CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 5507 depositata il 21 marzo 2016
SOCIETÀ DI CAPITALI – SOCIETÀ PER AZIONI – COSTITUZIONE – MODI DI FORMAZIONE DEL CAPITALE – TITOLI AZIONARI – INTESTAZIONE FIDUCIARIA – NATURA GIURIDICA – INTERPOSIZIONE REALE DI PERSONA – CONFIGURABILITÀ – CONSEGUENZE
Il PROCESSO
V.M.A. e V.L. impugnano la sentenza App. Venezia 4.2.2014, n. 281/2014 con cui veniva rigettato il proprio appello avverso la sentenza Trib. Treviso 9.7.2007, n.1356/07 con cui il primo giudice aveva: a) negato fondamento alla domanda di nullita’ ovvero inefficacia del trasferimento delle quote della societa’ E. International s.r.l. da parte di T.G., P., Gi., S., N. e M. in favore della s.a.s. G. II, in pretesa violazione della clausola di prelazione prevista nello statuto di E. International s.r.l. (poi divenuta s.p.a.); b) negato la declaratoria di invalidita’ dell’assemblea 30.4.2005, nella quale era stata assunta la delibera di approvazione del bilancio del 2004 di E. International s.r.l. con il voto determinante di G. II; c) rigettato la domanda subordinata di simulazione e nullita’ dell’atto costitutivo di G. II, nonche’ la relativa iscrizione a libro soci e parimenti la invalidita’ delle predette assemblea e delibera di E. International s.r.l. assunta con il voto di G. II.
Ritenne la corte d’appello, in primo luogo, che i V. erano legittimati alla impugnazione della delibera assembleare del 30.4.2005 in quanto divenuti soci all’epoca, ma il dedotto motivo di annullamento era infondato, poiche’ prospettato sull’assunto che l’invalidita’ derivava dal diritto ad esercitare la prelazione in caso di trasferimento della partecipazione societaria, negozio concluso il 18.2.2000, allorche’ la qualita’ effettiva di soci spettava solo ai fiduciari T.G. e Ga., cui le quote (del 20%) erano state affidate, sulla base di una ritenuta interposizione reale e non fittizia di persona, cosi’ interpretato il patto fiduciario fra le parti. Ne la circostanza della partecipazione della E. all’accordo o patto parasociale del 20.11.2001 con cui venivano riconosciuti determinati diritti ai V., in quanto fiducianti dei soci T., poteva condurre, secondo la sentenza, ad un effetto diverso da mere conseguenze risarcitorie ove violato, escludendosi ogni illegittimita’ dell’iscrizione a libro soci della societa’ conferitaria delle quote. Era infine infondata la domanda di simulazione del contratto sociale di G. II che, per quanto non incompatibile anche a tale schema per essere societa’ di persone, comunque aveva operato effettivamente, in coerenza con l’oggetto sociale e dunque gestendo la partecipazione in E., nemmeno peraltro potendosi invocare, ove gli atti avessero ecceduto rispetto all’oggetto sociale stesso, un profilo di nullita’, sussistendo semmai una mera inopponibilita’ di essi ai terzi di una fede. Escludeva infine la corte d’appello che sulla questione della legittimazione a far valere il diritto di prelazione si fosse formato alcun giudicato in virtu’ di un passaggio motivazionale della sentenza Trib. Treviso n. 1552 del 2009 resa fra le stesse parti, posto che con essa proprio i V. erano rimasti soccombenti e gli appellati difettavano di interesse al riguardo, ne’ avevano l’onere di svolgere appello incidentale per richiamare le eccezioni non condivise dal giudice di primo grado, tanto piu’ che le avevano riproposte in sede di difese d’appello.
Il ricorso e’ strutturato su sei motivi, cui resiste E. International (ora) s.p.a. con controricorso. Le parti hanno depositato memoria.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione di legge, quanto agli artt. 2377 e 2469 c.c., e art. 100 c.p.c., avendo trascurato la corte d’appello che fondamento della domanda attorea era l’oggettiva violazione della clausola statutaria in ordine alla prelazione, per mancato rispetto della procedura della denuntiatio ivi prevista con conseguente nullita’ del trasferimento a G. II s.a.s. e carenza della qualita’ di socia di E..
Con il secondo motivo viene dedotto il vizio di nullita’ di sentenza e procedimento, per avere la corte d’appello deciso il motivo d’impugnazione sulla base di elementi costitutivi difformi da quelli dell’appello, posto che la domanda di invalidita’ della delibera poggiava sul disconoscimento in capo a G. II s.a.s. della qualita’ di socio, a motivo della violazione della clausola di prelazione statutaria.
Con il terzo motivo si deduce che la carenza di legittimazione al voto di G. II s.a.s. era la inefficacia ovvero nullita’ della cessione delle quote, posto che la loro titolarita’ sussisteva anche in quel momento in capo ai V., avendo sul punto la sentenza frainteso i principi sulla sostituzione societaria, per la quale il fiducianti conservano la titolarita’ in via sostanziale dei diritti inerenti alla qualita’ di socio, valendo in alternativa la regola del mandato di cui all’art. 1705 c.c..
Con il quarto e quinto motivo i ricorrenti sollevano la violazione dell’art. 112 c.p.c., e prospettano l’abuso del diritto ai sensi degli artt. 833 e 1175 c.c., non avendo la sentenza esaminato il profilo dell’exceptio doli, che avrebbe chiarito come le parti dell’atto ricognitivo dell’accordo fiduciario tra i V. e i T. fiduciari avrebbero dovuto permettere ai fiducianti di esercitare i diritti sociali di cui erano sostanziali titolari.
Con il sesto motivo, viene dedotta la nullita’ della sentenza, con riguardo all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 111 Cost., comma 6, ed il vizio di motivazione, per essere stata resa una pronuncia con motivazione solo apparente o perplessa sulla questione della simulazione della G. II s.a.s., non considerando che agli atti ricognitivi del patto fiduciario avevano partecipato anche i T. e non solo la nuova societa’ conferitaria, a comprova del carattere fittizio di tale ultima societa’.
1. I primi tre motivi, da trattare congiuntamente per l’evidente connessione, sono infondati, posto che il difetto di legittimazione alle impugnative proposte e’ stato pronunciato in virtu’ di un accertato rapporto fiduciario riferito ad interposizione reale della titolarita’ dominicale della partecipazione e discendente da un negozio che, per il rapporto interno cui da’ vita e cosi’ regolandone gli aspetti, ha natura meramente obbligatoria (Cass. 10121/2007), disciplinando la qualita’ di socio spettante ai fiduciari T. e non ai fiducianti V., che non risultavano all’epoca del conferimento delle quote nella G. II titolari di diritti sociali e dunque erano privi della pretesa prelazione (altra essendo l’eventuale relazione risarcitoria fra le parti del negozio fiduciario). Ne’ sul punto appare contraddittoria la mancata valorizzazione della partecipazione della societa’ partecipata e dei suoi soci ad una scrittura ricognitiva del negozio fiduciario, avendo la sentenza cosi’ ricostruito gli effetti da esse voluti, accertati siccome propri di una partecipazione in cui i T. erano gli intestatari delle quote ed esercitavano i connessi diritti. La sentenza impugnata ha invero rispettato il principio, cui va data continuita’, per cui l’intestazione fiduciaria di titoli azionari (o di quote di partecipazione societaria) integra gli estremi dell’interposizione reale di persona, per effetto della quale l’interposto acquista (a differenza che nel caso di interposizione fittizia o simulata) la titolarita’ delle azioni o delle quote, pur essendo, in virtu’ di un rapporto interno con l’interponente di natura obbligatoria, tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto in precedenza con il fiduciante, nonche’ a ritrasferire i titoli a quest’ultimo ad una scadenza convenuta, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario (Cass. 13261/1999).
2. Gli stessi ricorrenti non hanno conseguito alcun accoglimento della propria domanda davanti al tribunale, non apparendo dunque abilitati a giovarsi di alcun accertamento giudiziale intorno alla qui invocata qualita’ di soci effettivi di E. alla data del contestato conferimento nella societa’ G. II, facendo difetto nella statuizione di quel giudice un essenziale contenuto precettivo (che non e’ stato in ogni caso dimostrato), ed essendosi la pronuncia limitata al rigetto della domanda attorea. Ne’ dunque sussisteva l’onere per gli attuali controricorrenti, parti totalmente vittoriose in primo grado, di proporre appello incidentale, ben potendo essi limitarsi a riproporre le deduzioni (invero prospettate avanti alla corte d’appello in modo inequivoco quali avversative anche di tale parte della sentenza di primo grado), senza preclusioni conseguenti ad una rinuncia presunta ai sensi dell’art. 346 c.p.c.. Cosi’ questa Corte, con indirizzo cui il Collegio intende dare continuita’, gia’ ha statuito che la formazione della cosa giudicata per mancata impugnazione su un determinato capo della sentenza investita dal gravame, puo’ verificarsi soltanto con riferimento ai capi della stessa sentenza completamente autonomi, in quanto concernenti questioni affatto indipendenti da quelle investite dai motivi di impugnazione, perche’ fondate su autonomi presupposti di fatto e di diritto, tali da consentire che ciascun capo conservi efficacia, come detto, precettiva anche se gli altri vengono meno, mentre, invece, non puo’ verificarsi sulle affermazioni contenute nella sentenza che costituiscano mera premessa logica della statuizione adottata, ove quest’ultima sia oggetto del gravame (Cass. 4363/2009), tanto piu’ che ove non sia stata proposta impugnazione nei confronti di un capo della sentenza e sia stato, invece, impugnato un altro capo strettamente collegato al primo, e’ da escludere che sul capo non impugnato si possa formare il giudicato interno (Cass. 4934/2010). Cosi’, costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualita’ ed autonomia, si’ da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; la suddetta autonomia manca non solo nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verta in tema di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (Cass. 4732/2012).
3. Il quarto e il quinto motivo non sono fondati. Si osserva che la corte d’appello si e’ diffusamente soffermata, decisivamente e con un’indagine di fatto riservata al solo predetto giudice, sulla volonta’ delle parti, mediante una completa ricostruzione della latitudine innanzitutto espressa nelle varie disposizioni contrattuali della controversa clausola di prelazione e che i ricorrenti non hanno indicato quali altre condotte successive alla stipula del contratto di societa’ sarebbero state omesse nella ricerca della comune intenzione delle parti. Si tratta di questione che non puo’ invero essere aggirata, perche’ presupposta anche rispetto alla qui dedotta exceptio doli e per essa si condivide l’indirizzo seguito in sentenza per cui il principio di libera trasferibilita’ delle quote nello stesso statuto, all’art. 7, si atteggiava a criterio guida del regime della relativa circolazione.
La salvezza del “diritto di prelazione dei soci”, per quanto incidente sulla riportata ampia latitudine del diritto di disporre delle quote previsto in capo ai soci delle E., non solo era esplicitamente esclusa in caso di trasferimento interparentale, ma appariva procedimentalizzata anche per le ipotesi di sicura cessione a titolo oneroso, come attestato dagli specifici riferimenti alle nozioni di “prezzo” del “trasferimento”, cosi’ permettendo ai giudici veneziani di escludere la ricorrenza della contestata violazione della prelazione convenzionale in caso, come nella fattispecie, di conferimento delle quote, da parte degli altri soci, in una societa’.
La conclusione e’ convincente, poiche’ la denuntiatio cui il socio alienante era per statuto obbligato verso la societa’, al fine di far avvisare gli altri soci, si atteggiava – secondo tale ragionevole ricostruzione – quale congegno sicuramente funzionante solo in caso di sostituzione soggettiva evitabile da parte di questi mediante una controprestazione identica a quella indicata dal socio uscente (rectius, cedente la quota), cioe’ corrispondendo il medesimo prezzo, a tale elemento centrale logicamente – nell’accertamento della fattispecie esperito dal giudice dovendo riferirsi anche con riguardo a “tutte le altre condizioni e patti” indicati dal socio alienante medesimo. Il conferimento delle quote, da parte degli altri soci e in una societa’ dai medesimi partecipata, che cosi’ assumeva la qualita’ di socio in sostituzione dei conferenti che in tal modo ne liberavano il capitale, non mostra invece ne’ direttamente di atteggiarsi a violazione del citato limite alla circolazione delle quote (non ricorrendo l’identico elemento di scambio), ne’ di integrare una delle ipotesi di alienazione onerosa accertata dalla corte d’appello, piuttosto evidenziando un meccanismo negoziale riorganizzativo delle partecipazioni stesse. E d’altronde tale differenza trova una base ordinamentale pure nei regimi delle prelazioni a fonte legale, a comprova di una sua compatibilita’ razionale anche con la clausola privatistica in esame, laddove si consideri che: il conferimento di un fondo rustico in una societa’ di capitali non implica prelazione e riscatto in favore dell’affittuario, in quanto, configurando un trasferimento privo di controprestazione in denaro e correlato all’acquisto della qualita’ di socio sulla base di negozio intuitu persone, non e’ assimilabile ai contratti di scambio di cui alla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, (Cass. 7039/1992); ancora, il conferimento del fondo rustico in societa’ di capitali, quale atto traslativo diretto ad acquisire lo status di socio in correlazione della quota contestualmente sottoscritta, non implica i diritti di prelazione e riscatto in favore del coltivatore, atteso che la L. n. 590 del 1965, cit. art. 8, comma 2, sull’esclusione dei diritti medesimi nel caso di permuta, va riferito ad ogni ipotesi in cui l’immobile sia trasferito dietro un corrispettivo costituito non da denaro, ma da altro bene determinato ed infungibile (Cass. 8458/1991, 26044/2005); il conferimento nel capitale di una societa’, per effetto della sottoscrizione di aumento del capitale, della proprieta’ di un immobile oggetto di dismissione del patrimonio degli enti previdenziali pubblici, dietro la cessione di una partecipazione azionaria in favore del conferente, non e’ riconducibile alla fattispecie della vendita, quale tipo contrattuale propriamente legittimante la configurazione del diritto di prelazione a vantaggio del titolare del contratto di locazione del medesimo immobile, in relazione alla chiara previsione della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 109, come modificato dalla L. 23 dicembre 1999, n. 488 (Cass. 710/2014); il conferimento nel capitale sociale della proprieta’ di un immobile gia’ concesso in locazione non fa sorgere in capo al conduttore i diritti di prelazione e di riscatto previsti dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 38 e 39, poiche’ il conferimento non equivale ad un “trasferimento a titolo oneroso” ai sensi dell’art. 38, comma 1, della legge citata (Cass. 12230/2012).
Ne’ vale in contrario, quale principio di contraddizione, opporre la prelazione sui beni culturali di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 60, non solo per la peculiare dimensione pubblicistica che vi governa la facolta’ d’acquisto in capo allo Stato e agli enti pubblici, ma proprio per l’espressa indicazione anche del meccanismo determinativo della prestazione dovuta dal prelazionario nei confronti del conferitario il bene in una societa’, in luogo della prestazione infungibile del conferente: tale norma e’ dunque di stretta interpretazione e piuttosto pone in risalto che, nella prelazione convenzionale societaria della fattispecie in esame, nessun congegno di funzionamento venne previsto per il conferimento delle quote in una societa’.
4. Il sesto motivo e’ inammissibile. E’ invero denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014, 8054/2014). Nessuna delle citate circostanze negative sussiste con riguardo alla pronuncia impugnata.
Il ricorso va dunque rigettato, con condanna dei ricorrenti alle spese del procedimento di legittimita’, secondo il criterio della soccombenza e come liquidate in dispositivo. Sussistono inoltre i presupposti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento in favore del controricorrente, liquidando le stesse in Euro 10.200,00, (di cui euro 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario del 15% sui compensi e gli accessori di legge. Si da’ atto che sussistono i presupposti, ai sensi del D.P.R. n. 115
del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.