsi l’applicabilità della nuova disciplina al caso di specie (cfr. Cass. n. 13730/2015, 25993/2014).
3.1. Con il settimo motivo il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art.43, comma 3, del DPR n.600/1973 e dell’art.57, comma 3, del DPR n.633/1972 in combinato disposto con l’art.20 del DLGS n. 472/1997; inapplicabilità al periodo di imposta 2005 del raddoppio dei termini di accertamento ai fini delle imposte 1RES ed IVA e – in ogni caso – dell’IRAP, per mancanza dei presupposti di legge. Intervenuta decadenza ai fini dell’applicazione delle sanzioni di cui all’atto di contestazione ( artt. 62 del DLGS n. 546/1992 e 360, comma 1, n.3, c.p.c.).
A parere del ricorrente la CTR aveva errato nel ritenere sussistenti i presupposti per il raddoppio dei termini di accertamento perché l’indagine penale alla quale aveva fatto riferimento (Proc. n. 15079/2010) aveva riguardato solo il periodo dal novembre 2007 al giugno 2009 e non l’annualità 2005, inoltre non risultava promossa alcuna azione penale nei confronti del (…) ancora tale normativa, essendo entrata in vigore il 04.07.2006, non poteva essere applicata retroattivamente al periodo di imposta precedente (2005); ad ogni modo la Commissione aveva errato nell’applicare il raddoppio dei termini al l’accertamento dell’IRAP, tributo per il quale non era previsto.
3.2. Il settimo è fondato e va accolto per quanto di ragione, limitatamente alla contestazione per IRAP.
3.3. Va infatti affermato, conformemente a quanto sostenuto dal ricorrente che la disciplina introdotta dall’art.37 del DL n.233/2006, come successivamente convertito, non si applica agli accertamenti relativi all’IRAP.
3.4.1. Per il resto il motivo va respinto in quanto inammissibile ed infondato.
3.4.2. In merito ai profili di doglianza relativa all’annualità alla quale si riferirebbero le indagini penali ed al collegamento delle stesse a (…) va osservato che gli stessi non integrano una violazione di legge, ma censurano l’accertamento in fatto compiuto dalla CTR chiedendone una rivalutazione nel merito, inammissibile in sede di legittimità.
3.4.3. Quanto alla doglianza fondata sulla dedotta irretroattività della norma che ha disposto il raddoppio dei termini, ne va dichiarata l’infondatezza. Invero sul punto va ricordata la sentenza n.477 del 2011 della Corte Costituzionale, che nel respingere diverse questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito alla normativa in esame, ha chiarito che la disciplina del raddoppio dei termini non può considerarsi lesiva del principio di irretroattività della legge ed ha precisato che il raddoppio dei termini non si applica solo “alle violazioni tributarie per le quali, alla data di entrata in vigore del decreto (4 luglio 2006), fosse già decorso il termine di accertamento previsto dalla normativa anteriore”, circostanza che non ricorre nella fattispecie in esame, relativa all’anno di imposta 2005.
4.1. Conclusivamente, il ricorso va accolto sul sesto motivo e sul settimo motivo, limitatamente all’IRAP, inammissibili tutti gli altri; la sentenza impugnata va cassata nei limiti dei motivi accolti e, decidendo nel merito, il ricorso originario va accolto negli stessi limiti.
4.2. Le spese del giudizio di legittimità e quelle delle fasi di merito sono compensate per la complessità delle questioni proposte ed il parziale accoglimento.
4.3. Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115 del 2002, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.
P.Q.M.
– accoglie il ricorso sul sesto motivo e sul settimo motivo, limitatamente all’IRAP, inammissibili tutti gli altri;
– cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario negli stessi limiti;
– compensa le spese del giudizio per le fasi di merito e per la fase di legittimità;
– dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115 del 2002, della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.