CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 4920 del 14 marzo 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – TFR – PAGAMENTO – RENDIMENTO DI POLIZZA – STIPULA DI UN CONTRATTO DI ASSICURAZIONE – INDENNITA’ DI ANZIANITA’
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 28.6.13 la Corte d’appello di Campobasso, in riforma della sentenza del 13.4.10 del Tribunale di Larino, rigettava la domanda di G.S., ex direttore generale del Consorzio di Sviluppo Industriale della Valle del Biferno (qui di seguito anche, più semplicemente, Consorzio), intesa ad ottenerne la condanna al pagamento dell’indennità sostitutiva di ferie non godute e di differenze sul TFR.
Per la cassazione della sentenza ricorre Giovanni Sassi affidandosi a cinque motivi. Il Consorzio di Sviluppo Industriale della Valle del Biferno resiste con controricorso. Le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. per avere la Corte territoriale respinto la domanda relativa alle differenze maturate sul TFR in accoglimento dell’eccezione di giudicato sollevata dal Consorzio in base al precedente decreto ingiuntivo notificato dal ricorrente e avente ad oggetto proprio il pagamento del TFR: si obietta in ricorso che, in realtà, tale giudicato non è ravvisabile nel caso di specie perché nello stesso ricorso in via monitoria G.S. aveva formulato espressa riserva di agire per il pagamento di ulteriori differenze sul TFR, emerse solo in seguito e fondate su fatti nuovi (in quanto non conoscibili dal ricorrente) costituiti dal rendimento di polizza del TFR che era stato gestito, a beneficio del lavoratore, dall’INA A. S.p.A. per conto del suddetto Consorzio; a riguardo si obietta, ancora, in ricorso che, a parte la riserva esplicitata nel ricorso ex art. 633 c.p.c., ad ogni modo si tratta di crediti diversi e il cui ammontare non era conoscibile dal ricorrente al momento del ricorso per decreto ingiuntivo, giacché i rendimenti di polizza del TFR erano stati solo successivamente quantificati da INA A. S.p.A.; infine, il mezzo si conclude puntualizzando – in subordine – che nel caso in oggetto, anche a voler applicare la giurisprudenza sull’infrazionabilità del credito, ciò avrebbe potuto incidere solo sul governo delle spese e non anche sulla procedibilità della domanda.
Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2709 c.c. e dell’art. 116 co. 10 c.p.c. nella parte in cui la sentenza impugnata ha rigettato la domanda relativa all’indennità sostitutiva delle ferie non godute nonostante che la relativa circostanza fosse dimostrata dal prospetto paga dell’aprile 2007 e dal verbale 24.4.06 n. 209 del Collegio dei revisori dei conti del Consorzio.
Con il terzo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 co. 10 c.p.c. per avere la gravata pronuncia respinto la domanda concernente l’indennità sostitutiva delle ferie non godute in base al rilievo della mancata dimostrazione, da parte del ricorrente, di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive ostative alla fruizione delle ferie, sebbene il summenzionato prospetto paga dell’aprile 2007, di natura confessoria, dimostrasse il saldo ferie spettante al ricorrente. Le censure relative al rigetto della domanda concernente le somme imputabili a rendimento di polizza relativa al TFR e della domanda di indennità sostitutiva delle ferie non godute vengono fatte valere, rispettivamente, anche nel quarto e nel quinto motivo di ricorso sotto forma di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
2 – Il primo motivo di ricorso è fondato in virtù dell’assorbente rilievo che il credito azionato dall’odierno ricorrente è, in realtà, diverso dal puro e semplice TFR oggetto del summenzionato decreto ingiuntivo emesso a favore di G.S. e contro il summenzionato Consorzio (v. meglio in fra). Il decreto ingiuntivo aveva ad oggetto un credito, scaturente dalla durata del rapporto di lavoro e di origine legislativa (vale a dire il TFR disciplinato dall’art. 2120 c.c., nel testo sostituito dall’art. 1 legge n. 297/82), vantato nei confronti del datore di lavoro.
Il credito oggetto del presente procedimento inerisce, invece, alle somme che costituiscono il rendimento di polizza del TFR che era stato gestito da INA A. S.p.A. per conto del suddetto Consorzio, ossia un credito scaturente dal contratto a favore di terzo stipulato ex art. 1411 c.c. dal datore di lavoro con una società di assicurazioni, al fine di garantire comunque ai dipendenti il pagamento del trattamento di fine rapporto.
Si tratta della stipula d’un contratto di assicurazione ai sensi dell’art. 4 del r.d.l. n. 5 del 1942, convertito dalla legge n. 1251 del 1942 e rimasto in vigore sino all’introduzione della legge n. 297/82.
In casi del genere, nelle somme liquidate al dipendente all’atto della cessazione del rapporto di lavoro devono distinguersi una posta capitale – rappresentata dai premi versati dal datore di lavoro in corrispondenza dell’ammontare dell’indennità di anzianità maturata dal dipendente – e un ammontare ulteriore, detto rendimento di polizza, che costituisce il risultato dell’operazione assicurativa, implicante un’eccedenza rispetto a quanto attribuito al dipendente in forza di legge, ferma restando, però, la funzione della stipulazione di assicurare ai lavoratori la corresponsione dell’indennità di anzianità nella misura legale.
L’opzione datoriale per questa forma di provvidenza sostitutiva non comportava automaticamente l’attribuzione ai dipendenti del rendimento di polizza, consistente negli interessi sui versamenti o premi corrisposti, eccedente rispetto all’indennità di anzianità, essendo a tal fine necessaria un’eventuale pattuizione (cfr. Cass. n. 4969/12; Cass. n. 3088/02; cfr., altresì, Cass. S.U. n. 21553/09).
Ora, accantonata – perché non oggetto del presente ricorso – la questione dell’esistenza o meno d’una pattuizione in tal senso e/o di altro titolo idoneo ad attribuire all’odierno ricorrente anche tale rendimento di polizza (oltre al TFR propriamente detto), in questa sede ci si deve solo domandare se la portata del giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo sopra ricordato (riguardante, appunto, il solo TFR) possa estendersi fino a coprire anche il credito da rendimento di polizza.
All’interrogativo va data risposta negativa perché TFR e rendimento di polizza sono crediti diversi per fatto costitutivo e natura anche quando – in ipotesi – pure il secondo spetti al medesimo soggetto (cioè al lavoratore dipendente): infatti, il primo ha come fatto costitutivo la prestazione ininterrotta di attività di lavoro subordinato, il secondo l’impiego d’un capitale; il primo ha natura di retribuzione differita a scopo previdenziale, ossia ha natura di reddito percepito in ragione del lavoro svolto, mentre il secondo ha natura di mera rendita, intesa come ritorno economico o remunerazione del capitale investito. Ne discende che il giudicato sul primo non estende i propri effetti preclusivi ex art. 2909 c.c. anche sul secondo, prova ne sia che in nessun caso il riconoscimento del credito per cui oggi è processo avrebbe l’effetto di modificare o smentire, nemmeno in parte, la portata del precedente giudicato, diversi essendo i due crediti, appunto, per fatto costitutivo e natura e, quindi, per accertamento dei presupposti logico-giuridici delle rispettive attribuzioni.
3 – Il secondo, il terzo e il quinto motivo di ricorso – da esaminarsi congiuntamente perché connessi – sono da disattendersi.
Come già statuito da questa Corte Suprema (cfr. Cass. n. 11786/05; Cass. n. 7883/96), il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza del datore di lavoro, non lo eserciti e non fruisca, quindi, del periodo di riposo annuale, non ha il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute, a meno che non provi di non averne potuto fruire a cagione di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive. Sempre la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 13953/09, menzionata anche dalla pronuncia impugnata) esclude – però – che da tale principio derivi una presunzione, per tutti i dirigenti, di piena autonomia decisionale nella scelta del se e del quando godere delle ferie, non spettando tale potere a qualunque dirigente in quanto tale (non appare, invece, conferente il richiamo – che pur si legge nella gravata pronuncia – a Cass. S.U. n. 9146/09, che attiene all’interpretazione dell’art. 21, co. 13, CCNL 5.12.96 per l’area della dirigenza medica e veterinaria nel comparto sanità).
Solo ove risulti che, nel caso concreto, il dirigente abbia tale potere può farsi luogo al principio secondo cui l’indennità sostitutiva delle ferie non godute non spetta se non quando risultino provate necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive che impediscano la fruizione delle ferie medesime. In altre parole, ex art. 2697 cpv. c.c. il potere – in capo al dirigente – di scegliere da se stesso tempi e modi di godimento delle ferie costituisce eccezione da sollevarsi e provarsi a cura del datore di lavoro, mentre l’esistenza di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive, ostative alla fruizione di tali ferie, integra controeccezione da proporsi e dimostrarsi a cura del dirigente.
Tuttavia, nel caso di specie la soluzione accolta dalla Corte territoriale non è stata adottata in base alla mera applicazione del criterio di ripartizione dell’onere probatorio relativo a tale potere, bensì sul presupposto che G.S. lo avesse, presupposto ritenuto pacifico per effetto di mancata contestazione da parte sua.
Né il ricorso ha in alcun modo censurato l’applicazione del principio di non contestazione operata dai giudici d’appello.
Ciò significa che il motivo di censura non risulta conferente rispetto alla ratio decidendi, nel senso che la mancata contestazione dell’esistenza, in capo all’odierno ricorrente, del potere di scegliere da sé tempi e modi di godimento delle ferie rende pacifica e vincolante per il giudice di merito – e, quindi, non suscettibile di difforme accertamento in base ai documenti menzionati in ricorso – detta circostanza fattuale.
In altre parole, la sentenza impugnata ha respinto la domanda dell’odierno ricorrente non già per difetto di prova della mancata fruizione delle ferie, bensì per difetto della prova che Giovanni Sassi non ne abbia potuto godere a cagione di contrarie necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive.
4 – La disamina del quarto motivo di ricorso risulta assorbita dall’accoglimento del primo motivo di censura.
5 – In conclusione, il primo motivo va accolto, mentre vanno rigettati il secondo, il terzo e il quinto motivo e dichiarato assorbito il quarto. Ne discende che la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio – anche per le spese del presente giudizio di legittimità – alla Corte d’appello di Bari, che si atterrà al seguente principio di diritto: “TFR e rendimento di polizza stipulata dal datore di lavoro con una società di assicurazioni al fine di garantire in ogni caso ai dipendenti il pagamento del trattamento di fine rapporto sono crediti diversi per fatto costitutivo e natura; per l’effetto, l’eventuale giudicato formatosi sul primo non estende i propri effetti preclusivi ex art. 2909 c. c. anche sul secondo”.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, il terzo e il quinto motivo, dichiara assorbito il quarto e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bari. Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.