CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 5703 depositata il 23 marzo 2016
DICHIARAZIONE – DICHIARAZIONE “RETTIFICATIVA A FAVORE” – EMENDABILITA’
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’avv. C.R. impugnava la cartella di pagamento notificatagli in data 12.4.2007, a titolo di Iva ed Irpef dell’anno di imposta 2003, emessa a seguito di controllo automatizzato ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, del Mod. Unico 2004, dichiarando di voler emendare, ai sensi del D.P.R. n. 435 del 2001, art. 2, comma 8, l’errore commesso nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2002, in cui non aveva indicato il credito Iva di Euro 33.474,00 poi riportato nella dichiarazione dei redditi dell’anno successivo; allegava a tal fine apposita dichiarazione integrativa del mod. Unico 2003.
L’adita C.T.P. di Milano, dopo aver esaminato la documentazione prodotta dal ricorrente ed averle accertato il diritto alla correzione della precedente (erronea) dichiarazione, accoglieva il ricorso ed annullava la cartella impugnata.
Nel proporre appello, l’Ufficio eccepiva la mancata pronuncia sulla eccezione di irritualità e tardività della richiesta di correzione, ribadendo nel merito l’inesistenza del preteso credito Iva.
A sua volta, il contribuente chiedeva in via principale la conferma della sentenza di prime cure, proponendo in subordine appello incidentale per il rimborso della somma versata a titolo di sanzioni.
La C.T.R. della Lombardia confermava la sentenza di primo grado, con riguardo sia alla sussistenza del credito Iva vantato dal contribuente (risultante dai registri contabili prodotti) che alla tempestività della presentazione della dichiarazione integrativa.
Per la cassazione della sentenza d’appello n. 87/5/09 del 16.7.2009, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui il contribuente ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate lamenta la “nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c. comma 2, n. 4, D. Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, perchè priva di motivazione o con motivazione solo per relationem”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), assumendo che i giudici di secondo grado, lungi dall’esporne le ragioni, si sarebbero limitati a rigettare l’appello proposto dall’amministrazione finanziaria, sulla base di un generico rinvio all’operato svolto dai giudici di prime cure, confermandone l’esattezza.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. La motivazione della sentenza impugnata invero, sebbene estremamente sintetica, non può dirsi nè inesistente, nè meramente apparente, in quanto limitata ad una formale adesione acritica alla decisione di prime cure. Con essa i giudici d’appello dichiarano invece esplicitamente di concordare sulla base di due elementi: a) la sussistenza del credito Iva vantato dal contribuente, risultante dai registri contabili prodotti; b) la tempestività della presentazione della dichiarazione integrativa. Non può dirsi pertanto sussistente il vizio radicale di nullità della sentenza impugnata cui la censura proposta mira.
2. Anche il secondo mezzo solleva una questione di “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), sul presupposto che il giudice d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame proposto dall’amministrazione finanziaria afferente la dedotta “illegittimità della pronuncia di primo grado relativamente alla eccezione di irritualità e tardività della richiesta di rettifica in diminuzione della dichiarazione dei redditi”.
2.1. Il motivo è inammissibile prima ancora che infondato.
2.2. Inammissibile, perchè dalla stessa trascrizione del corrispondente punto dell’atto di appello su cui vi sarebbe stata omessa pronuncia (“neanche in sede di comunicazione di irregolarità il contribuente si attivava a fornire le prove documentali volte a provare la fonte di quale credito… oggi, nell’ambito del suo ricorso, il signor C. pretende il riconoscimento di un credito che non è mai stato indicato nelle sedi opportune… la sentenza oggetto del presente gravame risulta, quindi, chiaramente inficiata dal vizio di omessa pronuncia perchè la CTP ha mancato di statuire su una specifica eccezione sollevata dall’Ufficio…”) non si deduce chiaramente nemmeno se si fosse trattato di una vera e propria eccezione, ovvero di una semplice argomentazione; infondata, perchè la C.T.R. afferma esplicitamente di concordare con i giudici di prime cure sulla esistenza di prova documentale del credito Iva vantato dal contribuente e sulla tempestività della sua dichiarazione integrativa, potendo al più ipotizzarsi una insufficiente motivazione sul punto, in ipotesi censurabile in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ma così in concreto non censurata.
3. Identiche considerazioni e conclusioni valgono per il terzo ed ultimo motivo, recante l’analoga doglianza di “nullità, sotto altro profilo, della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per omessa pronuncia del giudice d’appello su un motivo di gravame così trascritto:
“questa Difesa procederà a dimostrare l’illegittimità della pronuncia anche rispetto al profilo sostanziale della fattispecie…
il giudice di primo grado si è spinto a sostenere che l’indicazione del credito di Euro 33.474,00 nell’avviso di accertamento avrebbe implicitamente confermato la sua esistenza da parte dell’A.F….
piuttosto, le somme che il signor C. aveva provveduto a pagare all’esito dell’avviso di accertamento erano relative ad un imponibile rideterminato… tenendo conto solo dei costi non documentati ripresi a tassazione e non anche dell’effettiva (in)esistenza di eventuali crediti di imposta..”.
3.1. Anche in questo caso, infatti, le deduzioni trascritte sembrano integrare piuttosto delle argomentazioni difensive, che non delle vere e proprie domande sulle quali il giudice d’appello avrebbe omesso di pronunciare; e peraltro si tratta di argomentazioni che investono direttamente il merito del giudizio, ponendosi perciò del tutto al di fuori del parametro di controllo invocato (ed invocabile) in sede di legittimità.
4. Solo per completezza merita rilevare che la natura delle censure proposte lascia sullo sfondo, rendendola irrilevante in questa sede, la questione recentemente rimessa alla valutazione delle sezioni Unite di questa Corte (ord. interlocutoria n. 18383 del 18.9.2015) se ai fini dell’imposta sui redditi – ma anche dell’Iva, ai sensi del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 8, comma 6, – il contribuente abbia “la facoltà di rettificare la dichiarazione prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 1 e ss. del, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito o minor credito d’imposta, solo entro il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, come stabilito dal D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, comma 8 bis, oppure se, al contrario, quest’ultimo termine sia previsto solo ai fini della compensazione richiamata dalla norma, per cui la predetta rettifica è possibile anche a mezzo di dichiarazione da presentare entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, a norma del cit. D.P.R., art. 2, comma 8, ed, in ogni caso, mediante l’allegazione di errori nella dichiarazione ed incidenti sull’obbligazione tributaria, tanto in sede rimborso, purchè la relativa istanza sia presentata nei relativi termini di decadenza e/o di prescrizione, quanto in sede processuale, e cioè per opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato”.
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibili i restanti due e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori di legge.
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