CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 4814 del 11 marzo 2016
LAVORO – PREVIDENZA – PERSONALE DIPENDENTE DELLA REGIONE – PEREQUAZIONE DELLA RETRIBUZIONE DI ANZIANITA’ – CONTRATTAZIONE COLLETTIVA – CRITERI DI RIPARTO FRA LEGISLATORE STATALE E REGIONALE
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Pescara accoglieva la domanda proposta da V.M. nei confronti della Regione Abruzzo e dichiarava il suo diritto alla perequazione della retribuzione individuale di anzianità a quella percepita da altri dipendenti inquadrati in pari ruolo a norma degli articoli 1 della L.R. Abruzzo n. 16 del 2008, 43 della L.R. Abruzzo n. 6 del 2005 e 1 della L.R. Abruzzo n. 118 del 1998 fino all’abrogazione sopravvenuta per effetto della L.R. Abruzzo n. 24 del 2011, con condanna della Regione a corrispondere le differenze retributive maggiorate degli interessi legali a decorrere dalle rispettive date di entrata in vigore delle citate leggi regionali. Il Tribunale, ricostruito il quadro normativo di riferimento e precisato che il meccanismo perequativo di cui alla L.R. n. 118 del 1999, come modificata dalla L.R. n. 6 del 2005, era stato esteso, per effetto della L.R. n. 16 del 2008, a tutti i dipendenti regionali aventi medesimo inquadramento in ruolo e qualifica in qualunque modo vi avessero avuto accesso, riteneva riferibile l’operatività del predetto meccanismo perequativo non già all’epoca dell’immissione in ruolo del dipendente interessato all’equiparazione, quanto piuttosto al momento dell’accesso nei ruoli regionali del dipendente proveniente dall’esterno che godeva di una più elevata retribuzione di anzianità in relazione alla quale doveva attuarsi la perequazione. La Corte di appello di L’Aquila, con ordinanza depositata in data 4/7/2013, resa ai sensi degli artt. 436 bis, 348 bis e 348 ter cod. proc. civ., dichiarava l’appello inammissibile ritenendo che lo stesso non potesse avere una ragionevole probabilità di essere accolto.
Per cassazione della sentenza del Tribunale di Pescara la Regione Abruzzo ricorre in cassazione sulla base di tre censure. La parte intimata resiste con controricorso illustrato da memoria.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente, si dà atto che il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.
2. Deve essere esaminata prima di tutto l’eccezione di tardività del ricorso per cassazione formulata dalla parte controricorrente in memoria.
Si sostiene che il ricorso per cassazione sarebbe tardivo perché il termine di 60 giorni nel caso specifico deve essere calcolato con decorrenza non dalla notifica del provvedimento impugnato (nel qual caso sarebbe in termini), bensì dalla comunicazione a mezzo p.e.c. all’Avvocatura dello Stato.
L’eccezione non è fondata (si vedano, in termini, Cass. 6 ottobre 2015, n. 19949; Cass. 11 settembre 2015, n. 18024). È necessario precisare che la Corte d’appello dell’Aquila si è pronunciata con ordinanza ai sensi dell’art. 348 bis cod. proc. civ., dichiarando l’appello inammissibile perché non aveva ragionevole probabilità di essere accolto. Il ricorso per cassazione è stato quindi proposto contro il provvedimento di primo grado ai sensi dell’art. 348 ter, terzo comma, cod. proc. civ.
La seconda parte di tale comma disciplina la decorrenza del termine per proporre ricorso per cassazione, disponendo: “In tal caso, il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità.
Si applica l’art. 327 in quanto compatibile”. Quindi, il provvedimento oggetto dell’impugnazione è la sentenza di primo grado, ma il termine per ricorrere per cassazione decorre dalla comunicazione o notificazione (se anteriore) della ordinanza di inammissibilità emessa dal giudice di appello.
La parte che solleva l’eccezione sostiene che nel caso in esame la comunicazione dell’ordinanza sarebbe stata anteriore alla notificazione e sarebbe avvenuta il giorno 11 luglio 2013 a mezzo posta elettronica certificata. Poiché il ricorso per cassazione è stato rimesso per la notifica all’ufficiale giudiziario in data 30 dicembre 2013, esso risulterebbe tardivo e quindi inammissibile. Per dimostrare il proprio assunto richiama i documenti nn. 1 e 2 del fascicolo depositato in Cassazione.
Tali documenti (in realtà numerati come 2 e 3, risultando dall’indice al n. 1 il ricorso per cassazione) sono un “biglietto di cancelleria” della Corte di appello “notificato alla p.e.c. / in cancelleria” in data 11 luglio 2013, in cui si comunica il deposito di un provvedimento relativo all’appello di cui si dice “dichiarato inammissibile”, indicando il numero di ruolo, il giudice, le parti, l’indicazione del destinatario Avvocatura Distrettuale dello Stato di L’Aquila – e l’esito – avvenuta consegna – (n. 2) e la comunicazione p.e.c. all’avv. M.B. (n. 3).
Pertanto, viene solo provato che con comunicazione via p.e.c. del giorno 11 luglio 2013 fu comunicato all’Avvocatura un provvedimento di inammissibilità, senza specificare né il tipo di provvedimento (ordinanza o sentenza), né tanto meno che si trattasse di ordinanza ex art. 348 bis, cod. proc. civ.
Tale comunicazione non è idonea a far decorrere il termine per il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 348 ter, terzo comma, cod. proc. civ.
Come si è visto, questo termine decorre “dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, della ordinanza, che dichiara l’inammissibilità”.
Dalla lettura degli artt. 348 bis e ter cod. proc. civ. si deduce che la comunicazione deve, quanto meno, precisare che trattasi di ordinanza di inammissibilità ex art. 348 bis. Quindi ordinanza (e non sentenza) e di inammissibilità dell’appello per mancanza di ragionevole probabilità di accoglimento (non di inammissibilità per altre ragioni, di cui alla prima parte dell’art. 348 bis cod. proc. civ.).
L’indispensabilità di questa precisazione nella comunicazione della cancelleria deriva, oltre che dall’interpretazione letterale, anche da ragioni di carattere teleologico e sistematico. Infatti, se la disciplina della decorrenza del termine per ricorrere in Cassazione è speciale nel caso in cui il giudice di appello abbia emesso una ordinanza di inammissibilità ex art. 348 bis cod. proc. civ., la parte che riceve la comunicazione deve, quanto meno, essere messa in grado di sapere che è stato emesso un provvedimento di quel tipo, implicante un regime speciale di impugnazione.
Nel caso in esame, non è stato comunicato il testo dell’ordinanza e non si è neanche precisato che si trattava di un’ordinanza ex art. 348 bis cod. proc. civ.
La parte destinataria della comunicazione non è stata quindi messa in grado di comprendere che il provvedimento era del tipo previsto dall’art. 348 bis, cod. proc. civ., e che aveva, di conseguenza, l’onere di impugnarlo con le modalità e con la decorrenza termini previste dal terzo comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ.
Anche nell’ordinanza di questa Corte in cui si sostiene che, pur a seguito della modifica del secondo comma dell’art. 133, cod. proc. civ. (introdotta dall’art. 45, primo comma, lett. b, del d.l. 90/2014, convertito con modificazioni in L. 114/2014), per la decorrenza del termine d’impugnazione previsto dall’art. 348 ter, cod. proc. civ. è irrilevante che la comunicazione contenga il testo integrale del provvedimento, si ha tuttavia cura di precisare che la comunicazione deve permettere di comprendere la natura del provvedimento (Cass., terza sezione, 5 novembre 2014, n. 23526, paragrafo IV.4, ultimo capoverso, nonché paragrafo 111.2, in cui si precisa che il termine “non decorrerebbe, in estensione delle conclusioni già raggiunte per fattispecie analoghe, ove in concreto fosse del tutto impossibile ricavare dalla comunicazione trattarsi di ordinanza resa ai sensi dell’art. 348 bis cod. proc. civ. ed in quanto tale, idonea a far decorrere il termine ordinario suddetto avverso il provvedimento di primo grado”).
Pertanto, nel caso in esame il termine per proporre ricorso per cassazione non può essere computato con decorrenza dalla comunicazione della cancelleria e di conseguenza il ricorso non è tardivo.
3. Con i motivi di ricorso la Regione deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1, comma 3, 2, comma 3 e 24 del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 1 della L.R. Abruzzo n. 118 del 1998, dell’art. 43 della L.R. Abruzzo n. 6 del 2005, per come modificato dalla L.R. Abruzzo n. 16 del 2008, art. 1, comma 2, alla luce degli artt. 36 e 117 della Costituzione anche nel relativo combinato disposto e rileva che l’impianto della normativa regionale, su cui si fonda l’impugnata sentenza, risulta adottato in violazione della riserva di competenza alla contrattazione collettiva del profilo retributivo del personale dipendente della Regione Abruzzo, oltre che in violazione dei criteri di riparto fra legislatore statale e regionale nonché del parametro regolatore di cui all’art. 36 Cost. Chiede pertanto che sia disapplicata la predetta normativa regionale o, in subordine, che sia sollevata la questione di legittimità costituzionale delle citate nonne previa valutazione della non manifesta infondatezza della questione.
Denuncia, inoltre, violazione o falsa applicazione dell’art. 1 della L.R. Abruzzo n. 118 del 1998 come modificato dall’art. 43 della Legge regionale Abruzzo n. 6 del 2005 e dall’art. 1, comma 2, Legge regionale Abruzzo n. 16 del 2008, criticando la sentenza impugnata per aver legittimato, con la sua interpretazione, un allineamento dinamico verso l’alto della voce retributiva.
Rileva che la Corte del merito ha erroneamente ritenuto che il legislatore regionale abbia inteso adottare un meccanismo di adeguamento automatico e progressivo (in termini di riqualificazione della RIA al momento dell’inquadramento di altro dipendente regionale che godeva di un trattamento retributivo di importo più consistente) laddove la norma era solo destinata ad operare al momento dell’inquadramento del dipendente interessato alla RIA nei ruoli regionali, fissando un precetto ad applicazione istantanea.
Con la terza critica, la Regione Abruzzo, asserendo violazione dalla L.R. Abruzzo n. 16 del 2008, art. 1, comma 2, rileva che la Corte del merito non ha tenuto conto che nell’amministrazione regionale sono confluiti lavoratori provenienti da soggetti diversi dalle amministrazioni in senso proprio quali i consorzi di bonifica la retribuzione dei cui dipendenti non può essere considerata quale parametro per la determinazione del RIA essendo detti consorzi estranei alle pubbliche amministrazioni di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2.
4. Questa Corte nel decidere controversie identiche alla presente ha rilevato che “la Corte costituzionale con sentenza n. 211 del 2014 investita dal Tribunale di Teramo della questione di legittimità costituzionale dell’art. 43 della L.R. Abruzzo 8 febbraio 2005 n. 6 (Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale 2005-2007 della Legge Regione Abruzzo – Legge finanziaria regionale 2005), come sostituito dall’art. 1, comma 2, della L.R. Abruzzo 21 novembre 2008, n. 16 (Provvedimenti urgenti ed indifferibili) in riferimento all’art. 117 Cost., comma 2, lett. 1), dal momento che la disciplina del trattamento economico dei dipendenti regionali rientrerebbe nella materia dell’ordinamento civile che appartiene alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 della predetta L.R. Abruzzo 8 febbraio 2005 n. 6 come sostituito dall’art. 1, comma 2, della L.R. Abruzzo 21 novembre 2008 n. 16 nella parte in cui introduce il comma 2 bis nell’art. 1 della L.R. Abruzzo 13 ottobre 1998 n. 118 (Riconoscimento agli effetti economici della anzianità di servizio prestato presso lo Stato, Enti Pubblici, Enti Locali e Regioni, nei confronti del personale inquadrato nel ruolo regionale a seguito di pubblici concorsi ed estensione dei benefici previsti dalla L. n. 144 del 1989 al personale ex L. n. 285 del 1977). Tanto perché l’art. 43 della citata L.R. n. 6 del 2005, nel disciplinare la retribuzione individuale di anzianità dei dipendenti regionali, allineandone l’ammontare a quello percepito dai dipendenti che, provenendo da altre amministrazioni, sono transitati nei ruoli regionali, incide sul trattamento economico dei dipendenti regionali prevedendone un incremento allorché ricorrano le condizioni previste e, quindi eccede dall’ambito di competenza riservato al legislatore regionale invadendo la materia dell’ordinamento civile, riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato” (cfr. Cass. 2 dicembre 2014, n. 25492; Cass. 10 dicembre 2014, n. 26045; Cass. 15 dicembre 2014, n. 26320).
Né si pongono questioni di giudicato preclusivo dell’applicazione della sopravvenuta pronuncia di incostituzionalità della norma, posto che il giudicato interno si forma solo su capi autonomi della sentenza che risolvano questioni aventi una propria individualità e autonomia e siano tali da integrare una decisione del tutto indipendente (cfr. Cass. n. 6304 del 2014) e la suddetta autonomia manca sia nelle mere argomentazioni, sia allorché si verta in tema di valutazione di presupposti necessari di fatto concorrenti, unitamente ad altri, a formare un capo unico della decisione (cfr. Cass. nn. 4732/2012, 19345/2011, 22409/2008).
La circostanza che con l’appello siano stati contestati solo i criteri di quantificazione della r.i.a. e non anche il diritto stesso alla sua riliquidazione, allora, non determina il passaggio in giudicato o l’acquiescenza al diritto alla riliquidazione. Questo, infatti, intanto esiste in quanto concretamente si applicano i criteri di quantificazione individuati dalla disciplina dichiarata incostituzionale e l’appello ha determinato una situazione di fluidità inibendo il formarsi del giudicato.
In conclusione, il diritto alla riliquidazione della r.i.a. (bene della vita azionato in giudizio) si realizza mediante quei criteri di quantificazione, oggetto di censura in appello, contenuti nella disciplina regionale dichiarata incostituzionale, e viene meno a seguito della dichiarazione di incostituzionalità, senza che si possa ritenere formato un giudicato sul punto.
Da quanto esposto consegue che, stante la declaratoria d’incostituzionalità della L.R. Abruzzo n. 6 del 2005, art. 43 come sostituito dalla L.R. Abruzzo n. 16 del 2008, art. 1, comma 2, nella parte in cui introduce il comma 2 bis nella L.R. Abruzzo 13 ottobre 1998, n. 118, art. 1, su cui si fonda la domanda del dipendente, il ricorso per cassazione va accolto, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ ., con il rigetto della originaria domanda.
5. Il recente intervento della Corte costituzionale e l’orientamento espresso dai giudici di merito inducono questa Corte a ritenere sussistenti le ragioni di cui all’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. per compensare tra le parti le spese dell’intero processo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’azionata domanda. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.
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