CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 6495 del 4 aprile 2016
SICUREZZA SUL LAVORO – PUBBLICO IMPIEGO – INFERMITA’ SOFFERTA DAL LAVORATORE – CAUSA DI SERVIZIO – ASSOLUTA GENERICITA’ RICORSO – CARENZA ALLEGAZIONE NESSO CASUALITA’ TRA FATTI SUL LUOGO DI LAVORO E PATOLOGIE – NON SUSSISTE
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma con cui il primo giudice ha rigettato la domanda di M.C., dipendente del comune di Roma, tendente ad accertare che l’infermità sofferta dal lavoratore (sindrome psicotica neurotica con insonnia) fosse dipendente da causa di servizio o comunque idonea a determinare i benefici derivanti dalla L. n. 335/1995 con condanna dell’amministrazione comunale al pagamento delle somme dovute a tali titoli.
La Corte ha rilevato, in conformità alla valutazione del Tribunale, l’assoluta genericità del ricorso mancando una puntuale descrizione dei fatti che avrebbero generato la patologia e la carenza sotto il profilo dell’allegazione del nesso di causalità tra i fatti asseritamene verificatisi sul luogo di lavoro e le patologie riscontrate rilevando che il semplice richiamo all’ambiente ostico, che avrebbe determinato l’inidoneità al lavoro, non era tale da mettere l’odierno appellato in condizioni di difendersi.
Avverso la sentenza ricorre il C. formulando due motivi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 cpc. Resiste Roma Capitale.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 414 e 437 in relazione all’art. 111 Cost, 132 cpc (art. 360 n. 3 e 5 cpc).
Richiama una sentenza della Corte di Cassazione relativa al mancato rispetto dei termine a comparire in primo grado e la necessità che il giudice d’appello, rilevata la nullità, decida la causa senza rimetterla al primo giudice consentendo alla parte di svolgere tutte le attività che avrebbe potuto svolgere in primo grado. Osserva che la Corte d’appello ha disatteso tale insegnamento né la Corte ha motivato circa le richieste istruttorie ed in particolare, in ordine alla mancanza di prova del nesso di causalità, lamenta la mancata ammissione della CTU.
Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 115, comma 1, cpc.
Censura l’affermazione della Corte secondo cui non era applicabile il principio di non contestazione e rileva che dalla lettura della memoria di costituzione del Comune risultava evidente la mancata contestazione degli episodi posti a fondamento che erano stati chiaramente individuati dal Comune.
Lamenta che la nullità del ricorso, non rilevata in prima udienza, aveva determinato il rigetto del ricorso e non la dichiarazione di nullità e che era stato violato il principio di effettività della tutela giudiziaria secondo gli artt. 6 e 13 della CEDU e, comunque, la contraddittorietà della decisione che dopo l’affermazione circa la mancanza di idonee allegazioni, aveva pronunciato il rigetto della domanda.
Il ricorso è inammissibile.
La Corte d’appello ha affermato, condividendo le conclusioni del Tribunale, l’assoluta genericità del ricorso essendo del tutto carenti le allegazioni dell’atto introduttivo in merito alle condizioni di lavoro nelle quali avrebbe operato il ricorrente e che pertanto tali carenze non avrebbero potuto essere superate attraverso il ricorso ai poteri ufficiosi del giudice.
La Corte d’appello, nel ribadire la genericità del ricorso introduttivo, ha, inoltre, evidenziato che “al di là del richiamo all’ambiente ostico nel quale sarebbe stato costretto a lavorare l’appellante, vigile urbano dipendente del Comune, (clima generato da un’incomprensione relativa all’encomio che il C. avrebbe dovuto ricevere recandosi dal comandante del Corpo e alimentato dall’ingiusta sottoposizione a procedimento disciplinare) il ricorso manca di un’adeguata e sufficientemente puntuale descrizione del fatti che avrebbero generato la patologia e soprattutto, è carente sotto il profilo dell’allegazione del nesso di causalità tra i fatti asseritamente verificatesi sul luogo di lavoro e le patologie riscontrate : in sintesi il semplice richiamo all’ambiente ostico, che avrebbe determinato l’inidoneità al lavoro, non era tale da mettere l’odierno appellato in condizioni di difendersi”.
A fronte di tali specifiche lacune che il Tribunale, prima, e la Corte d’appello dopo, hanno ben evidenziato, le censure del ricorrente manifestano un’insufficiente comprensione delle ragioni sostanziali poste a base della pronuncia dei giudice e non colgono la ” ratio” della sentenza impugnata secondo cui il ricorso difettava di allegazioni circa le condizioni in cui il ricorrente aveva svolto il proprio lavoro ovvero l’ambiente in cui era maturata la patologia denunciata , fatti che come ben indicato dalla Corte non potevano limitarsi alla generica affermazione dell’esistenza di un ambiente ” ostico”.
Sarebbe stato onere del ricorrente, infatti, indicare eventualmente i fatti costitutivi esposti nell’atto introduttivo non valutati dai giudici di merito, con cui, invece, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, egli aveva denunciato la patologia da cui era affetto, i fatti verificatesi nell’ambito lavorativo che avrebbero determinato o concorso a determinare tale patologia, il nesso causale tra la patologia lamentata ed i fatti dedotti.
Sotto tale profilo il ricorso in cessazione è, invece, del tutto carente; né tali mancanze possono essere superate dalla riproduzione integrale dei ricorso in appello che da un lato è stato già vagliato dalla Corte di merito cui compete l’interpretazione degli atti giudiziari pervenendo a confermarne la genericità ed incompletezza , e dall’altro era onere del ricorrente in cessazione indicare con specificità gli elementi desumibili da detto atto idonei a sostenere le sue ragioni non limitandosi a trascrivere il ricorso in appello addossando in tal modo a questa Corte il compito, ad essa non spettante, di sceverare da una pluralità di elementi quelli rilevanti ai fini del decidere. (Cfr Cass. SSUU n. 16628/2009, n. 16254/2012, Ord n. 2527/2015).
I giudici di merito evidenziando l’inidoneità della prospettazione in merito alla sussistenza del nesso causale tra la patologia di cui il ricorrente affermava di essere affetto e la prestazione lavorativa , giudizio non scalfito dalle censure dei ricorrente, non hanno in alcun modo violato le norme indicate nei motivi, delle quali anzi la Corte d’appello ha fatto puntuale applicazione, né la mancata deduzione in fatto avrebbe potuto essere superata dall’esercizio di poteri ufficiosi in difetto di allegazioni o con il ricorso alla CTU, avente chiare finalità esplorative, o in applicazione del principio di non contestazione a fronte del difetto di allegazione dei fatti costitutivi.
Del tutto privo di pregio è, poi, il richiamo alle norme Cedu ed all’effettività della tutela giudiziaria, principio che nella fattispecie non è posto in discussione dalla decisione dei giudici di merito che si sono limitati ad evidenziare la assoluta genericità della domanda e la mancanza di allegazioni dei fatti costitutivi , rientrando, invece, tra i poteri discrezionali del giudice di merito la scelta di una pronuncia di rigetto o di nullità del ricorso per violazione dell’art. 414 n. 4 cpc attenendo all’interpretazione dell’atto introduttivo e del suo contenuto, compiuta, sia pure implicitamente, dal giudice di merito.
Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente a pagare le spese del presente giudizio.
Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, dpr n. 115/2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso con condanna del ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1 quater del dpr n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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