CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 5671 depositata il 22 marzo 2016
TRIBUTI – TASSA DI CONCESSIONE GOVERNATIVA SULL’UTILIZZO DEGLI APPARECCHI DI TELEFONIA MOBILE – APPLICAZIONE AI SERVIZI DI RADIOFONIA MOBILE – SUSSISTE
In fatto e in diritto
Il Comune di Perugia ricorre contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, riformando la decisione di primo grado, ha ritenuto dovuta la tassa di concessione governativa per l’impiego di telefoni cellulari utilizzati dal contribuente medesimo in base ad abbonamenti con l’erogatore del servizio di telefonia mobile.
La Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto che la liberalizzazione della fornitura di servizi di comunicazione elettronica recata dal decreto legislativo n. 259/03 non aveva comunque abolito il regime autorizzatorio da parte della P.A., sostituendosi al contratto di abbonamento con il gestore del servizio radiomobile la licenza di stazione radio e giustificandosi il mantenimento della tassa di concessione sull’utilizzo degli apparecchi di telefonia mobile.
Il Comune di Perugia prospetta quattro motivi di ricorso, ai quali ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso. La parte ricorrente ha depositato memoria.
Con i quattro motivi proposti si deduce sotto diversi profili la violazione degli artt. 10 della Costituzione, 5, del Trattato UE e del diritto comunitario pertinente, 2 c. 4 d.l. n. 4/2014, conv. nella l. n. 50/2014, 160 d.lgs.n.259/2003 e 21 della Tariffa annessa al dPR n. 641/1972.
L’Agenzia delle Entrate ha dedotto l’infondatezza del ricorso alla luce della pronunzia di queste Sezioni Unite n. 9560/2014.
I motivi di ricorso meritano un esame congiunto stante la loro stretta connessione.
Va detto che le questioni sollevate dalla parte ricorrente sono state affrontate in via definitiva dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 9560/2014 ove si è affermato che in tema di radiofonia mobile, l’abrogazione dell’art 318 del d.P.R. 28 marzo 1973, n. 156, ad opera dell’art. 218 del dlgs. 1 agosto 2003, n. 259, non ha fatto venire meno l’assoggettabilità dell’uso del “telefono cellulare” alla tassa governativa di cui all’art. 21 della tariffa allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, in quanto la relativa previsione è riprodotta nell’art. 160 del d.lgs. n. 259 cit. Va, infatti, esclusa come anche desumibile dalla norma interpretativa introdotta con l’art. 2, comma 4, del d.l. 24 gennaio 2014, n. 4, conv. con modif. in legge 28 marzo 2014, n. 50, che ha inteso la nozione di stazioni radioelettriche come inclusiva del servizio radiomobile terrestre di comunicazione – una differenziazione di regolamentazione tra “telefoni cellulari” e “radio-trasmittenti”, risultando entrambi soggetti, quanto alle condizioni di accesso, al d.lgs. 259 cit. (attuativo, in particolare, della direttiva 2002/20/CE, cosiddetta direttiva autorizzazioni), e, quanto ai requisiti tecnici per la messa in commercio, al dlgs. 5 settembre 2001, n. 269 (attuativo della direttiva 1999/5/CE), sicché il rinvio, di carattere non recettizio, operato dalla regola tariffaria deve intendersi riferito attualmente all’art. 160 della nuova normativa, tanto più che, ai sensi dell’art. 219 del medesimo d.lgs., dalla liberalizzazione del sistema delle comunicazioni non possono derivare “nuovi o maggiori oneri per lo Stato”, e, dunque, neppure una riduzione degli introiti anteriormente percepiti. Né, in ogni caso, l’applicabilità di siffatta tassa si pone in contrasto con la disciplina comunitaria attesa l’esplicita esclusione di ogni incompatibilità affermata dalla Corte di giustizia.
Va ancora evidenziato che in epoca successiva la Corte di Giustizia- Corte giust. 17 settembre 2015, causa C-416/14, Fratelli De Pra spa e altri- investita da un giudice tributario di merito della questione relativa alla compatibilità del sistema interno con il quadro comunitario pertinente- dir. 1999/5/CE, 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE, 2002/22/CE – ha ritenuto che la disciplina UE va interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale relativa all’applicazione di una tassa, quale la tassa di concessione governativa, in forza della quale l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, nel contesto di un contratto di abbonamento, è assoggettato a un’autorizzazione generale o a una licenza nonché al pagamento di detta tassa, in quanto il contratto di abbonamento sostituisce di per sé la licenza o l’autorizzazione generale e, pertanto, non occorre alcun intervento dell’amministrazione al riguardo. In tale contesto è stato poi aggiunto che l’articolo 20 della direttiva 2002/22/CE, come modificata dalla direttiva 2009/136/CE, e l’articolo 8 della direttiva 1999/5/CEE vanno interpretati nel senso che non ostano, ai fini dell’applicazione di una tassa quale la tassa di concessione governativa, all’equiparazione a un’autorizzazione generale o a una licenza di stazione radioelettrica di un contratto di abbonamento a un servizio di telefonia mobile, che deve peraltro precisare il tipo di apparato terminale di cui si tratta e l’omologazione di cui è stato oggetto.
Inoltre, secondo la Corte europea il quadro comunitario anzidetto, unitamente all’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, va interpretato nel senso che non osta a un trattamento differenziato degli utenti di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, a seconda che essi sottoscrivano un contratto di abbonamento a servizi di telefonia mobile o acquistino tali servizi in forma di carte prepagate eventualmente ricaricabili, in base al quale solo i primi sono assoggettati a una normativa nazionale come quella che istituisce la tassa di concessione governativa.
Sulla base di tali principi ai quali va data continuità il ricorso va rigettato, essendosi la CTR ad essi conformata.
Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio in relazione al recente intervento nomofilattico delle Sezioni Unite.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento a carico della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ai sensi dell’art. 13 comma 1 bis, dPR n. 115/2002.