CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 5924 depositata il 24 marzo 2016
FALLIMENTO – EFFETTI SUGLI ATTI PREGIUDIZIEVOLI AI CREDITORI – AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE – ATTI A TITOLO ONEROSO, PAGAMENTI E GARANZIE – SOCIETÀ DI PERSONE – AMMISSIONE A CONCORDATO PREVENTIVO – SUCCESSIVA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO DELLA MEDESIMA E DEI SOCI ILLIMITATAMENTE RESPONSABILI – AZIONE REVOCATORIA DEGLI ATTI DEPAUPERATIVI DEL PATRIMONIO DEL SOCIO – ESERCIZIO – TERMINE – DECORRENZA – MOMENTO INIZIALE – FONDAMENTO
Il PROCESSO
Banca Veronese-Credito cooperativo di Concamarise s.c.a r.l. impugna il decreto Trib. Verona 13.5.2010 n. 25/10 con cui veniva rigettato la sua opposizione avverso il decreto del giudice delegato dei fallimenti di Z.P., Z.A. e Z.P. dichiarati in estensione rispetto al fallimento della societa’ Z. P. & c. s.n.c. resa dal medesimo tribunale il 10.12.2008 – con cui il credito della stessa banca era stato ammesso ai correlati stati passivi nella minor somma di Euro 207.144,72 (rispetto ai richiesti Euro 219.819,73) ed in chirografo (nonostante l’iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni dei soci oltre i sei mesi anteriori al fallimento).
Ritenne il tribunale in primo luogo la persistenza nell’ordinamento del principio della consecutivita’ delle procedure, tanto piu’ nell’ipotesi di specie di dichiarazione di fallimento seguita a revoca dell’ammissione al concordato preventivo il quale a sua volta era stato chiesto sul presupposto dello stato d’insolvenza della societa’, a cascata promanante dalla decozione della societa’ Supermercati F.lli Z. s.a.s. cui facevano capo tutte le societa’ della famiglia Z. e comunque oggetto di ribadita esistenza alla luce delle conclusioni del commissario giudiziale. Ne conseguiva la non configurabilita’ di un’esenzione dalla revocatoria per gli atti depauperativi compiuti prima del concordato preventivo ed imputabili ai soci illimitatamente responsabili ovvero, come nel caso, delle garanzie costituite sul loro patrimonio dai terzi, oggetto di legittima revoca in via breve L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 4, con l’eccezione sollevata nella sede di formazione dello stato passivo. Ne’ infine, per il tribunale scaligero, assumeva rilievo l’assunzione della fidejussione, prestata dal socio in favore dei debiti della banca ed alla base del decreto ingiuntivo subito e poi divenuto titolo per l’ipoteca giudiziale, al fine di valorizzarne l’autonomia rispetto alla posizione di socio illimitatamente responsabile. La banca non aveva infatti provato di ignorare che i signori Z. fossero soci della insolvente Z.P. & c. s.n.c., anzi dimostrando di essere consapevole della insolvenza della societa’ e della sua compagine sociale, avendo promosso decreto ingiuntivo contro entrambi e cosi’ applicandosi la decorrenza del periodo sospetto a ritroso dall’ammissione al concordato della societa’ stessa anche per gli atti compiuti dai soci.
Il ricorso e’ affidato a due motivi, cui resiste con controricorso la curatela.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge, quanto alla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 4 ed il vizio di motivazione, per non avere il tribunale colto che il presupposto oggettivo del concordato dopo la riforma non e’ piu’ lo stato d’insolvenza ma una difficolta’ diversa, apparendo sufficiente lo stato di crisi, nessun valore vincolante potendo assumere il provvedimento di cui alla L. Fall., art. 163 e neanche quello di revoca assunto L. Fall., ex art. 173, tanto piu’ in quanto il secondo reso oltre il termine semestrale di consolidamento dell’ipoteca alla base della domanda di credito e comunque contraddittoriamente ricostruito.
Con il secondo motivo viene dedotta la violazione della L. Fall., artt. 147 e 18 e art. 67, comma 1, n. 4 e art. 14 preleggi, ove il decreto ha trascurato che l’eventuale sopravvissuta disciplina della consecutivita’, con retrodatazione del periodo sospetto, non potrebbe operare con riguardo agli atti compiuti dal socio illimitatamente responsabile sui propri beni ed in forza di una responsabilita’ autonoma rispetto a quella di cui all’art. 2291 c.c..
1. Il primo motivo e’ complessivamente infondato. Dovendosi dare continuita’ a molteplici precedenti di questa Corte (tra cui Cass.4964/2013, 4963/2013, 4962/2013, 4961/2013, 4960/2013, 4959/2013, 2403/2012, 2402/2012, 2401/2012, 2337/2012, 2336/2012, 2335/2012), va ribadito che il giudice del merito ha correttamente applicato l’indirizzo per cui, anche dopo la riforma della legge fallimentare, nel caso di ammissione di una societa’ di persone al concordato preventivo seguita dalla dichiarazione di fallimento della medesima societa’ e dei soci illimitatamente responsabili, ai sensi della L. Fall., art. 147, il termine di cui alla L. Fall., art. 67 per l’esercizio dell’azione revocatoria dell’atto personale posto in essere dal socio ovvero, come nella specie, dell’atto compiuto dal terzo sul patrimonio di quello ed avente natura depauperativa secondo il catalogo della predetta norma, decorre dal decreto di ammissione della societa’ alla prima procedura concorsuale, e non dalla data della sentenza di fallimento del socio. Nella fattispecie, non sussiste incertezza in ordine al dato temporale posto dalla novellata disposizione, ponendosi la diversa questione dei limiti di applicazione dell’istituto e della decorrenza dei suoi eventuali effetti ripristinatori. Il Collegio ritiene che rileva peraltro il carattere meramente consequenziale e dipendente del fallimento del socio rispetto a quello della societa’ per cui, ai fini della dichiarazione di fallimento e dell’istituto della revocatoria – declinato esso in via diretta o, come accaduto nella vicenda in esame, quale oggetto di eccezione -, assume decisivita’ unicamente lo stato d’insolvenza della societa’, indipendentemente dalla sussistenza o meno dello stato d’insolvenza personale del socio, dovendosi escludere un vulnus all’affidamento dei terzi, cui sono noti sin dalla data di apertura della prima procedura i soggetti potenzialmente sottoposti al fallimento in esito alla stessa.
2. La sentenza di fallimento rappresenta invero l’atto terminale del procedimento, non trovando importanza l’abbandono – in sede normativa – dell’automatismo di tale dichiarazione, per la quale ora sono necessari l’iniziativa di un creditore o del P.M., il positivo accertamento dell’insolvenza e il comune elemento oggettivo: ne consegue che allorche’ si verifichi a posteriori che l’ammissione al concordato in realta’ coincideva con lo stato di insolvenza, e si tratta di un accertamento positivamente compiuto dal tribunale nella sede pienamente attrezzata con il contraddittorio con il soggetto interessato, con motivazione solo genericamente avversata dall’odierno ricorrente, l’efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento va retrodatata alla data della apertura del concorso, da parte del tribunale, quale effetto positivo (e di primo accoglimento) della presentazione della predetta domanda ovvero gia’ dalla stessa.
Cosi’ anche Cass. 18437/2010 aveva precisato che le due procedure debbono essere equiparate, avendo a base la medesima situazione sostanziale, non potendosi dare decisivo rilievo agli aspetti procedurali della iniziativa di un creditore o del pubblico ministero ed al fatto che lo stato di insolvenza deve essere effettivamente accertato, quando la dichiarazione di fallimento si palesa come l’unico sbocco necessario della crisi dell’impresa. Parimenti la L. Fall., art. 111 dispone che sono considerati debiti prededucibili quelli cosi’ qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla legge fallimentare: la norma, come si evince dal dato testuale e secondo il citato arresto, considera prededucibili anche debiti sorti in occasione o in funzione della procedura di concordato preventivo, dunque riferendosi chiaramente alla ipotesi in cui alla procedura di concordato preventivo sia seguito il fallimento dell’imprenditore. Con tale disposizione (anche prima della L. Fall., art. 69bis, qui non applicabile ratione temporis), si e’ preso atto legislativamente della continuita’ delle procedure consecutive e concorsuali, il che impone, essendo esse volte ad affrontare la medesima crisi – ritenuta in un primo momento suscettibile di regolazione attraverso un accordo con i creditori e successivamente risultata tale da condurre alla liquidazione fallimentare -, di valutare in maniera unitaria determinati aspetti della disciplina fallimentare. Ne deriva che qualora a seguito di una verifica a posteriori venga accertato, con la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore, che lo stato di crisi in base al quale il debitore ha chiesto la ammissione al concordato preventivo era in realta’ uno stato di insolvenza, la efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento, intervenuta a seguito della declaratoria di inammissibilita’ della domanda di concordato preventivo ovvero della sua conversione L. Fall., ex art. 173, deve essere retrodatata alla data di presentazione di tale domanda, atteso che la ritenuta definitivita’ anche della insolvenza che e’ alla base della procedura minore, come comprovata ex post dalla sopravvenienza del fallimento e quindi per l’identita’ del presupposto, porta ad escludere la possibilita’ di ammettere, in tal caso, l’autonomia assoluta delle due procedure.
3. Il secondo motivo e’ infondato alla luce del principio giurisprudenziale, parimenti espresso nei precedenti citati (tra cui Cass. 4964/2013) per il quale nel caso in cui dopo l’ammissione di una societa’ di persone al concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento della medesima societa’ e dei soci illimitatamente responsabili ai sensi della L. Fall., art. 147, anche per l’esercizio dell’azione revocatoria dell’atto personale del socio illimitatamente responsabile il termine di cui all’art.67 I.f. decorre dal decreto di ammissione della societa’ alla prima procedura concorsuale e non dalla data della sentenza di fallimento del socio (nella fattispecie peraltro, allo stato delle allegazioni, coincidente), atteso che il carattere meramente consequenziale e dipendente del fallimento del socio rispetto a quello della societa’ comporta che ai fini della dichiarazione di fallimento abbia rilevanza unicamente lo stato d’insolvenza della societa’, indipendentemente dalla sussistenza o meno dello stato d’insolvenza personale del socio. Tale principio continua a trovare applicazione anche alla luce della disciplina risultante dalla riforma della legge fallimentare, ne’ appare richiamabile il differente e piu’ specifico criterio statuito nella pronuncia di Cass. n. 7273/2010, emessa in tema ma su fattispecie affatto diversa da quella di causa, posto che in quella vicenda si trattava di un creditore personale del socio e, inoltre, il socio stesso era stato erroneamente ammesso – unitamente alla societa’ – alla procedura di concordato preventivo.
4. Per contro, anche nella concreta fattispecie la banca ricorrente ha chiesto l’ammissione al passivo del fallimento del socio di un credito derivante dalla fideiussione gia’ prestata dal socio stesso in favore della societa’ e per un debito di questa, ne’ essendo sufficiente l’ano della fidejussione per invocarne l’assoluta autonomia rispetto alla complessiva responsabilita’ illimitata dei componenti la compagine sociale, apparendo gia’ la struttura della societa’ in grado di comprendere e fondare il titolo della responsabilita’ anche del socio per i debiti sociali, ne’ il socio illimitatamente responsabile di una societa’ di persone che abbia prestato garanzia per un debito sociale potendo di per se’ considerarsi terzo rispetto alla medesima societa’ ai fini concordatari (in generale Cass. s.u. 3022/2015). Puo’ essere allora ribadito che sussiste nella consecuzione di procedure quel referente normativo non configurabile, invece, per la sentenza in estensione e che pur consente, in via eccezionale (ma con principio che ha rinvenuto codificazione recente nella L. Fall., nuovo art. 69 bis) e nonostante la sua natura costitutiva, la retrodatazione dell’efficacia della sentenza di fallimento, dovendosi, per di piu’ e come premesso, escludere nella prima ipotesi – a differenza che nella seconda, ma con la giustificazione di specie qui confermata – che sia arrecato alcun vulnus all’affidamento dei terzi. A costoro sono invero noti sin dall’inizio – e, cioe’, almeno dalla data stessa di apertura della prima procedura – i soggetti potenzialmente soggetti al fallimento, in esito a quella (Cass. s.u. 8257/2002).
Pertanto il ricorso deve essere rigettato, con condanna alle spese nei confronti del soccombente e liquidazione come meglio da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla liquidazione delle spese del procedimento di legittimita’ per Euro 8.500 (di cui Euro 200 per esborsi), nonche’ il rimborso a forfait nella misura del 15% sui compensi e gli accessori di legge.
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