CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 4890 del 14 marzo 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – DIPENDENTE DELLE POMPE FUNEBRI CADE DA UNA SCALA NON ADEGUATA – RESPONSABILITA’ DEL COMUNE NELL’AMBITO DEL SERVIZIO CIMITERIALE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. P.G., quale tutore del coniuge R.B., convenne in giudizio il Comune di Alme’. Chiese il risarcimento del danno patito dal marito per le lesioni gravissime in esito alla caduta da una scala non adeguata messa a disposizione dal Comune nell’ambito del servizio cimiteriale, mentre – quale dipendente dell’impresa di Pompe funebri D.- B. snc – si apprestava a scendere in una tomba privata ipogea per aiutare i necrofori a collocare la bara nel loculo.
Il processo – nel corso del quale, in seguito alla sopravvenuta morte del danneggiato, si costituirono volontariamente la P., R.F. e C. quali eredi del danneggiato deceduto – si svolse nei confronti della societa’ datrice di lavoro e dei soci illimitatamente responsabili, nonche’ della RAS (poi Allianz spa), chiamati in giudizio dal Comune convenuto; i primi per l’accertamento, in subordine, del grado di corresponsabilita’, la seconda per essere tenuto indenne in forza del contratto di assicurazione per la responsabilita’ civile.
Il Tribunale di Bergamo condanno’ il Comune a favore degli eredi in proporzione delle rispettive quote ereditarie, detratto quanto gia’ percepito dalla societa’ di Pompe funebri a titolo di provvisionale; rigetto’ la domanda proposta nei confronti dell’Assicurazione.
La Corte di appello di Brescia, in accoglimento parziale dell’impugnazione principale del Comune (ritenendo assorbito l’appello incidentale dell’impresa Pompe funebri), accerto’ la responsabilita’ concorrente del Comune e dell’impresa, come pari rispettivamente al 70% e al 30%. Diminui’ la quantificazione del danno da invalidita’ permanente, tenendo conto dell’intervenuto decesso per cause indipendenti; confermo’ il danno per invalidita’ temporanea e quello patrimoniale. Detratto dal nuovo importo del danno quanto versato a titolo di provvisionale dalle pompe funebri sulla base della sentenza penale, condanno’ il Comune al pagamento di oltre Euro 352.000,00 in favore degli eredi; confermo’ per il resto la sentenza di primo grado (sentenza del 12 dicembre 2011, come risultante dalla correzione di errori materiali con ordinanza del 22 ottobre 2012).
2. Avverso la suddetta sentenza, il Comune propone ricorso principale affidato a cinque motivi.
Resistono, con distinti controricorsi, gli eredi del danneggiato, l’Allianz Assicurazioni, D.V. e B.P., in proprio e quali legali rappresentanti della Pompe funebri D. e B. snc. Questi ultimi propongono ricorso incidentale, cui resistono con controricorso gli eredi del danneggiato.
Tutte le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La decisione ha ad oggetto entrambi i ricorsi proposti avverso la stessa sentenza.
1. Il ricorso incidentale e’ inammissibile.
esso e’ redatto senza il rispetto dei requisiti di contenuto/forma del ricorso ed in particolare, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, stante la genericita’ e l’indeterminatezza nello svolgimento delle censure.
Infatti, i motivi di censura non sono enucleati, neanche in rubrica, e sembrano censurare genericamente la misura della responsabilita’ dell’impresa, ritenuta dalla decisione pari al 30%; sembrano mettere in discussione anche l’esclusione della responsabilita’ del danneggiato.
Invece, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita’, il ricorrente e’ tenuto a prospettare l’erronea interpretazione di una norma da parte del giudice che ha emesso la sentenza impugnata e ad indicare specificamente, a pena d’inammissibilita’ ex art. 366 c.p.c., n. 4, i motivi per i quali chiede la cassazione. (ex multis Cass. n. 26307 del 2014).
2. La Corte territoriale ha ravvisato la responsabilita’ del Comune ex art. 2043 c.c. seguendo il seguente percorso logico.
L’attivita’ di tumulazione e’ demandata dalla legge al Comune anche quando si tratti di cappelle private (D.P.R. n. 285 del 1990, artt. 76, 77 e 90). Nel Comune di Alme’ era svolta da due necrofori, che normalmente si facevano aiutare dagli addetti delle imprese delle pompe funebri. Anche nella specie, dalle testimonianze dei necrofori, risulta che fu chiesto l’aiuto del R., che collaborava con l’impresa di pompe funebri. La strumentazione posta a disposizione dei necrofori dal Comune era costituita da una scala a pioli inadeguata, secondo quanto attestato dal dipartimento prevenzione infortuni della ASL (rinvio a documento e testimonianza del dott. A.).
2.1. Con il ricorso principale, il Comune censura tale statuizione con il primo motivo di ricorso. Deduce la violazione del R.D. n. 1265 del 1934, art. 337, nonche’ del D.P.R. n. 285 del 1990, artt. 49, 50, 51, 63, 76, 77 e 90, oltre a insufficiente motivazione.
Per un primo profilo, sulla base della normativa richiamata, sostiene che non sussiste in capo al Comune l’obbligo di trasportare le bare all’interno delle tombe private, anche quando sia obbligato alla sigillatura del loculo, con la conseguenza che degli infortuni per tali operazioni rispondono i datori di lavoro privati in concorso con i committenti. Conferma della tesi si ricaverebbe da un documento, invocato nel giudizio di appello, da cui risulterebbe che i servizi cimiteriali comunali erano richiesti della sola sigillatura, essendo incaricata della tumulazione l’impresa di pompe funebri.
Sotto un secondo profilo, censura la sentenza per aver ritenuto rilevante per la colpa del Comune l’aver messo a disposizione dei necrofori una scala inadeguata sulla base dell’esito dell’ispezione della ASL, senza considerare le testimonianze dei necrofori ( S. – G.), secondo i quali la scala aveva i dispositivi antisdrucciolo.
2.2. Le censure non hanno pregio e, per certi versi inammissibili, vanno rigettate.
Quanto al documento che si assume prodotto in appello e non esaminato dal giudice del merito, ogni esame da parte di questa Corte e’ precluso dalla circostanza che il ricorrente nulla dice in ordine alla tempestivita’ della produzione in riferimento alle preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c.
Quanto alla sussistenza o meno dell’obbligo del Comune di trasportare la bara nella tomba privata, l’irrilevanza della censura emerge dalla circostanza che, nella specie, l’incidente e’ avvenuto quando si doveva procedere all’inserimento della bara nel loculo, con conseguente irrilevanza del trasporto.
Neanche e’ messo in discussione che l’obbligo dell’inserimento e sigillatura gravasse sui servizi cimiteriali e, comunque, lo stesso sarebbe irrilevante, atteso che la responsabilita’ del Comune e’ stata fondata sulla messa a disposizione dei necrofori di mezzi inadeguati (scala), poi utilizzata dal dipendente di ditta privata chiamato in aiuto. Quanto alla lamentata omessa considerazione delle testimonianze dei necrofori ( S. – G.), secondo i quali la scala aveva i dispositivi antisdrucciolo, la censura e’ inammissibile. E’ evidente che la Corte di merito ha scelto tra le acquisizioni istruttorie quella (ispettorato Asl) ritenuta piu’ attendibile per competenza tecnica e obiettivita’.
E, tanto, il giudice puo’ fare, poiche’, secondo la giurisprudenza consolidata di legittimita’, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza peraltro essere tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (tra le tante, Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 20 aprile 2012, n. 6260).
3. Con il secondo motivo, si deduce la violazione degli artt. 1227, 1294, 2043, 2049, 2055 e 2056, unitamente a motivazione contraddittoria e omessa.
Nella parte esplicativa, il ricorrente si limita a dedurre la contraddizione in cui sarebbe incorsa la corte di merito nell’escludere la responsabilita’ del danneggiato e nel riconoscere la responsabilita’ dell’impresa di pompe funebri ai sensi dell’art. 2049 cit. che “fa ricadere sul datore di lavoro la responsabilita’ del dipendente”.
Quindi lamenta omessa motivazione per non aver la corte di merito esplicato le ragioni dell’individuazione nella misura del 30% della responsabilita’ dell’impresa pompe funebri.
3.1. Le censure sono prive di pregio e sono piu’ inammissibili che infondate.
L’invocazione degli artt. 1227, 1294 e 2056 c.c. e’ priva di qualunque contenuto esplicativo, con conseguente inammissibilita’.
La contraddizione evidenziata non e’ idonea a censurare l’esclusione di ogni responsabilita’ in capo al danneggiato; mette in evidenza, posto che il 2049 c.c. fa gravare sul datore di lavoro la responsabilita’ del dipendente verso terzi e non verso lo stesso dipendente, il non corretto richiamo in sentenza, evidentemente dovuto solo a refuso materiale, dell’art. 2049 c.c. per fondare la responsabilita’ delle pompe funebri, in luogo dell’art. 2087 c.c..
Naturalmente, il Comune non ha interesse a mettere in discussione la riconosciuta responsabilita’ concorrente delle pompe funebri, ma la misura della responsabilita’ dell’impresa, rispetto alla quale denuncia omessa motivazione.
Ma tale ultima censura e’ pure inammissibile impingendo proprio la valutazione di merito effettuata dalla decisione impugnata. Invero, costituisce consolidato insegnamento di questa corte l’essere sempre vietato invocare un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme, perche’ la Corte di cassazione non ha il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, essendo la valutazione degli elementi probatori attivita’ istituzionalmente riservata al giudice di merito.
4. Con il terzo motivo, si deduce la violazione degli artt. 1342 e 1362 e ss. c.c., unitamente a insufficiente e contraddittoria motivazione e si censura quella parte della statuizione in cui e’ stata ritenuta non sussistente la copertura assicurativa.
4.1. La Corte di merito ha escluso che l’attivita’ posta in essere dal R. potesse essere ricompresa nella copertura assicurativa, interpretando sia le condizioni particolari che quelle generali del contratto.
Secondo la Corte, l’art. 4.1. delle condizioni particolari, integrato dall’art. 1, lett. a (cd. clausola a testo libero), si riferisce genericamente ai rischi oggetto della polizza, “esercizio e funzionamento dei pubblici servizi mortuari”; il 3.4. si riferisce ai prestatori di lavoro dell’assicurato; il 3.1. si riferisce ai terzi, con esclusione dei soggetti indicati nel punto 3.2., secondo il quale, sono esclusi dalla qualifica di terzi i subappaltatori e loro dipendenti; tutti coloro che, indipendentemente dal rapporto con il Comune assicurato, subiscano danno in conseguenza alla loro partecipazione manuale alle attivita’ cui si riferisce l’assicurazione, con la specificazione (4.11 lett. b) che sono considerati terzi “i titolari e i dipendenti di imprese, quali imprese di trasporti, fornitori e clienti che, in via occasionale, possono partecipare a lavori di carico e scarico o complementari all’attivita’ formante oggetto dell’assicurazione”.
Sulla base di tali disposizioni contrattuali, la Corte di merito ha ritenuto che, poiche’ il R. si e’ infortunato mentre svolgeva una attivita’ integrante quella di tumulazione, e poiche’ tale attivita’ non e’ complementare a quella assicurata, e’ un terzo escluso, avendo partecipato ad una attivita’ cui si riferisce l’assicurazione e non ad una attivita’ occasionale, complementare a quella assicurata.
4.2. Sotto un primo profilo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 1342, a norma del quale nei contratti standard le clausole aggiunte al modulo prevalgono su quelle contenute nel modulo se incompatibili; sostiene che la corte di merito non avrebbe dovuto applicare l’art. 3.2. del modulo, che non considera terzi quelli che partecipano della attivita’ cui si riferisce l’assicurazione, perche’ questa contrasterebbe con le clausole dattiloscritta che non considera terzi lo Stato e l’ente di appartenenza, considera terzi gli amministratori dipendenti e istruttori sportivi.
Sotto un secondo profilo sostiene la violazione dell’art. 1370 c.c. nella parte in cui, nel dubbio, la clausola non sia stata interpretata a favore del contraente, posto che in senso ampio il R. – quale dipendente occasionale della impresa di pompe funebri – stava svolgendo attivita’ complementare a quella assicurata (quella propria dei necrofori), aveva portato il feretro in prossimita’ della tomba, aveva aiutato a calarlo, stava scendendo nella tomba (quando e’ caduto) per aiutare i necrofori a posizionare la bara nel loculo.
4.3. Le censure non hanno pregio e vanno rigettate.
Di nessuna specifica consistenza sono i dedotti vizi motivazionali di insufficienza e contraddittorieta’, avendo il giudice argomentato logicamente e congruamente in ordine all’interpretazione delle clausole, mentre il ricorrente prospetta una diversa interpretazione a se’ favorevole.
La censura, sotto il profilo della violazione dell’art. 1342 c.c. difetta di specificita’ atteso che il ricorrente si limita a giustapporre la regolamentazione contenuta nel modulo concernente i terzi a quella contenuta nella clausola dattiloscritta, senza indicare specificamente le ragioni della pretesa incompatibilita’.
Priva di pregio e’, pure, il profilo attinente alla violazione dell’art. 1370 c.c..
Nella specie, infatti, manca il presupposto dell’incertezza nella interpretazione delle clausole.
Secondo la giurisprudenza di legittimita’, infatti, il ricorso nell’interpretazione del contratto al criterio dettato dall’art. 1370 cod. civ., secondo il quale la clausola di dubbia interpretazione deve essere interpretata contro l’autore di essa, e’ solo sussidiario, dovendo essere adottato dall’interprete soltanto se, dopo aver fatto uso dei canoni ermeneutici principali della letteralita’ e sistematicita’, rimanga dubbio il significato delle clausole (Cass. n. 11278 del 2005; n. 12721 del 2007). Ed, invero, la Corte di merito ha interpretato le clausole nella loro letteralita’ e sistematicita’ come non equivoche rispetto al loro contenuto.
5. Con il quarto motivo si deduce la violazione degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c., unitamente a insufficiente e contraddittoria motivazione.
Si da’ atto che la Corte di merito, nel riformare la sentenza di prime cure, ha ridotto il danno da invalidita’ permanente per tener conto della morte sopravvenuta al sinistro, dovuta a cause indipendenti dallo stesso. Si censura la concreta determinazione del danno per aver il giudice di merito considerato la vita media di una persona secondo l’Istat pari ad anni 78 e aver ridotto di 1/4 il danno gia’ liquidato, in forza della circostanza che il danneggiato era sopravvissuto sino ad anni 76.
Si sostiene che, sulla base delle tabelle milanesi considerate dal giudice del merito, rileva non la “vita media” ma l’aspettativa di vita”; con la conseguenza che l’importo avrebbe dovuto essere ridotto della meta’ perche’, secondo le tavole di mortalita’ istat, l’aspettativa di vita del danneggiato al momento del sinistro, (7 settembre 2000) quando aveva 71 anni, era di 11,481, mentre era deceduto il (OMISSIS), a distanza di 5,488 anni dall’incidente. 5.1. La censura non ha pregio.
Pacifico e’ che la Corte di merito ha fatto applicazione del principio, gia’ ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui “In tema di risarcimento del danno non patrimoniale da fatto illecito, qualora, al momento della liquidazione del danno biologico, la persona offesa sia deceduta per una causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, la durata della vita futura cessa di essere un valore ancorato alla probabilita’ statistica e diventa un dato noto; pertanto l’ammontare del danno biologico che gli eredi del defunto richiedono “iure successionis” va calcolato con riferimento alla durata effettiva della vita del defunto (ex multis Cass. n. 2297 del 2011).
La censura si incentra sul parametro di calcolo utilizzato dal giudice del merito per la quantificazione del danno biologico in argomento, cosiddetto “intermittente”. Si lamenta l’utilizzo del parametro della “vita media” in luogo di quello della “aspettativa di vita” e si sostiene la correttezza di quest’ultimo, per essere lo stesso utilizzato nel calcolo del danno biologico secondo le tabelle milanesi, applicate nella causa.
Ma, il profilo dei parametri da utilizzare per la quantificazione del danno biologico “intermittente” non ha una regolazione legislativa.
Mentre, la giurisprudenza di merito ha elaborato diversi metodi equitativi correttivi, che procedono alla riduzione dell’importo del danno biologico quantificato secondo le tabelle: da una formula matematica che utilizza le statistiche di mortalita’, al riferimento alla aspettativa di vita, alla individuazione di due distinte poste di danno, della quale una variabile in ragione della vita vissuta.
Pertanto, non e’ dal semplice utilizzo del parametro della aspettativa di vita per il calcolo del danno biologico, nelle tabelle milanesi adottate in causa, che puo’ dedursi il necessario riferimento alla stessa aspettativa e non all’eta’ media per la quantificazione del danno biologico intermittente, avendo comunque la Corte fatto ricorso ad un criterio di quantificazione equitativo. Ne’, in generale, il ricorrente deduce di averne specificamente chiesto l’applicazione in sede di appello ed, in particolare, che l’aspettativa di vita corrispondeva, secondo le tabelle usate, alla misura di cui si chiede l’applicazione.
6. Con il quinto motivo si deduce la violazione degli artt. 2043 e 2697 c.c., oltre a difetti motivazionale” e si censura la sentenza nella parte in cui, confermando la decisione di prime cure ha riconosciuto il danno patrimoniale per spese presso la “Casa opere pie e annesse”, disattendo il motivo di appello che aveva criticato la ricomprensione delle stesse tra le spese per cure mediche.
6.1. La Corte di merito ha ritenuto che, essendo stato il danneggiato interdetto in conseguenza delle lesioni psicofisiche subite (pari all’80%), fosse plausibile che le sue condizioni necessitassero di una struttura protetta, anche se non con scopi strettamente terapeutici, quale struttura piu’ idonea per consentirgli di esercitare pratiche sanitarie riabilitative.
Il ricorrente mette in rilievo che le stesse erano state escluse dallo stesso consulente in quanto spese non mediche, che il giudizio della corte di appello sarebbe di mera verosimiglianza, che l’importo comprende anche spese di vitto alloggio.
6.2. Il profilo e’ inammissibile.
Anche a prescindere dalla erronea indicazione delle norme in rubrica, in mancanza del richiamo all’art. 1223 c.c., la Corte di merito ha compiuto una valutazione in concreto, attinente alle particolari condizioni di malattia del danneggiato, non sindacabile in sede di legittimita’.
7. In conclusione, il ricorso principale e’ rigettato; il ricorso incidentale e’ dichiarato inammissibile. In ragione della reciproca soccombenza, le spese processuali sono interamente compensate tra il ricorrente principale e i ricorrenti incidentali; seguono la soccombenza nei rapporti tra Comune ed eredi del danneggiato, nonche’ tra Comune e Allianz Assicurazioni.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
decidendo i ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Dichiara interamente compensate le spese processuali del giudizio di cassazione tra il ricorrente principale e i ricorrenti incidentali. Condanna il Comune al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione in favore della Allianz Spa e degli eredi del danneggiato, che liquida, in favore di ciascuna parte processuale, in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, ovvero per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis
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