CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 5410 del 3 marzo 2017
Processo tributario – Notifica
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, avverso la sentenza della C.T.R. della Campania, sezione staccata di Salerno, depositata in data 25/2/2010, con la quale, rigettandosi l’appello dell’Ufficio, è stata confermata la decisione di primo grado che, su ricorso di M. C., ha annullato per difetto di notifica gli avvisi di accertamento nei suoi confronti emessi per Irpef relativa agli anni 1994 e 1995. Hanno infatti rilevato i giudici d’appello che la notifica risulta effettuata a mani del padre C. G. che però è residente in un comune diverso da quello del domicilio fiscale del contribuente, dovendosi altresì considerare per tal motivo errata la dicitura «convivente».
Il contribuente resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360, comma primo n. 5, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. da un lato ritenuto sostanzialmente inammissibile l’appello perché non specifico, dall’altro esaminato compiutamente la doglianza relativa alla questione della nullità della notificazione.
3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 139 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ.. Sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dai giudici d’appello, la notifica dell’avviso di accertamento deve ritenersi regolare in quanto effettuata a mani del padre C. G., essendo a tal fine sufficiente anche la sola esistenza di un vincolo di parentela e non anche necessariamente quello della convivenza, peraltro dichiarata nel caso di specie dal consegnatario.
4. È priva di pregio l’eccezione di inammissibilità del ricorso in quanto mancante dell’indicazione della persona fisica che ricopre la carica di rappresentante dell’ente ricorrente. Con ferma giurisprudenza questa Corte ha, al riguardo, avuto modo di evidenziare che, in tema di contenzioso tributario, stante la rappresentanza legale dell’Agenzia delle Entrate in capo al suo direttore generale ed il difetto di personalità giuridica delle rispettive articolazioni territoriali, non occorre necessariamente indicare nel ricorso per cassazione il nome della persona fisica preposta a tale carica, essendo individuato in modo incontrovertibile, per la circostanza sopradetta, ai sensi degli artt. 67 e 68 d.lgs. n. 30 luglio 1999, n. 300, quale unico rappresentante ed autorizzato ex lege a stare in giudizio davanti alla Corte di cassazione (Sez. 5, n. 5875 del 08/03/2013, Rv. 625908; Sez. 5, n. 22761 del 03/12/2004, Rv. 579393).
5. È inammissibile il primo motivo di ricorso, sia perché inconferente rispetto alla ratio decidendi, sia perché non sorretto da alcun apprezzabile interesse in capo alla parte ricorrente. Sotto il primo profilo occorre invero rilevare che la motivazione della sentenza impugnata spiega compiutamente le ragioni della adottata statuizione di rigetto dell’appello, mentre la premessa cui la critica in esame fa riferimento, relativa alla mancanza di motivi specifici di impugnazione, non ha trovato poi alcuno sviluppo argomentativo né incidenza rispetto all’effettivo contenuto decisorio della sentenza, né tantomeno di per sé vale a privare di coerenza logica il successivo argomentare relativo alla infondatezza, nel merito, delle insistite tesi dell’amministrazione appellante. Sotto il secondo profilo è appena il caso di soggiungere che della mancata declaratoria di inammissibilità dell’appello, coerente con la premessa della mancanza di specifici motivi di gravame, non ha certo motivo di dolersi la stessa parte appellante, che ha visto comunque rigettato il suo gravame.
6. È poi infondato il secondo motivo. A norma dei commi primo e secondo dell’art. 139 c.p.c. (applicabile anche alla notifica «degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente», in forza del richiamo operato dall’art. 60 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con la sola modifica – per quel che rileva ai fini in esame – di cui alla lett. c secondo cui «salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso in mani proprie, la notificazione deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario»), la notificazione, «se non avviene nel modo previsto nell’articolo precedente, … deve essere fatta nel comune di residenza del destinatario, ricercandolo nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio. Se il destinatario non viene trovato in uno di tali luoghi, l’ufficiale giudiziario consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace». Se ne deve desumere, quindi, che, se la notificazione non avviene in mani proprie, il destinatario va ricercato nel comune del domicilio fiscale e, precisamente, nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio, e, nel caso in cui non venga trovato in tali luoghi, l’ufficiale giudiziario è tenuto a consegnare ivi l’atto a persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, trattandosi comunque di persone la cui posizione giustifica – in caso di accettazione dell’atto senza esternazione di alcuna riserva – la presunzione di una sollecita consegna di esso al destinatario. Ne consegue che il presupposto per l’esecuzione di una valida notificazione con queste modalità è che la consegna avvenga nella casa di abitazione o presso il domicilio del notificando e non presso l’abitazione del familiare. Secondo pacifico indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, invero, in tema di notifica effettuata a mani di un familiare del destinatario, la presunzione di convivenza non meramente occasionale non opera nel caso in cui la notificazione sia stata eseguita nella residenza propria del familiare, diversa da quella del destinatario dell’atto, in tal caso non potendosi ritenere avverato il presupposto della frequentazione quotidiana sul quale si basa l’ipotesi normativa della presumibile consegna (v. ex aliis Sez. 6 – 2, Ord. n. 7750 del 05/04/2011, Rv. 617432; Sez. 1, n. 6817 del 02/07/1999, Rv. 528208; Sez. 1, Sentenza n. 1843 del 20/02/1998, Rv. 512870). Nel caso di specie la decisione impugnata si conforma pienamente a tale principio muovendo essa dall’esplicito accertamento di fatto – di per sé non fatto segno di specifica conferente censura in questa sede da parte dell’amministrazione ricorrente – secondo cui il familiare cui l’atto è stato consegnato abbia residenza in comune diverso da quello del domicilio fiscale del contribuente.
7. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dell’amministrazione ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 2.500, oltre rimborso forfettario nella misura del 15% e oltre accessori come per legge.
Così deciso il 13/12/2016
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