CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 7698 del 18 aprile 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – PREVIDENZA SOCIALE – PENSIONE DI INABILITA’ – COMPORTAVA LA RIDUZIONE DELLA CAPACITA’ LAVORATIVA – REQUISITO REDDITUALE – VERIFICA
FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio dell’11 febbraio 2016, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis cod. proc.civ.: “La Corte di appello di Lecce, in parziale accoglimento dell’appello proposto da A.T. avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto la sua domanda intesa al conseguimento della pensione di inabilità di cui all’art. 12 della legge n. 118 del 1971 e, in subordine, dell’assegno di assistenza di cui all’art. 13 l. cit., ha dichiarato il diritto dell’appellante a quest’ultima prestazione con decorrenza dal 28.6.2013 ed ha condannato l’INPS alla relativa erogazione oltre accessori.
Il giudice di appello, premesso che in base alla condivisibile consulenza tecnica d’ufficio rinnovata in secondo grado, la T., a decorrere dal 15.9.2008, risultava affetta da un complesso invalidante che comportava la riduzione della capacità lavorativa in misura pari all’80%, ha ritenuto che la prestazione ex art. 13 della legge n. 118 del 1971 potesse essere riconosciuta solo con decorrenza dal 28.6.2013, data di entrata in vigore del d.l. n. 28.6.2013 conv. in legge n. 99 del 2013. Secondo il giudice di appello, infatti, prima della modifica legislativa introdotta dall’art. 10 comma 5 d.l. cit., occorreva tenere conto, al fine della verifica del requisito reddituale, anche del reddito del coniuge il quale – nel caso di specie – cumulato con quello della aspirante al beneficio determinava il superamento della soglia di legge.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A.T. sulla base di un unico motivo. Il Comune di Gallipoli è rimasto intimato. L’INPS non ha svolto attività difensiva.
Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ha censurato la decisione per avere ritenuto che per il periodo antecedente alla modifica introdotta dall’art. 10 comma 5, d.l. n. 28.6.2013 conv. in legge n. 99 del 2013, occorresse, al fine della verifica del requisito reddituale prescritto per l’assegno di assistenza di cui all’art. 13 della legge n. 118 del 1971, considerare oltre al reddito dell’interessato anche quello dall’eventuale coniuge. Ha argomentato che il regime applicato dal giudice di secondo grado era proprio della pensione di inabilità ex art. 12 della legge n. 118 cit. mentre, per l’assegno di assistenza era pacifico, come ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, che occorresse avere riguardo al solo reddito del richiedente.
Preliminarmente il Collegio dovrà verificare la ritualità della notifica del ricorso per cassazione effettuata all’INPS – rimasto contumace in secondo grado – presso la sede di Lecce.
Nel merito il ricorso è manifestamente fondato. Come ripetutamente affermato da questa Corte (Cass. n. 16363 del 2002, n. 16311 del 2002, 12266 del 2003, 14126 del 2006, n. 13261 Cass. n. 5003 del 2011, ord. n. 19658 del 2012), in pronunzie nelle quali veniva rimarcata la differenza tra pensione di inabilità e assegno di assistenza quanto al reddito da prendere in considerazione (individuale, per l’assegno di assistenza e in cumulo con quello dell’eventuale coniuge per la pensione di inabilità) per verificare il mancato superamento della soglia di legge per l’accesso alle suddette prestazioni, nel caso di assegno ex art. 13 della legge n. 118 del 1971 occorre fare riferimento al soli redditi individuali rilevanti ai fini IRPEF.
Tale affermazione è stata fondata sul dato letterale dell’art. 14 septies comma 5 D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito con modificazioni dalla L. 29 febbraio 1980, n. 33 il quale il quale, nell’elevare i limiti di reddito anteriormente fissati dal D.L. n. 30 del 1974, artt. 6, 8 e 10 conv. in L. n. 114 del 1974, ha previsto che “il limite di reddito per il diritto all’assegno mensile in favore dei mutilati e degli invalidi civili, di cui agli articoli 13 e 17 della legge 30 marzo 1971, n. 118, e successive modificazioni ed integrazioni, è fissato in lire 2.500.000 annui, calcolati agli effetti dell’IRPEF con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte” e su quello di disposizioni successive (art. 9 d.l. n. 791 del 1981 convertito con modificazioni dalla n. 54 del 1982 e dall’art. 12 della legge n. 412 del 1991). In particolare questa Corte, con condivisibile recente pronunzia (Cass. n. 5003 del 2011), seguita da altre conformi (v. tra queste: ord. n. 19658 del 2012), per il profilo che viene in rilievo nel presente giudizio, ha osservato che l’intervento attuato dal legislatore con l’art. 14 septies comma quinto cit., costituisce intervento inteso a riequilibrare le posizioni dei mutilati e invalidi civili, a seguito dell’innalzamento del limite reddituale previsto – ma esclusivamente per gli invalidi civili assoluti – dalla L. n. 29 del 1977. Significativo di tale intento è che per l’attribuzione dell’assegno è, bensì, preso a riferimento il solo reddito individuale dell’assistito, ma l’importo da non superare per la pensione di inabilità (comma quarto) corrisponde a più del doppio di quello stabilito per l’assegno (L. 5.200.000 annue a fronte di L. 2.500.000 annue). In questa prospettiva è stato ritenuto che il comma 5 dell’art. 14 septies costituisse deroga all’orientamento generale della legislazione in tema di pensioni di invalidità e di pensione sodale, in base al quale il limite reddituale va determinato tenendosi conto del cumulo del reddito dei coniugi (vedi Corte cost. sent n. 769 del 1988 e n. 75 del 1991; vedi anche Cotte cost. n. 454 del 1992, in tema di insorgenza dello stato di invalidità dopo il compimento del 65^ anno) e, di conseguenza, non esprimesse alcun principio generale con il quale dovrebbero essere coerenti disposizioni particolari. Si è quindi ribadito che la formulazione letterale della norma che fa menzione del solo assegno – fino a quel momento equiparato alla pensione di inabilità quanto alla regola del cumulo con i redditi del coniuge – non può che far concludere nel senso che la prestazione prevista per gli invalidi civili assoluti sia rimasta assoggettata a questa regola. Una conferma a livello sistematico della esistenza di una disciplina differenziata, quanto al requisito reddituale, per la pensione di inabilità e per l’assegno di assistenza, è stata ravvisata nella L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 12 (da titolo “requisiti reddituali delle prestazioni ai minorati civili”) nella quale la distinzione tra le due prestazioni continua ad essere mantenuta, disponendo la norma che con effetto dal 1 gennaio 1992 ai fini dell’accertamento, da parte del Ministero dell’Interno della condizione reddituale per la concessione delle pensioni assistenziali agli invalidi civili si applica il limite di reddito individuale stabilito per la pensione sociale, con esclusione, tuttavia, degli invalidi totali. Con riferimento alla sostituzione della L. n. 118 del 1971, art. 13 ad opera della L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, (disposizione non tenuta presente nelle citate decisioni di questa Corte), il quale, testualmente, stabilisce che “agli invalidi civili di una compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso a carico dello Stato ed erogato dall’INPS, un assegno mensile di Rufo 242.84 per tredici mensilità, con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’art. 12”, è stato osservato che “si tratta, all’evidenza, di un intervento con il quale viene ripristinato il collegamento tra le due prestazioni assistenziali quanto alle “condizioni” (comprese, quindi, quelle economiche) richieste per la loro assegnazione. Ma il prendere a riferimento, a tal fine, le “condizioni” stabilite per l’assegnazione della “pensione di cui all’art. 12″, determinare cioè una equiparazione che si vuole modulata sulla disciplina propria della prestazione prevista per gli invalidi civili assoluti, è di per se, indicativo del fatto che tale disciplina – anche per quanto riguarda le condizioni reddituali rilevanti – è diversa da quella nel frattempo dettata (con la L. n. 33 del 1980, art. 14 septies, comma 5 (ndr L. n. 663 del 1979, art. 14 septies, comma 5) ) per l’assegno mensile – non avendo senso, invero, una simile formulazione normativa ove le condizioni reddituali richieste per la pensione di inabilità fossero le stesse previste per l’assegno e,dunque, si dovesse dar rilevo al solo reddito personale dell’invalido, ancorché coniugato, piuttosto che al reddito di entrambi i coniugi” (Cass. n. 5003 del 2011).
In base quindi alle considerazioni in diritto che precedono, previa verifica della ritualità della notifica all’INPS, il ricorso dovrà essere accolto.
Si chiede che il Presidente voglia fissare la data per l’Adunanza camerale”.
Ritiene questo Collegio, dato atto della rituale notifica all’INPS del ricorso per cassazione che le considerazioni svolte dal Relatore sono del tutto condivisibili siccome coerenti alla ormai consolidata giurisprudenza in materia. Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, comma 1°, n. 5 cod. proc. civ., per la definizione camerale. Il ricorso deve essere pertanto accolto con rinvio, anche ai fini del regolamento delle spese relative al presente giudizio, alla Corte di appello di Lecce in diversa composizione la quale procederà alla verifica del requisito reddituale in capo alla T. sulla base dei principi sopra richiamati.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 qua ter del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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