CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 5642 del 22 marzo 2016
LAVORO – STRANIERI – DECRETO DI ESPULSIONE – SOSPENSIONE – PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA DI EMERSIONE – NON SUSSISTE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO/MOTIVI DELLA DECISIONE
In data 13 agosto 2012 A.S. veniva fermato per un controllo di polizia a seguito del quale – risultando essere entrato illegalmente nel territorio italiano, nonché sprovvisto dei requisiti idonei ad ottenere il permesso di soggiorno – veniva emesso in pari data decreto di espulsione e contestualmente ordine di allontanamento.
Avverso tali provvedimenti proponeva ricorso lo S. dinanzi al Giudice di pace di Roma, il quale rigettava il ricorso in data 7 aprile 2014.
Lo S. ha proposto ricorso in cassazione avverso detto provvedimento con quattro motivi.
Le amministrazioni convenute non hanno compiuto attività difensiva.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’inesistenza e/o nullità del provvedimento di espulsione, sostenendo che lo stesso gli era stato notificato in copia semplice di una copia conforme all’originale.
Il motivo è inammissibile in quanto il ricorrente omette di indicare se aveva proposto la questione innanzi al giudice di pace, dal momento che nel decreto impugnato non si rinviene traccia in proposito.
Difatti va rammentato l’orientamento di questa Corte secondo la quale qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 23675/2013).
Inoltre, il motivo appare inammissibile anche per violazione del requisito di cui all’art. 366 n. 6), laddove la norma richiede l’indicazione specifica dei documenti sui quali il ricorso si fonda, mentre l ’odierno ricorrente si limita a richiamare l ‘illegittimità del provvedimento di espulsione senza indicare se tale documento sia stato depositato e dove sia possibile rinvenirlo.
Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 13 TU 286/98, in quanto il ricorrente sostiene che il provvedimento di espulsione non sia stato tradotto in una lingua a lui comprensibile. Come si evince dallo stesso ricorso il provvedimento di espulsione è stato però tradotto sia in lingua italiana che in lingua inglese, che è una delle lingue specificatamente indicate dal TU 286/98 all’art. 13 che prevede che il provvedimento di espulsione debba essere tradotto in una lingua conosciuta dallo straniero ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola.
Va rammentato che in tema di opposizione a decreto di espulsione, l’obbligo dell’autorità procedente di tradurre la copia del decreto di espulsione nella lingua nazionale dello straniero o in altra lingua a lui nota può essere derogato nella sola ipotesi in cui detta autorità attesti e specifichi le ragioni tecnico-organizzative che abbiano impedito tale operazione e abbiano imposto, pertanto, la traduzione nelle lingue cosiddette veicolari (inglese, francese e spagnolo); siffatto obbligo viene meno quando il giudice di merito abbia accertato, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, la comprovata conoscenza della lingua italiana da parte dell’interessato (Cass. 24170/10).
Nel caso di specie il Giudice di Pace ha espressamente dichiarato che lo straniero risultava da anni presente sul territorio italiano e quindi verosimilmente a conoscenza della lingua italiana.
Tale argomentazione non è stata oggetto di contestazione nel ricorso odierno, in quanto il ricorrente si limita a contestare la violazione della normativa in materia, che non si configura stante l’accertamento fatto dal Giudice di Pace circa la conoscenza dell’Idioma italiano da parte dello straniero.
Il secondo motivo appare, pertanto, infondato.
Con il terzo motivo di ricorso, lo S. lamenta che il giudice di Pace non avrebbe tenuto conto della pendenza di un procedimento di emersione da lavoro irregolare e, a causa di tale errore, ha rigettato il ricorso proposto dallo straniero “stante il fatto che non si è perfezionata la domanda di emersione da lavoro irregolare Con il quarto motivo prospetta la medesima questione sotto il diverso profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c..
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente data la stanziale identità delle questioni prospettate, appaiono infondati. L’art. 5, comma 11 D.lgs 109/2012 prescrive che “nelle more della definizione del procedimento (emersione dal lavoro irregolare) di cui al presente articolo lo straniero non può essere espulso. Secondo consolidato orientamento di questa Corte in materia di immigrazione, le espulsioni amministrative adottate antecedentemente alla apertura del procedimento di emersione, non sono soggette alla sospensione “ex lege” prevista dall’art. 1 ter, comma 8, del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito in legge 3 agosto 2009, n. 102, poiché, alla stregua della chiara lettera di questa, e della evidente “ratio” dell’istituto, la sospensione del potere espulsivo correlata alla procedura di emersione rende invalida l’espulsione in sua pendenza adottata, e non è quindi idonea a determinare l’invalidazione “ex ante” di una espulsione emessa prima ancora che il datore di lavoro presenti la richiesta di emersione (Cass. 10242/2013).
Nel caso di specie, al momento in cui veniva adottato il provvedimento di espulsione del ricorrente, il 13 agosto 2012 e confermato dal Giudice di Pace in data 7 aprile 2014, non era pendente alcuna procedura di emersione, così come risulta dallo stesso atto di ricorso dello S.
Difatti, in tale atto si legge che la domanda di emersione veniva rigettata prima dell’adozione del provvedimento di espulsione, e a nulla rileva che fino a quel momento lo straniero non avesse cognizione dell’avvenuto rigetto.
Va, a tal proposito, rammentato che la dichiarazione di emersione del lavoro irregolare di extracomunitari rimuove la condizione di illegalità correlata alla presenza del lavoratore extracomunitario nel territorio dello Stato, attraverso il rilascio di un permesso di soggiorno, alla condizione che la procedura di regolarizzazione abbia esito positivo; qualora, invece, la procedura si concluda negativamente, lo straniero torna a tutti gli effetti nella precedente condizione di illegalità, che impone l’immediata adozione del provvedimento di espulsione tramite accompagnamento alla frontiera (Cass. 8469/2012).
Dunque, non si produce la sospensione del procedimento di espulsione nel caso in cui questo sia iniziato prima della presentazione della domanda di emersione e, allo stesso modo, la sospensione non si verifica laddove il procedimento di emersione si sia concluso con esito negativo prima dell’inizio del procedimento di espulsione stesso.
Infatti, in nessuno dei due casi vi è un procedimento pendente di emersione e, pertanto, non sussistono i presupposti per la sospensione del procedimento di espulsione.
Alla luce di quanto detto il ricorso va rigettato.
Ove si condividano i testé formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c.
P.Q.M.
Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio.
Considerato:
– che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra;
– che pertanto il ricorso va rigettato. Nulla spese
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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