CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 6277 depositata il 31 marzo 2016
FALLIMENTO – CONCORDATO PREVENTIVO – AMMISSIONE – CONCORDATO CD. “CON RISERVA” – TERMINE – NATURA PERENTORIA E DECADENZIALE – SCADENZA – CONSEGUENZE – PROROGABILITÀ – RICORRENZA DI GIUSTIFICATI MOTIVI – NECESSITÀ – SINDACABILITÀ IN CASSAZIONE DEL PROVVEDIMENTO GIUDIZIALE – LIMITI
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 6.3.2013, dichiaro’ il fallimento di A. Multiservizi s.p.a. in liquidazione e, con coevo decreto, l’inammissibilita’ della domanda di concordato preventivo presentata dalla societa’ il 28.9.012, ai sensi del 6 comma dell’art. 161 l. fall., a seguito della mancata approvazione da parte dei creditori di una prima domanda depositata nel gennaio del 2011.
Con successivo decreto, del 25.3.013, dichiaro’ improcedibile – attesa l’intervenuta dichiarazione di fallimento – una seconda domanda di concordato, depositata dalla A. il 19 febbraio 2013. Il reclamo proposto da A. Multiservizi contro la sentenza e contro i due decreti e’ stato respinto dalla Corte d’Appello di Napoli, che, per cio’ che nella presente sede ancora interessa: ha ritenuto sussistenti i requisiti dimensionali di fallibilita’ della societa’; ha confermato la dichiarazione di inammissibilita’ della domanda di concordato preventivo depositata ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 6, rilevando che la A. non aveva presentato la proposta, il piano e la documentazione entro il termine assegnatole e che andava condiviso il giudizio del tribunale in ordine all’assenza di giustificati motivi per prorogare detto termine, atteso che la reclamante – che era in liquidazione, non svolgeva piu’ alcuna attivita’ ed era priva di beni – solo pochi mesi prima aveva presentato una domanda di concordato ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 1, corredata di analitica proposta; ha infine escluso che il fallimento non potesse essere dichiarato a seguito dell’avvenuto deposito, in data anteriore alla sentenza dichiarativa, di un’ulteriore domanda di concordato preventivo, che appariva strumentalmente preordinata ad evitare l’esame del ricorso per l’accertamento dello stato di insolvenza presentato dalla creditrice R.V.M. s.a.s.. La sentenza e’ stata impugnata da A. Multiservizi s.p.a. in liquidazione con ricorso per cassazione affidato a tre motivi e illustrato da memoria, cui il Fallimento ha resistito con controricorso.
La creditrice istante non ha svolto attivita’ difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo la ricorrente, lamentando violazione della L. Fall., art. 18, nonche’ vizio di omessa pronuncia e/o di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, sostiene che la corte del merito non solo sarebbe venuta meno al dovere di rivalutare complessivamente tutta la vicenda, ma non avrebbe dato risposta ai motivi di reclamo con i quali era stata dedotta l’erroneita’ della sentenza dichiarativa sia nella parte in cui affermava che non erano in contestazione i requisiti di fallibilita’ di cui alla L. Fall., art. 1, sia nella parte in cui, nonostante le ampie e tempestive difese da essa svolte per dimostrare l’infondatezza della pretesa creditoria di R.V.M., aveva ritenuto sussistente lo stato di insolvenza.
Il motivo, in parte infondato e in parte inammissibile, deve essere respinto.
In primo luogo, la corte territoriale – premesso che col reclamo la societa’ aveva censurato la sentenza dichiarativa per aver ritenuto incontestata la ricorrenza dei requisiti di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, – ha osservato che, indipendentemente dalla contestazione, dall’esame dei bilanci dell’A. non emergeva il mancato superamento delle soglie al di sotto delle quali l’imprenditore commerciale non e’ assoggettabile a fallimento: contrariamente a quanto si sostiene nel motivo, la questione e’ stata percio’ espressamente affrontata dal giudice a quo, che ne ha negato la fondatezza nel merito, in base ad una valutazione in fatto che non risulta in alcun modo investita dalle critiche della ricorrente.
Non risulta, invece, che in sede di reclamo l’A. abbia dedotto l’erroneita’ dell’accertamento del tribunale concernente il suo stato di insolvenza, che, a prescindere dal mancato pagamento del credito della R.V.M., il primo giudice ben avrebbe potuto fondare su ulteriori risultanze istruttorie, a cominciare da quelle emergenti dalla stessa domanda di concordato.
Va in proposito ricordato che il reclamo L. Fall., ex art. 18, pur non essendo soggetto ai limiti di cui agli artt. 342 e 345 c.p.c., deve comunque contenere l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si fonda, con le relative conclusioni: esso, dunque, non si configura quale mezzo di impugnazione a critica illimitata, in cui e’ sufficiente lamentare l’illegittimita’ della decisione per ottenere il riesame completo della res iudicanda, ma come mezzo che devolve alla cognizione del giudice ad quem le sole questioni tempestivamente dedotte dal reclamante (cfr., da ultimo, Cass. nn. 12706/014, 6306/014).
La ricorrente, che sembra confondere il presupposto oggettivo di cui alla L. Fall., art. 5, (in effetti desumibile anche da un solo inadempimento) col presupposto soggettivo di cui all’art. 6, comma 1, (la cui eventuale mancanza, per l’accertata insussistenza del credito dell’istante, comporta il rigetto della domanda di fallimento in quanto presentata da soggetto non legittimato, indipendentemente dalla ricorrenza dello stato di insolvenza) non poteva pertanto limitarsi a denunciare sul punto un vizio di omessa motivazione, o di omessa pronuncia, della sentenza impugnata ma, in ossequio al principio di specificita’ del ricorso, avrebbe dovuto chiarire in base a quali fatti il giudice di primo grado aveva ritenuto che essa non fosse piu’ in grado di assolvere con mezzi normali alle proprie obbligazioni e richiamare nel motivo quei passi del reclamo in cui aveva dedotto l’insussistenza e/o l’irrilevanza di quei fatti.
Peraltro, ove mai il tribunale avesse fondato il proprio accertamento sull’unica circostanza del mancato pagamento del credito di R.V.M. (con la conseguenza che A., assumendo in sede di reclamo che il credito dell’istante non era ne’ certo ne’ liquido, avrebbe contestato, ad un tempo, la ricorrenza di entrambi i presupposti di cui si e’ detto) la censura risulterebbe infondata, in quanto la corte territoriale ha esaminato e respinto la doglianza in base all’incontroverso (e indubbiamente dirimente) rilievo che il credito, rimasto insoluto, era portato da titolo esecutivo giudiziario definitivo.
2) Il secondo ed il terzo motivo del ricorso investono i capi della sentenza impugnata con i quali la corte del merito ha dichiarato inammissibile la domanda di concordato depositata ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 6, ed ha escluso che la dichiarazione di fallimento fosse subordinata all’esame dell’ulteriore domanda presentata da A. nel febbraio 2013.
2.1) La ricorrente sostiene che il giudice del reclamo avrebbe erroneamente applicato l’art. 161 cit., comma 9, che riguarda soltanto la nuova forma di domanda concordataria “con riserva” introdotta, con decorrenza dall’11.9.012, dal D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012, e non opera se nel biennio antecedente sia stata invece presentata, come nella specie, una domanda di concordato “piena” dichiarata inammissibile per il mancato raggiungimento delle maggioranze richieste. 2.2) Assume, inoltre, che altrettanto erroneamente la corte avrebbe decretato, sempre ai sensi del predetto comma 9, l’inammissibilita’ della domanda depositata il 19 febbraio, che non integrava una nuova proposta concordataria, ma costituiva mero scioglimento della riserva formulata nella domanda prenotativa anteriormente avanzata.
2.3) Lamenta, ancora, che la sua richiesta di ottenere una proroga del termine di 60 giorni assegnatole per la presentazione della proposta, del piano e della documentazione, sia stata respinta con decisione sanzionatoria e contraria alla lettera, oltre che allo spirito, della legge, ovvero senza tener conto che il ritardo nello scioglimento della riserva era dipeso da fatti che non le erano imputabili.
2.4) Osserva poi che, in ogni caso, il termine di cui alla L. Fall., art. 161, u.c., non e’ perentorio, tanto che ne e’ prevista la proroga, sicche’ neppure potrebbe rilevare l’avvenuta presentazione della proposta, del piano e dei documenti in data successiva al suo scadere.
2.5) Deduce, infine, che il rifiuto dei giudici del merito di esaminare la nuova domanda non poteva fondarsi su un preteso abuso del diritto, non invocabile in materia e non rilevabile d’ufficio e che, poiche’ in caso di contemporanea pendenza di un procedimento di istruttoria prefallimentare e di uno di concordato preventivo il tribunale e’ tenuto a verificare preliminarmente l’attitudine della proposta e del piano al superamento dello stato di crisi dell’impresa, prima di decidere sull’istanza di fallimento il tribunale avrebbe dovuto convocarla in camera di consiglio per l’esame nel merito della domanda concordataria.
3) Anche questi motivi, che sono fra loro connessi e possono essere congiuntamente esaminati, devono essere respinti.
3.1) Le censure della ricorrente muovono da un’errata lettura della decisione impugnata, atteso che la corte partenopea non ha fatto applicazione della L. Fall., art. 161, comma 9, ma si e’ limitata a rilevare che, per un verso, la domanda di concordato depositata ai sensi del comma 6, del predetto articolo era inammissibile in quanto la debitrice non aveva presentato la proposta, il piano e i documenti entro il termine di 60 giorni (non prorogabile, stante l’assenza di giustificati motivi) di cui al comma 10, della articolo medesimo e, per l’altro, che il deposito di una terza domanda, avente natura chiaramente dilatoria, non poteva pregiudicare l’esame dell’istanza di fallimento.
Risultano dunque inammissibili, perche’ prive di riferimento al decisum, le ragioni di doglianza sintetizzate sub. 2.1) e 2.2).
3.2) L’assunto della A., secondo cui nel febbraio del 2013 essa non aveva fatto altro che provvedere allo scioglimento della riserva formulata nella domanda di concordato avanzata ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 6, sembra poi non tener conto che la corte del merito, nel dichiarare inammissibile la domanda depositata il 19 febbraio, l’ha qualificata come nuova.
Tuttavia, poiche’ dall’esame complessivo dei motivi puo’ desumersi tanto l’intento di contrastare detta qualificazione quanto quello di contestare, in ogni caso, la legittimita’ di una sentenza dichiarativa emessa nonostante la pendenza di una domanda di concordato completa in ogni sua parte (a prescindere dalla sua qualificazione ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 1 o 6), appare necessario seguire interamente il filo del ragionamento della ricorrente e chiarire le ragioni per le quali non puo’ essere condiviso.
3.4) Va innanzitutto affermata la natura perentoria del termine concesso dal giudice al debitore per la presentazione della proposta, del piano e dei documenti relativi alla domanda di concordato c.d. “con riserva” o “in bianco”.
Il termine in questione, infatti, non e’ prorogabile a mera richiesta della parte o addirittura d’ufficio, ma solo in presenza di giustificati motivi, che devono essere allegati dal richiedente e verificati dal giudice, cosicche’ la sua disciplina, lungi dall’essere assimilabile a quella di cui all’art. 154 c.p.c., risulta, piuttosto, mutuata da quella dell’art. 153 c.p.c..
Inoltre, come e’ reso chiaro dell’ultimo periodo dell’art. 161, comma 6, si tratta di un termine decadenziale, alla cui mancata osservanza si ricollega la sanzione di inammissibilita’ della domanda.
L’accertamento della ricorrenza di giustificati motivi per la proroga costituisce poi espressione di un apprezzamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimita’ se non per vizio di motivazione: vizio che, nella specie la ricorrente non ha dedotto in rubrica, ne’ ha specificamente illustrato in ricorso, limitandosi a rilevare (senza riprodurre l’istanza di proroga e gli eventuali documenti ad essa allegati, ne’ indicare l’esatta sede processuale in cui gli stessi sarebbero stati prodotti) di non essere riuscita ad acquisire in tempo utile presso la Banca d’Italia, per fatti ad essa non imputabili, le informazioni (deve presumersi della c.d. Centrale Rischi) necessarie per valutare la sua esposizione bancaria, che non solo avrebbero potuto essere richieste alle banche creditrici, ma che (come implicitamente affermato dalla corte territoriale) dovevano, in ogni caso, essere gia’ state acquisite in vista della presentazione della prima domanda di concordato.
3.5) Esposte le ragioni di rigetto delle censure riassunte sub. 2.3) e 2.4) (che si sono esaminate percorrendo l’ipotesi che A. il 19.2.013 si sia limitata a depositare il piano, la proposta e i documenti al fine di dare tardiva esecuzione agli adempimenti richiesti dalla L. Fall., art. 161, comma 6) resta da ancora da verificare se, nella diversa ipotesi (in concreto ritenuta sussistente dai giudici del merito) di avvenuta presentazione, in quella data, di una nuova domanda di concordato, la corte territoriale abbia errato nell’escludere che la dichiarazione di fallimento fosse subordinata alla preventiva delibazione della sua ammissibilita’.
L’interrogativo si pone, giacche’ le SS.UU. di questa Corte, con le recenti sentenze nn. 9935 – 9936/015, hanno affermato che – ancorche’ non si possa ravvisare un rapporto di pregiudizialita’ tecnica fra il procedimento di concordato preventivo e quello per la dichiarazione di fallimento – durante la pendenza del primo, sia esso in fase di ammissione, di approvazione o di omologazione, non puo’ ammettersi l’autonomo corso del secondo, che si concluda con la dichiarazione di fallimento indipendentemente dal verificarsi di uno degli eventi previsti dalla L. Fall., artt. 162, 173, 179 e 180, essendo maggiormente coerente col sistema ritenere che il fallimento non possa intervenire finche’ la procedura di concordato non abbia avuto esito negativo.
Va osservato, d’altro canto, che, ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 9, al debitore non ammesso al concordato di cui al comma 6, e’ precluso unicamente di ripresentare nel biennio una nuova domanda di concordato con riserva.
Dal dato testuale, che non autorizza interpretazioni estensive od analogiche, puo’ dunque ricavarsi, a contrario, che il medesimo debitore puo’ presentare una nuova domanda di concordato ai sensi del comma 1, dell’articolo citato.
Va tuttavia considerato, sotto un primo profilo, che, poiche’ rispetto al medesimo imprenditore ed alla medesima insolvenza il concordato non puo’ che essere unico, qualora la procedura di concordato sia pendente non e’ configurabile un’ulteriore domanda di ammissione avente carattere di autonomia (cfr. Cass. n. 495/015), a meno che da quest’ultima non si desuma l’inequivoca volonta’ del proponente (pur se non espressa con formule sacramentali) di rinunciare a quella in precedenza depositata.
Sotto altro profilo, va rilevato che le SS.UU., nelle sentenze sopra citate, hanno precisato che e’ inammissibile una domanda di concordato preventivo presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa, ma per procrastinare la dichiarazione di fallimento: in questo caso, infatti, la domanda integra gli estremi dell’abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealta’ processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalita’ deviate od eccedenti rispetto a quelle per le quali l’ordinamento le ha predisposte.
Sulla scorta delle considerazioni appena svolte, si puo’, in definitiva, affermare: che, In presenza di una domanda di concordato preventivo con riserva, il provvedimento del tribunale che abbia rigettato l’istanza di proroga del termine per il deposito della proposta, del piano e della documentazione di cui ai commi secondo e terzo della L. Fall., art. 161, resta insindacabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato; che, respinta l’istanza di proroga e scaduto il termine concesso L. Fall., ex art. 161, comma 6, la domanda di concordato deve essere dichiarata inammissibile dal tribunale, ai sensi della L. Fall., art. 162, comma 2; che, tuttavia, va fatta salva la facolta’ per il proponente, in pendenza dell’udienza fissata per la dichiarazione di inammissibilita’, ovvero anche per l’esame di eventuali istanze di fallimento, di depositare una nuova domanda di concordato, ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 1, (corredata della proposta, del piano e dei documenti), dalla quale si desuma la rinuncia a quella con riserva, sempre che la nuova domanda non si traduca in un abuso dello strumento concordatario.
Nel caso di specie e’ pacifico che, alla data del 19.2.013, in cui A. deposito’ la terza domanda di concordato, era ancora pendente la procedura introdotta attraverso il deposito della domanda presentata ai sensi dell’art. 161, comma 6, che il tribunale non aveva ancora dichiarato inammissibile; puo’, peraltro, ritenersi altrettanto pacifico, proprio alla luce delle difese svolte nella presente sede dalla ricorrente, che nel presentare detta domanda la societa’ non intese rinunciare a quella di concordato con riserva in precedenza depositata.
Tanto basterebbe ad escludere che, prima di dichiarare il fallimento, i giudici del merito fossero tenuti a valutare l’ammissibilita’ della nuova domanda.
Va aggiunto che il ricorso non contiene alcuna critica specifica al capo della sentenza impugnata con il quale la corte territoriale, nell’affermare che la reiterazione della domanda risultava preordinata ad evitare l’esame del ricorso di fallimento ed a procrastinare ulteriormente il diritto del creditore ricorrente a vedere deciso il procedimento da lui instaurato, ha accertato che A. abuso’ dello strumento concordatario.
In conclusione, il ricorso deve essere integralmente respinto.
La novita’ delle questioni trattate giustifica la declaratoria di integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
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