CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 5168 depositata il 16 marzo 2016
IVA – CESSIONE DI BENI IN TEMPORANEA ESPORTAZIONE – NON IMPONIBILE – TERRITORIO EXTRA UE
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 65/10/09, depositata l’08.06.09 e non notificata, la Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla A.C. s.p.a. nei confronti dell’avviso di accertamento per IVA, emesso dall’Agenzia delle entrate di Gorizia, in relazione ad importazioni di merci effettuate dalla predetta societa’, nel corso dell’anno 1999, senza applicazione di IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. c) per effetto dell’utilizzo del c.d. plafond costituito nell’anno precedente, sulla scorta di due verbali redatti dall’Agenzia delle dogane.
2. La CTR – in riforma della decisione di prime cure – riteneva, invero, illegittimo l’inserimento da parte della A.C. s.p.a., nel plafond relativo al precedente anno di imposta, di operazioni di esportazione temporanea per esposizione fieristica, con conseguente sforamento del plafond medesimo, non essendosi verificata in siffatte ipotesi – ad avviso del giudice di appello – una definitiva cessione all’esportazione, che potesse giustificare l’innalzamento del plafond e la non imponibilita’ delle importazioni operate dalla contribuente nell’anno in contestazione.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la A. C. SPA, affidato ad un unico motivo e corredato da memoria ex art. 378 c.p.c.. L’Amministrazione non ha svolto difese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con l’unico motivo di ricorso, la societa’ denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
1.1. Avrebbe, invero errato la CTR – a parere della ricorrente – nel ritenere che le merci inviate all’estero in regime di temporanea esportazione, in quanto destinate ad un’esposizione fieristica, e cedute, poi, nell’ambito della stessa fiera, non costituissero cessioni all’esportazione, tali da giustificare la non imponibilita’ delle importazioni operate dalla contribuente nell’anno in contestazione, mediante utilizzazione del plafond IVA costituito nell’anno precedente, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8. Siffatta operazione, secondo la tesi dell’Agenzia delle entrate, condivisa dal giudice di seconde cure, non costituirebbe, infatti, un’esportazione definitiva, sebbene la vendita della merce fosse avvenuta nel medesimo periodo di imposta, giacche’ trovandosi fisicamente i beni venduti gia’ all’estero al momento della loro alienazione, gli stessi avrebbero gia’ perduto il loro carattere di merce nazionale. Per il che la vendita di detti beni, avvenuta all’estero nell’ambito della medesima fiera, non potrebbe costituire cessione all’esportazione, mancando, nella specie, il requisito della territorialita’ ai fini IVA, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 7, per avere la merce gia’ perduto tale requisito per effetto dell’uscita dal territorio nazionale e comunitario.
1.2. Di contro, a parere della societa’, ai fini della corretta applicazione della normativa in tema di IVA, bisognerebbe fare riferimento, piuttosto, allo stato giuridico dei beni inviati all’estero, che non a quello fisico. Sicche’, dal momento che – a norma del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 199 – l’esportazione temporanea della merce non fa perdere alla stessa la natura di bene nazionale, non vi sarebbe ragione alcuna per escludere dal plafond costituito nell’anno precedente, detta cessione, una volta che l’esportazione da temporanea era divenuta definitiva.
2. Il ricorso e’ fondato.
2.1. Come questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare in fattispecie analoga (Cass. 5894/2013), superando un precedente e difforme orientamento (Cass. nn. 1589 a 1595/2011) la disciplina nazionale delle operazioni relative a scambi con Paesi che si trovino fuori del territorio dell’Unione Europea, come configurata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, e’ ispirata al principio della detassazione dei beni “in uscita” dal territorio comunitario, e dell’applicazione dell’IVA italiana a quelli “in entrata”. E tuttavia, al fine di conciliare l’esenzione da IVA delle operazioni di cessione di beni destinati al consumo all’estero, e non in territorio nazionale (art. 7 decreto cit.), con il diritto essenziale nel sistema comunitario dell’IVA – alla detrazione dell’imposta sugli acquisti, il legislatore ha introdotto talune operazioni concretamente non imponibili, sebbene astrattamente assoggettabili ad imposta.
Ed infatti, benche’ il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, u.c. – nella formulazione applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis – preveda che “non si considerano effettuate nel territorio dello Stato le cessioni all’esportazione (… di cui ai successivi artt. 8, 8 bis e 9), la dottrina unanime non ha mancato di evidenziare l’improprieta’ della disposizione, atteso che le operazioni escluse per difetto di territorialita’ non devono essere confuse con le operazioni non imponibili – come, per l’appunto, le cessioni all’esportazione – per le quali il presupposto territoriale, a differenza delle prime, si realizza, come conferma il loro assoggettamento agli obblighi formali di fatturazione, dichiarazione, ecc..
2.2. A tal riguardo, il menzionato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 individua come cessioni all’esportazione, come tali non imponibili, le cessioni – anche tramite commissionario di beni che siano trasportati o spediti fuori del territorio comunitario, a cura o in nome del cedente o del suo commissionario (lett. a), oppure a cura o per conto del concessionario, purche’ questi non sia residente e l’invio avvenga entro 90 giorni dalla consegna (lett. b). Tali disposizioni trovano, peraltro, la loro fonte diretta, a livello comunitario, nel combinato disposto dell’art. 15, comma 1 e art. 3, comma 1 della 6 Direttiva 77/388/CEE del 17.5.77 (applicabile al caso di specie ratione temporis), a norma dei quali gli Stati membri esentano dall’IVA le cessioni di beni spediti o trasportati dal venditore o per suo conto fuori del territorio della Comunita’ Europea (ora Unione Europea). E l’obiettivo dell’esenzione in parola risiede nella volonta’ comunitaria – di cui e’ applicazione il suindicato sistema italiano di detassazione dei beni in uscita – di non assoggettare ad IVA i consumatori degli Stati terzi, essendo detta imposta destinata a gravare esclusivamente sui consumatori della Comunita’ Europea (cfr. C. Giust. CE 2.8.93, Lange, C-111/92).
E tale esenzione – ma sempre senza limitare il diritto alla detrazione dell’IVA – e’, ora, prevista anche dagli arti. 146-165 della successiva Direttiva 2006/112/CE.
2.3. Ma la norma succitata (lett. c) considera, altresi’, non imponibili – sebbene si tratti di acquisti di merci o prestazioni di servizi destinati ad entrare nel territorio comunitario anche le cessioni di beni (tranne i fabbricati e le aree edificabili) e le prestazioni di servizi fatte a soggetti che abbiano effettuato abitualmente cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, e chiedano al loro fornitore di non applicare l’imposta sull’operazione di acquisto e/o di importazione. La ratio di tale previsione e’ di agevole comprensione, ove si consideri che – come dianzi detto – le suindicate operazioni non imponibili (cessioni all’esportazione ed operazioni intracomunitarie) non limitano la detrazione dell’imposta sugli acquisti. Sicche’ i soggetti che effettuino solo, o prevalentemente (esportatori abituali), operazioni di tal fatta, finirebbero per trovarsi costantemente in credito con l’Erario, giacche’ l’esiguita’ delle operazioni imponibili compiute (a debito) non varrebbe a compensare quella sugli acquisti (a credito). Per limitare l’inconveniente che deriverebbe – sul piano dell’economia nazionale – dal porre taluni operatori in permanente attesa del rimborso dell’eccedenza di imposta, il legislatore consente loro di effettuare acquisiti senza applicazione dell’IVA, includendo tra le operazioni non imponibili anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi compiute nei loro confronti. E tuttavia, trattandosi di un regime di sospensione di imposta, e non di esenzione, il beneficio in questione, per esigenze di cautela dell’Erario, e’ subordinato a rigorosi presupposti (Cass. 12744/11).
Ed invero, anzitutto di tale beneficio – ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 e del D.L. n. 746 del 1983, art. 1 convertito in L. n. 17 del 1984 – possono avvalersi soltanto i soggetti che abbiano effettuato cessioni all’esportazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, lett. a) e b), registrate nell’anno precedente, per corrispettivi superiori al 10% del complessivo volume di affari. Inoltre, l’esportatore abituale, prima di effettuare acquisiti senza pagamento dell’imposta, deve presentare alla controparte una “dichiarazione d’intenti”, della cui veridicita’ l’emittente assume ogni responsabilita’ (Cass. 21956/10), e con la quale l’esportatore medesimo manifesta chiaramente l’intento di avvalersi di tale facolta’. Infine, gli acquisiti senza applicazione dell’IVA sono consentiti nei. limiti dell’ammontare complessivo dei corrispettivi delle cessioni all’esportazione di cui alle lett. a) e b) dell’art. 8 del decreto cit., registrate nell’anno precedente (Cass. 4022/12).
3. Orbene, tutto cio’ premesso, va rilevato che, nel caso concreto, il giudice di appello ha inteso escludere la possibilita’ di ricomprendere nel plafond costituito nell’anno precedente l’operazione di esportazione temporanea, effettuata dalla A. C. SPA nell’anno 1999, di merce destinata ad essere inviata al di fuori della Comunita’ (in Croazia) per un’esposizione fieristica e per l’eventuale futura vendita. Tale operazione non costituirebbe, infatti, a parere della CTR, un’esportazione definitiva, sebbene la vendita della merce fosse avvenuta nel medesimo periodo di imposta, giacche’ trovandosi fisicamente la merce stessa gia’ in Croazia al momento della vendita, essa avrebbe gia’ perduto il suo carattere di merce nazionale per effetto della spedizione al di fuori del territorio comunitario, non la conseguente non configurabilita’ di una cessione all’esportazione.
3.1. Tale conclusione e’ infondata.
3.1.1. Va osservato, infatti, che la statuizione cui e’ pervenuto il giudice di appello e’ ancorata al fatto che la merce venduta dalla A.C. SPA si trovasse fisicamente all’estero, nel momento in cui la vendita veniva conclusa. Tale dato non e’, tuttavia, decisivo ai fini di escludere che detta operazione costituisca cessione all’esportazione.
Ed invero, va rilevato che, dal punto di vista del regime giuridico, in forza del combinato disposto del D.P.R. n. 43 del 1973, artt. 199 e 214 e’ consentita la temporanea esportazione – istituto conosciuto anche dal codice doganale comunitario – per il traffico internazionale di merci destinate a servire come campioni “per tentarne la vendita”, e/o per “manifestazioni culturali, fieristiche, artistiche, sportive”, ecc. Deve, inoltre, considerarsi che – in forza del disposto di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 199, comma 3 “le merci vincolate al regime della temporanea esportazione conservano la condizione giuridica di merci nazionali o nazionalizzate”.
Se ne deve necessariamente inferire che l’esportazione temporanea, a fini di esposizione fieristica e tentativo di vendita, con successiva cessione, dei beni esportati, con controllo dell’autorita’ doganale ed adempimento dei relativi incombenti (D.P.R. 43 del 1973, art. 214), vale certamente ad integrare la cessione all’esportazione ex art. 8, lett. a) e b), come tale riconducibile al plafond costituito nell’anno precedente, utilizzabile, nell’anno successivo, ai fini dell’acquisito senza applicazione dell’IVA.
3.1.2. Va considerato, infatti, che – per effetto della cessione dei beni esportati per le suindicate finalita’, previste dalla normativa in materia – l’esportazione da temporanea e’ divenuta definitiva, venendo, in tal modo, ad integrare i presupposti per la sua riconducibilita’ al plafond costituito nell’anno precedente. Il permanere della condizione giuridica di merci nazionali dei beni vincolati all’esportazione temporanea, infatti, rende possibile la cessione in regime IVA, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 7.
L’effettivo perfezionamento di tutte le operazioni di esportazione, attestato dalla Dogana ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, lett. a) e b), – non in contestazione nel caso di specie determina, invero, la destinazione dei beni all’esportazione, ai sensi e per gli effetti della norma succitata (Cass. 6351/02). Al contempo, l’assoggettamento di tali operazioni alle formalita’ relative all’IVA, come l’obbligo di fatturazione desumibile dall’art. 8, lett. a) e b) ne determina la possibilita’ di ricomprenderle nel coacervo di operazioni, rilevanti ai fini dell’imposta in questione, compiute nell’anno precedente quello in considerazione, utilizzabili come plafond dall’esportatore abituale per gli acquisti extracomunitari di merci senza pagamento di imposta, effettuati nell’anno successivo. La vendita della merce temporaneamente esportata, che conserva – come detto – la condizione giuridica di bene nazionale, vale, pertanto, a determinare, nel caso di specie, la trasformazione dell’esportazione temporanea, cui la merce e’ vincolata, per effetto del compimento delle formalita’ doganali e per le finalita’ di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, artt. 199 e 214 in esportazione definitiva, come tale rilevante anche ai fini della non imponibilita’ delle operazioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, lett. c).
3.2. D’altro canto, non appare convincente neppure l’ulteriore assunto della CTR, secondo la quale la cessione all’esportazione richiederebbe una contemporaneita’ tra esportazione e vendita dei beni da esportare, dal momento che cessioni di beni sono, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2 “gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprieta’, ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento”. Per il che, a parere del giudici di appello, solo la vendita gia’ perfezionata all’atto dell’esportazione – mediante trasporto o spedizione fuori del territorio comunitario e pagamento del corrispettivo – potrebbe dare luogo a cessione rilevante ai fini del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8.
Senonche’, va – di contro – rilevato che l’art. 6, comma 1 del decreto cit. prevede, altresi’, il caso in cui, ancorche’ la merce sia stata trasportata o spedita all’estero, gli effetti traslativi o costitutivi della vendita non si siano ancora perfezionati, in quanto destinati a prodursi successivamente; e, quindi, se la merce e’ stata spedita fuori del territorio comunitario, la vendita puo’ venire a perfezionarsi anche nel luogo ove i beni si trovino nel momento in cui si producono detti effetti. Con la conseguenza che la scissione temporale tra temporanea esportazione e successiva vendita della merce viene, in tal modo, ad essere ulteriormente giustificata.
4. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, pertanto, il motivo di ricorso articolato dalla contribuente, a giudizio della Corte, si palesa del tutto fondato e non puo’ che essere accolto.
5. L’accoglimento del ricorso della A.C. SPA comporta la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, accoglie il ricorso introduttivo della societa’ contribuente.
6. Le spese del presente grado del giudizio vanno poste a carico della resistente soccombente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei gradi di merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della societa’ contribuente;
condanna l’Amministrazione resistente al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 6.000,00, oltre agli accessori di legge; dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.
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