CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 5073 del 15 marzo 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – PROFESSIONISTI – AVVOCATO ABILITATO IN SPAGNA – ESONERO DALLA PROVA ATTITUDINALE – CONDIZIONI – NON SPETTA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’abogado M.P., iscritto alla Sezione Speciale prevista dal d.lgs. 96/2001 dell’Albo degli Avvocati di Roma in quanto abilitato in Spagna all’esercizio della professione forense, con domanda depositata il 15.01.2013 chiedeva la dispensa dalla prova attitudinale ed il passaggio dell’iscrizione all’Albo ordinario.
Dopo l’audizione del richiedente, avvenuta in data 11.04.2013, il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma, con delibera del 7.05.2013, respingeva l’istanza quanto alla domanda di dispensa dalla prova attitudinale, rilevando come, secondo le dichiarazioni dell’interessato, lo stesso avesse esercitato la professione in Italia utilizzando impropriamente il titolo di “avvocato” e non già – com’era tenuto a fare – il titolo professionale di origine (ossia il titolo di abogado conseguito in Spagna).
Secondo il COA mancavano i requisiti di legge per la dispensa che poteva essere concessa solo ove l’istante avesse esercitato la professione in Italia, per almeno un triennio dopo l’iscrizione nella Sezione speciale dell’Albo, utilizzando il titolo professionale di origine.
2. Tale decisione, notificata all’abogado P. in data 17.05.2013, veniva impugnata con ricorso depositato al Consiglio territoriale in data 29.05.2013.
In particolare, per quanto ancora interessa in causa, il ricorrente contestava lo sviamento di potere e la illogicità della motivazione dell’impugnata decisione nella parte in cui il COA aveva posto a fondamento della decisione di rigetto il mancato utilizzo del titolo di “abogado”.
3. Con sentenza n. 38 del 13 marzo 2015 il Consiglio Nazionale Forense rigettava il ricorso.
In particolare, quanto alla questione che ancora rileva nel presente giudizio, il CNF rilevava che l’utilizzazione del proprio titolo di origine (quale quello, spagnolo, di abogado) costituisce requisito del procedimento finalizzato alla dispensa della prova attitudinale. Trattandosi di requisito espressamente previsto dalla legge, la sua mancanza non consentiva l’accoglimento della domanda di dispensa a prescindere dal rilievo disciplinare del comportamento del richiedente nonché della sua buona fede, dovendosi negativamente valutare il dato oggettivo del non aver utilizzato nel triennio il titolo professionale di origine, ma “direttamente” quello di avvocato.
4. Avverso questa decisione ricorre l’abogado M.P. con un unico motivo di ricorso.
Il COA di Roma, intimato, non ha svolto difesa alcuna.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 7-14 del d.lgs. n. 96/2001.
Richiama in particolare l’art. 12 del d.lgs. n. 96/2001 che al comma 2 prevede che per esercizio effettivo e regolare della professione di cui al comma 1 si intende lo svolgimento effettivo dell’attività professionale esercitata senza interruzioni che non siano quelle dovute agli eventi della vita quotidiana. Sottolinea l’importanza dell’aspetto sostanziale dell’effettivo esercizio triennale della professione nel contesto nazionale. Il prescritto periodo di tre anni deve considerarsi come tempo necessario e sufficiente affinché l’avvocato “stabilito” prenda adeguata confidenza col diritto nazionale.
Invece l’aspetto puramente formale dell’utilizzo del titolo nella lingua del paese d’origine – condizione dettata dalla normativa interna di cui al d.lgs. 96/2001 – va considerato come un illegittimo ostacolo all’iscrizione nel ruolo ordinario richiesta dall’avvocato stabilito che abbia dimostrato di aver svolto per un triennio attività inerente il diritto italiano.
2. Il ricorso è infondato.
L’art. 12 d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, di attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, prevede le condizioni per la dispensa dalla prova attitudinale.
Occorre che l’avvocato stabilito abbia, per almeno tre anni a decorrere dalla data di iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati, esercitato in Italia «in modo effettivo e regolare» la professione «con il titolo professionale di origine» perché possa ottenere la dispensa dalla prova attitudinale di cui all’art. 8 d.lgs. n. 115/1992. Ed aggiunge l’art. 12 cit. che per esercizio effettivo e regolare della professione si intende l’esercizio reale dell’attività professionale svolta senza interruzioni che non siano quelle dovute agli eventi della vita quotidiana.
Quindi, al fine di conseguire la dispensa suddetta, l’esercizio della professione forense da parte dell’avvocato stabilito deve essere: a) di durata non inferiore a tre anni scomputando gli eventuali periodi di sospensione; b) ) effettivo e quindi non formale o addirittura fittizio; c) regolare e quindi nel rispetto della legge forense e del codice deontologico; d) con il titolo professionale di origine.
Quanto in particolare a quest’ultimo requisito rilevano le specifiche prescrizioni della legge professionale. Già l’art. 1 R.D.L. n. 1578/1933 ha stabilito che nessuno può assumere il titolo, né esercitare le funzioni di avvocato se non è iscritto nell’albo professionale. In linea di continuità con tale prescrizione l’art. 2, comma 3, legge n. 247 del 2012, recante la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, ha previsto che l’iscrizione ad un albo circondariale è condizione per l’esercizio della professione di avvocato. La stessa disposizione, al comma 7, precisa che l’uso del titolo di avvocato spetta esclusivamente a coloro che siano o siano stati iscritti ad un albo circondariale, nonché agli avvocati dello Stato.
Pertanto, ove difetti il soddisfacimento delle condizioni suddette, non rileva, al fine di ottenere la dispensa richiesta dal ricorrente, l’esercizio della professione con un titolo diverso e soprattutto proprio con il titolo che il professionista stabilizzato mira a conseguire mediante la dispensa dalla prova attitudinale; esercizio che deve qualificarsi abusivo e che lede l’affidamento del cliente in ordine all’effettiva abilitazione del professionista (estera e non già nazionale) e quindi alla sua piena idoneità professionale nel contesto del diritto interno. Anzi l’esercizio della professione di avvocato senza aver conseguito in Italia la relativa abilitazione ovvero l’iscrizione mediante dispensa ai sensi dell’art. 12 cit. integra la condotta materiale del reato, previsto dall’art. 348 c.p., di abusivo esercizio di una professione.
In proposito Cass. civ., sez. un., 22 dicembre 2011, n. 28340, ha affermato che il soggetto munito di equivalente titolo professionale di altro Paese membro, avvalendosi del procedimento di “stabilimento/integrazione” previsto dalla citata direttiva 98/5/Ce, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, può chiedere l’iscrizione nella Sezione speciale dell’Albo italiano del Foro nel quale intende eleggere domicilio professionale in Italia, utilizzando il proprio titolo d’origine (quale, per il ricorrente, quello, spagnolo, di “abogado”) e, al termine di un periodo triennale di effettiva attività in Italia (d’intesa con un legale iscritto nell’Albo italiano), può chiedere di essere “integrato” con il titolo di avvocato italiano e l’iscrizione all’Albo ordinario, dimostrando al Consiglio dell’Ordine effettività e regolarità dell’attività svolta in Italia come professionista comunitario stabilito.
Non rileva invece l’attività svolta “irregolarmente”, ossia con l’abusiva spendita del titolo di avvocato. Una condotta illecita, ove anche tenuta in buona fede, non può essere rilevante al fine di conseguire un risultato favorevole secondum legem pur se, sotto l’aspetto della eventuale responsabilità penale, la mancanza di dolo esclude il reato.
3. Il ricorso va quindi rigettato con l’enunciazione, ex art. 384 c.p.c., del seguente principio di diritto: L’avvocato stabilito, che abbia acquisito la qualifica professionale in altro Stato membro dell’Unione Europea, può ottenere la dispensa dalla prova attitudinale di cui all’art. 8 d.lgs. 27 gennaio 1992 n. 115, se – nel rispetto delle condizioni poste dall’art. 12 d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, di attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale – abbia esercitato in Italia in modo effettivo e regolare la professione con il titolo professionale di origine per almeno tre anni, a decorrere dalla data di iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati. Tale presupposto non è integrato ove l’avvocato stabilito abbia esercitato la professione, seppur in buona fede, con il titolo dì avvocato invece che con il titolo professionale di origine.
Non occorre provvedere sulle spese in mancanza di difesa della parte intimata.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; nulla sulle spese di questo giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
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