CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 7701 del 27 marzo 2013
Svolgimento del processo
Con sentenza 14.12.2004 n. 56 la Commissione tributaria della regione Lombardia confermava nel merito la decisione di prime cure con la quale era stato dichiarato illegittimo l’avviso di accertamento notificato il 16.3.1999 con il quale, con riferimento alla dichiarazione dei redditi presentata per l’anno 1993 da P. s.r.l. (successivamente fusa per incorporazione in OMP s.r.l. in N.), venivano recuperato a tassazione IRPEG ed ILOR un maggiore imponibile di lire 964.093.000 per costi ritenuti indeducibili in quanto in parte non documentati ed in parte non inerenti. I Giudici territoriali rilevavano che la società aveva compiutamente assolto alla richiesta formulata dall’Ufficio con il questionario mod. 55 nella fase istruttiva dell’accertamento tributario, consegnando n. 19 documenti di spesa, con la conseguenza che doveva ritenersi infondata la eccezione dell’Ufficio di inammissibilità ex lege n. 28/1999 art. 25 dei nuovi documenti depositati dalla società nel corso del giudizio, non trattandosi di documenti richiesti con il predetto questionario mod. 55 e non prodotti dalla contribuente, in ordine ai quali rimaneva precluso il deposito e la utilizzabilità nel successivo giudizio. Nel merito l’avviso di accertamento doveva ritenersi viziato in quanto avente ad oggetto la contestazione di indeducibilità di costi diversi da quelli per i quali era stata formulata richiesta di acquisizione informative e dati con il mod. 55, ed in ordine ai quali non era stato assicurato alcun contraddittorio con la ditta verificata.
Avverso la sentenza di appello depositata il 14.12.2004 e non notificata, hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero della Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate con atto notificato alla società il 9.2.2006, deducendo quattro motivi di impugnazione. Ha resistito con controricorso la società OMP s.r.l. in liq. che ha eccepito la inammissibilità del ricorso in quanto notificato oltre il termine lungo di decadenza, ed in data 30.9.2010 ha depositato presso la Cancelleria di questa Corte istanza di definizione della lite ai sensi dell’art. 3 DL n. 40/2010 conv. in legge n. 73/2010, nonché, con nota depositata in data 8.2.2011 ed in ottemperanza all’ordinanza in pari data di questa Corte, ulteriore documentazione a comprova dell’avvenuto pagamento di quanto dovuto. La società resistente ha anche depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. La società resistente ha eccepito la estinzione del giudizio ai sensi dell’art. dell’art. 3 comma 2 bis lett. b) del DL 25.3.2010 n. 40 conv. in legge 22.3.2010 n. 73, depositando la documentazione attestante la comunicazione trasmessa l’Ufficio finanziario, l’estratto conto della banca sulla quale è stato disposto l’ordine di pagamento e la quietanza rilasciata dalla Agenzia delle Entrate. L’Ufficio provinciale di Monza e della Brianza della Agenzia con nota 3.12.2010 prot. 26133 ha comunicato la attestazione di irregolarità della istanza di condono in quanto depositata fuori termine.
1.1 La eccezione di estinzione del giudizio è infondata. Con l’art. 3 comma 2 bis del DL 25.3.2010 n. 40 conv. in legge 22.5.2010 n. 73, il Legislatore ha inteso incidere, in materia di tributi erariali, sulle situazioni processuali eccessivamente protrattesi nel tempo (“controversie tributarie pendenti …da oltre dieci anni”) in quanto suscettive di violare il “principio di ragionevole durata del processo” di cui all’art. 6 paragr. 1 CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), principio che ha trovato anche fondamento costituzionale nell’art. 111 co2 Cost.. La norma in esame distingue le controversie (escluse quelle aventi a oggetto istanze di rimborso) pendenti avanti la Commissione tributaria centrale -comma 2 bis lett. a)
– per le quali è prevista la “definizione automatica” (la disposizione ha subito successive modifiche introdotte dall’art. 29 comma 16 decies DL 29.12.2011 n. 216 conv. in legge 24.2.2012 n. 14), e le controversie pendenti avanti la Corte di cassazione in ordine alle quali viene introdotta una forma agevolata di definizione delle lite, strutturata secondo uno schema riconducibile al negozio transattivo, in quanto fondata sul presupposto della incertezza dell’esito della lite pendente (“res dubia”) e caratterizzata da concessioni reciproche (“aliquid datum, aliquid retentum”): ed infatti l’Erario rinuncia a far valere l’originaria pretesa, desistendo dalla prosecuzione del giudizio, rimanendo soddisfatto con “il pagamento di un importo pari al 5% del valore della controversia” e con la certezza di non rimanere esposto ad eventuali pretese indennitarie vantate dal contribuente ai sensi della legge 24.3.2001 n. 89; il contribuente estingue il rapporto tributario versando una minore imposta rispetto a quella vantata dall’Erario e rinunciando ad azionare eventuali pretese per il pregiudizio sofferto dalla eccessiva durata del giudizio. La estinzione del giudizio non si produce automaticamente per effetto del pagamento della somma e della manifestazione di rinuncia del contribuente ad eventuali pretese di equa riparazione (“a tal fine il contribuente può presentare apposita istanza alla competente segreteria o cancelleria entro novanta giorni dalla entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto con attestazione del relativo pagamento”: art. 3co2 bis lett. b DL n. 40/2010 conv. in legge n. 73/2010), ma soltanto “a seguito di attestazione degli uffici della amministrazione finanziaria comprovanti la regolarità della istanza ed il pagamento integrale di quanto dovuto” (cfr. ultimo periodo dell’art. 3co2 bis, aggiunto dall’art. 48 ter DL n. 78/2010 conv. in legge n. 122/2010), secondo uno schema procedimentale di tipo consensuale mutuato dalla disciplina del condono di cui all’art. 16 comma 8 della legge 27.12.2002 n. 289 (cui rinvia espressamente l’art. 3co2 bis lett. b) della legge n. 73/2010).
1.2 Tanto premesso e ritenuta la diretta sindacabilità da parte della Corte -ex officio o su richiesta di parte- della “attestazione negativa” od anche del silenzio serbato dagli uffici della Amministrazione finanziaria in ordine alla istanza presentata dal contribuente, richiamandosi al riguardo le motivazioni di cui ai precedenti di questa Corte V sez. ord. 14.11.2012 n. 19835 e sent 14.11.2012 n. 19864, la istanza di condono non può trovare accoglimento in quanto depositata alla Cancelleria soltanto in data 30.9.2010 ben oltre il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 73/2010 (decorrente dal giorno successivo alla pubblicazione della legge -che in sede di conversione ha inserito il comma 2 bis all’art. 3 del DL n. 40/2010- in G.U. 25.5.2010 n. 120). La mancanza di una espressa comminatoria di sanzione per la inosservanza del predetto termine, non è ostativa al riconoscimento della natura perentoria dello stesso, bene potendo tale natura essere desunta, anche in via interpretativa, dalla funzione che tale termine viene ad assolvere nel contesto normativo di riferimento e dalla peculiare esigenza che ha reso necessaria la previsione di un termine finale (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 7879 del 18/05/2012 -in tema di riconoscimento di agevolazioni fiscali-; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 8931 del 19/04/2011 secondo cui “in tema di iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali, il termine previsto dall’art. 24, quinto comma, del d.lgs. n. 46 del 1999 per proporre opposizione nel merito, onde accertare la fondatezza della pretesa dell’ente, deve ritenersi perentorio, pur in assenza di un’espressa indicazione in tal senso, perché diretto a rendere incontrovertibile il credito contributivo dell’ente previdenziale in caso di omessa tempestiva impugnazione ed a consentire una rapida riscossione del credito iscritto a ruolo”; Sez. 5, Sentenza n. 2787 del 08/02/2006 -con riferimento al termine di cui al combinato disposto degli artt. 58, 61 e 32 Dlgs n. 546/1992 relativo alla produzione di nuovi documenti nel giudizi tributario di appello: “tale termine, anche in assenza di espressa previsione legislativa, deve ritenersi di natura perentoria, e quindi sanzionato con la decadenza, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie (rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio)”-) od ancora dalle conseguenze giuridiche che la norma riconnette alla scadenza del termine (cfr. Corte cass. Sez. lav., Sentenza n. 1272 del 30/01/2012 -con riferimento al il termine annuale per la proposizione della domanda giudiziale, di cui all’art. 5, comma 3, della legge 25 febbraio 1992 n. 210 -; id. Sez. 3, Sentenza n. 6095 del 16/04/2003 -con riferimento al termine annuale per l’esercizio dell’azione di riscatto di un fondo rustico -in quanto il diritto può essere esercitato una prima ed unica volta- da parte dell’avente diritto alla prelazione nel caso di omessa notificazione da parte del concedente). Nella specie a favore della natura perentoria del termine stabilito per la presentazione della istanza di condono ed il deposito della quietanza di pagamento, oltre al rilievo sistematico comparativo con analoghi termini per la definizione agevolata dei rapporti e delle liti pendenti previsti nella precedente legge n. 289/2002 sul condono fiscale, la scadenza dei quali determina la inefficacia del condono (art. 9 bis) salva espressa deroga di legge (con riferimento ai pagamenti rateali: art. 9 commi 12 e 17; art. 16 comma 2), militano due ragioni, una esplicita ed una implicita, desumibili entrambe dalla disciplina normativa in questione: da un lato la esigenza di celere definizione della lite pendente, che risponde all’interesse pubblico enunciato nelle premesse della disposizione del comma 2 bis (“alfine di contenere la durata dei processi tributari……sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di ci all’articolo 6 paragr. 1 della predetta Convenzione -ndr. CEDU-“) e che verrebbe ad essere disattesa laddove fosse riconosciuto al contribuente di optare “sine die” per il condono anche dopo la scadenza del termine del 23.8.2010; dall’altro la esigenza di certezza della realizzazione da parte dell’Erario del credito fiscale litigioso -se pure nell’importo ridotto previsto-, che ricollega la tempestività della presentazione della istanza -cui deve essere allegata la quietanza di pagamento- all’interesse pubblico del Fisco a conseguire entrate finanziarie comunque certe, non solo in termini di immediata disponibilità di cassa, ma anche di acquisizione di nuove risorse che possano consentire di effettuare una coerente programmazione di spesa, esigenze tutte che, ove il termine non fosse considerato perentorio, non potrebbero essere assicurate (cfr. in materia fiscale, con specifico riferimento alla natura “perentoria” del termine, non espressamente considerato tale dalla legge, previsto per il pagamento della imposta, cui si ricollega -ex art. 62 bis della legge n. 413 del 1991- il beneficio della mancata applicazione di sanzioni pecuniarie tributarie: Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 11358 del 22/07/2003; id. Sez. 5, Sentenza n. 15122 del 30/06/2006).
1.3 Deve escludersi che il termine perentorio per la presentazione della istanza di condono abbia “natura processuale”, e che il contribuente possa, in conseguenza, beneficiare della sospensione legale dei termini durante il periodo feriale (legge 7.10.1969 n. 742), come sostenuto dalla difesa della società resistente e dal Procuratore Generale. In difetto di una definizione normativa di “termine processuale” ai fini della applicazione dell’art. 1 legge n. 749/1969, occorre riferirsi ai criteri ermeneutici elaborati dalla giurisprudenza che considerano processuali non solo i termini che scandiscano l’attività da svolgere “nel processo” (già instaurato: art. 152 c.p.c.) ma anche quelli previsti, a pena di decadenza, per l’esercizio dell’azione giudiziaria -anche nella forma impugnatoria di atti e provvedimenti- laddove “si tratti dell’unico strumento di tutela esperibile per la tutela di diritti” (cfr. Corte cass. I sez. 16.6.1990 n. 6097; id. I sez. 19.7.1990 n. 7409; id. I sez. 28.5.1991 n. 6041; id I sez. 18.4.1997 n. 3351). Il Giudice delle Leggi aveva, infatti, chiarito come la sospensione dei termini nel periodo feriale ex lege n. 742/1969 sia istituto anche correlato al potenziamento del diritto di azione e di difesa, con la conseguenza che la sua applicazione non può arbitrariamente essere limitata al caso dei soli termini processuali “in senso stretto” (presupponenti il giudizio già iniziato). La situazione di chi deve ricorrere in periodo feriale ad un legale perché rediga un atto processuale (in senso stretto) non è, infatti, diversa da quella di chi deve necessariamente ricorrere ad un legale per predispone l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, che è certamente un atto processuale (cfr. Corte cost. sent. 13.7.1987 n. 255, con riferimento al termine di decadenza, di cui all’art. 19col legge n. 865/1971, per la proposizione della opposizione alla stima della indennità di esproprio per p.u.).
1.4 Il coordinamento tra i due distinti fenomeni, che operano sui differenti piani del diritto sostanziale (termine stabilito dall’art. 3 comma 2 bis DL n. 40/2010 per la presentazione della istanza e per il deposito della quietanza) e del diritto processuale (causa legale di estinzione del processo pendente), è attuato dalla stessa legge che ha disposto la sospensione dei procedimenti pendenti (rimanendo interdetto il compimento di qualsiasi atto del processo) fino alla scadenza del predetto termine (giorni 90 dalla data di entrata in vigore della legge n. 73/2010: il Legislatore non ha tuttavia considerato che il termine andava a cadere in periodo di sospensione feriale dei termini ex lege n. 742/1969, con la 7 RG n. 50672006 Ctìst. ric.Ag.Entrate+1 c/ OMP s.r.l. Stefano Ulivieri conseguenza che anche la sospensione ex lege dei processi pendenti veniva ad essere protratta fino al 15.9.2010). Debbono dunque distinguersi nettamente gli atti processuali (i cui termini rimangono sospesi dalla entrata in vigore della legge n. 73/2010 fino al 15.9.2010 ex lege n. 742/1969) dagli atti incidenti sul rapporto di diritto sostanziale per i quali tale sospensione non opera, venendo ad essere supportata tale soluzione interpretativa anche dai seguenti rilievi:
- 1- la legge n. 73/2010 individua espressamente nel “contribuente” il soggetto legittimato alla presentazione della istanza di condono, senza alcun riferimento alle parti processuali (od ai loro difensori): tale scelta appare coerente con lo scopo perseguito dal Legislatore (eliminare le liti pendenti ultradecennali) in quanto consente anche al contribuente, vittorioso nei gradi di merito e rimasto contumace nel giudizio di legittimità, di avvalersi del procedimento di condono, senza dover formalizzare previamente la costituzione in giudizio e rilasciare la necessaria procura alle liti (cfr. Corte eass. V sez. 26.10.2012 n. 18449, con riferimento al contribuente rimasto contumace), e dunque senza dover necessariamente compiere atti processuali riservati al procuratore ad litem
- 2- gli atti assoggettati all’indicato termine spiegano effetto direttamente sul rapporto di diritto sostanziale: la obbligazione tributaria viene ad essere infatti soddisfatta, e quindi estinta, mediante il tempestivo adempimento della prestazione alternativa prevista dalla legge, e dunque lo spirare del termine (al quale va riconosciuta natura decadenziale) entro cui deve essere eseguito il pagamento preclude una modalità di adempimento della obbligazione tributaria, rimanendo del tutto estranea ad esso una funzione processuale (non incidendo sull’esercizio di facoltà o poteri processuali), atteso che l’effetto estintivo del giudizio per cessazione della “res litigiosa” deve ritenersi una mera conseguenza della estinzione della obbligazione di diritto sostanziale.
1.5 Pertanto non avendo la società contribuente osservato il termine stabilito dall’art. 3co2 bis lett. b) del DL n. 40/2010 conv. in legge n. 73/2010, deve ritenersi decaduta dal diritto al condono fiscale previsto dalla medesima legge.
2. Infondata deve ritenersi anche la eccezione pregiudiziale di decadenza per decorrenza del termine lungo ex art. 327co 1 c.p.c. (cui rinviano, in materia di controversie tributarie, per il giudizio di cassazione gli artt. 62co2, 51 e 38co3 Dlgs n. 546/1992). La sentenza della CTR della Lombardia è stata depositata in data 14.12.2004 e non è stata notificata. Il termine per la impugnazione veniva pertanto a scadere il 30.1.2006 (cadendo festivo il giorno 29).
2.1 La verifica della tempestività della notifica del ricorso per cassazione va compita in conformità alle indicazioni fornite dalla giurisprudenza del Giudice delle Leggi che ha affermato il principio – rispettoso delle diverse esigenze di difesa delle parti processuali- secondo cui il momento in cui la notifica deve considerarsi perfezionata per il notificante (in funzione della verifica della osservanza di termini perentori o di decadenza) deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario (cfr. Corte cost. n. 477/2002; Corte cost. n. 28/2004; Corte cost. ord. n. 97/2004, con riferimento all’art. 149 c.p.c. ed alla notificazione a mezzo posta), dovendosi pertanto avere riguardo al momento in cui la parte notificante ha esaurito tutte le attività di impulso del procedimento notificatorio alla stessa richieste e che si esauriscono con la consegna delle 9 RG n. 50672006 Con ric.Ag.Entrate+ I c/ OMP s.r.l. Stefano O copie del ricorso all’organo competente ad eseguire la notifica (Ufficiale giudiziario), rimanendo estranee alla sfera di controllo del notificante le attività -ed i conseguenti tempi ed eventuali errori commessi- attribuite alla competenza esclusiva a detto organo.
2.2 Nella specie dai documenti processuali risulta quanto segue. Il ricorso, sul frontespizio, reca annotazione dattiloscritta a margine “Si notifichi per posta il 30.1.2006 ULTIMO GIORNO”, sottoscritta con sigla illeggibile sulla data a timbro “7 FEB 2006”. A lato del medesimo foglio è apposto timbro di liquidazione “tasse erariali in abbonamento bollo” recante il “n. 03459 cronologico ricorsi” con indicazione della liquidazione dei diritti postali, data a timbro “30 GEN 2006”, privo di sottoscrizione dell’Ufficiale giudiziario. In calce al ricorso sono state redatte le relate di notifica a mezzo servizio postale sottoscritte all’Ufficiale giudiziario Anna Rita Gerardi in data 31 gennaio 2006. Tanto premesso, rilevato che il precedente richiamato dalla società resistente non è pertinente (la fattispecie esaminata da Corte cass. III sez. 16.11.2005 n. 23089 aveva ad oggetto, infatti, un foglio bianco allegato con spillatura al ricorso in cui era apposto un timbro dell’Unep della Corte d’Appello attestante il pagamento, nella prima delle due date, delle tasse erariali in modo virtuale, non solo privo di sottoscrizione, ma anche di “numero cronologico di protocollo”), la questione pregiudiziale deve essere risolta alla stregua del principio di diritto enunciato da questa Corte e dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi secondo cui, in assenza di impugnazione di falso del timbro-protocollo, la prova della tempestiva consegna dell’atto all’Ufficiale giudiziario bene può ricavarsi dalla sola data indicata dal timbro protocollo relativo alla liquidazione dei diritti e delle spese di notifica apposto sul ricorso, sussistendo una presunzione di corrispondenza tra detto timbro ed i dati inseriti nel registro cronologico (cfr. Corte cass. III sez. 28.7.2005 n. 15797 -secondo cui la prova certa della data di consegna dell’atto “può essere desunta anche dal timbro apposto sull’atto da notificare, recante il numero del registro cronologico e la data, con la specifica delle spese, ancorchè non sottoscritta dall’ufficiale giudiziario, dovendosi presumere che il timbro sia conforme all’annotazione su detto registro che a fede fino a querela di falso… “-; id. SU 20.6.2007 n. 14294; id. sez. lav. 1.9.2008 n. 22003).
3. Va preliminarmente dichiarata ex officio l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione attiva, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svoltosi avanti la CTR della Lombardia introdotto con ricorso proposto dall’Ufficio di Vimercate della Agenzia delle Entrate, in data successiva all’1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 co3 c.p.c. (cfr. Corte cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118). Non avendo il ricorso proposto dal Ministero comportato aggravio di attività difensiva si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.
4. Con il primo motivo la Agenzia delle Entrate denuncia contestualmente violazione di norme processuali (artt. 112, 115 e 116 c.p.c.), di norme di diritto sostanziale (art. 32 Dpr n. 600/1973) e vizi logici di motivazione, in relazione all’art. 360co 1 nn. 3, 4 e 5 c.p.c. deducendo che la erroneità della affermazione dei Giudici territoriali secondo cui la società aveva assolto all’onere di produzione dei documenti richiesti con il mod. 55, in quanto la stessa società aveva affermato nei propri scritti difensivi che con il questionario erano stati richiesti innumerevoli dati, documenti, e prospetti. Da tale considerazione derivava altresì la errata affermazione, contenuta in sentenza, della non corrispondenza dei costi dedotti nella dichiarazione ed in relazione ai quali era stato trasmesso alla ditta il questionario, con i costi ritenuti indeducibili e posti a fondamento dell’atto di accertamento.
4.1 Il motivo difetta dei requisiti minimi di specificità richiesti dall’art. 366co1 n. 4) c.p.c. per l’accesso al sindacato di legittimità. Relativamente alle censure mosse per violazione delle norme processuali e di diritto sostanziale, si evidenzia infatti una assoluta carenza di esposizione, non essendo supportata la denuncia da alcuna indicazione del fatto processuale o dell’ “error juris” in cui sarebbero incorsi i Giudici di merito (la ricorrente non specifica neppure quale “regula juris” i Giudici avrebbero erroneamente applicata). Analogamente il vizio logico della motivazione non è supportato dalla indicazione dell’elemento probatorio decisivo che sarebbe stato trascurato o non correttamente valutato dai Giudici di merito, essendosi limitata la parte ricorrente a contestare l’apprezzamento di fatto compiuto dalla CTR in ordine alla ottemperanza della società contribuente alle richieste formulate dall’Ufficio con il questionario, nonché in ordine alla difformità delle voci di spesa indagate nella fase amministrativa istruttoria, con i costi contestati nell’avviso di accertamento notificato alla contribuente. Ed infatti la Agenzia fiscale omette di riferire in ricorso quali fossero i documenti che erano stati richiesti dall’Ufficio e quali fossero quelli forniti dal contribuente, rimanendo pertanto impedito a questa Corte -che in relazione al tipo di vizio denunciato non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito- di verificare in “limine litis” la congruità della censura e la decisività dei documenti indicati in quanto idonei ad inficiare la correttezza dell’iter logico della motivazione posta a sostegno della sentenza impugnata.
5. Con il secondo motivo, il terzo ed tl quarto motivo -che possono essere trattati congiuntamente attesa la stretta connessione logica- si deduce violazione degli art. 32, 38 e 39 Dpr n. 600/1973 (secondo, terzo e quarto motivo), violazione dell’art. 2697 c.c. (secondo motivo), violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. (quarto motivo), in relazione all’art. 360co l n. 3) c.p.c., nonché vizio di messa od insufficiente motivazione (quarto motivo), in relazione all’art. 360co 1 n. 5) c.p.c.. La Agenzia fiscale censura la sentenza impugnata in quanto i Giudici di merito avrebbero dichiarato la nullità dell’atto di accertamento sulla base di un vizio del procedimento tributario (violazione dell’obbligo della Amministrazione finanziaria di richiedere, prima della emissione dell’atto impositivo, eventuale documentazione integrativa qualora fosse stata ritenuta insufficiente quella trasmessa in seguito all’invio del questionario) non contemplato da alcuna norma; avrebbero, inoltre, illogicamente ritenuto esaustiva la risposta fornita dalla società al questionario, sebbene con il mod. 55 fosse stato richiesto alla contribuente il “registro dei beni ammortizzabili” e, se esistente, la “documentazione relativa ai costi di leasing”, e la società si fosse limitata a depositare soltanto documenti concernenti i costi per “provvigioni passive, assicurazioni, e consulenze legali e notarili”, avrebbero ancora errato nel fondare la decisione sulla affermazione che l’avviso di accertamento concerneva rilievi diversi dai dati emersi dalla fase istruttoria del procedimento amministrativo, non considerando che, indipendentemente dalla incompletezza della risposta al questionario, l’Ufficio era in ogni caso legittimato ad effettuare le verifiche sulla dichiarazione dei redditi ed a contestare la indebita deduzione di qualsiasi costo, e che gravava unicamente sulla società contribuente la prova della sussistenza delle condizioni per la deducibilità, risultando, in conseguenza, del tutto omesso l’esame della eventuale ammissibilità e congruità delle prove documentali prodotte dalla società a giustificazione – dei costi dedotti dal reddito sostenuti nell’esercizio.
5.1 Le censure sono fondate. La sentenza di appello fonda l’accertamento di illegittimità dell’atto impositivo sulle seguenti proposizioni argomentative: 1-la società ha risposto esaustivamente al questionario, 2-la PA, ritenendo insufficienti i dati ed i documenti forniti dalla società, avrebbe dovuto richiedere una integrazione alla contribuente, prima di notificare l’avviso, 3-l’atto di accertamento conteneva contestazioni di costi diversi da quelli del questionario e non era stato assicurato il contraddittorio con la contribuente alla quale non era stata data la possibilità di documentare i costi oggetto di nuova contestazione.
5.2 Le prime due statuizioni, tra loro peraltro in logica contraddizione (se infatti, era stato accertato che la ditta aveva risposto esaustivamente al questionario, veniva meno lo stesso presupposto di fatto sul quale è fondata l’affermazione dell’asserito inadempimento dell’Ufficio all’obbligo di richiesta preventiva di integrazione documentale), sono errate in diritto. L’art. 32 Dpr n. 600/1973, nel testo vigente “ratione temporis” (come modificato dalla Legge del 18/02/1999 n. 28 art. 25 ) dispone, infatti, che “1. Per l’adempimento dei loro compiti gli uffici delle imposte possono: ……4) inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, con invito a restituirli compilati e firmati; …… 2. Gli inviti e le richieste di cui al presente articolo devono essere notificati ai sensi dell’art. 60. Dalla data di notifica decorre il termine fissato dall’ufficio per l’adempimento, che non puo’ essere inferiore a quindici giorni ovvero per il caso di cui al n. 7) a sessanta giorni. Il termine puo’ essere prorogato per un periodo di trenta giorni su istanza dell’azienda o istituto di credito, per giustificati motivi, dal competente ispettore compartimentale…”. Relativamente all’accertamento del reddito di impresa dei soggetti diversi dalle persone fisiche, gli Uffici finanziari procedono a rettifica con un unico atto, ai fini IRPEG ed ILOR (art. 40 Dpr n. 600/73), tra l’altro, in tutti i casi in cui non siano state esattamente applicate le disposizioni dettate dal Dpr n. 917/1986 (TUIR) sulla determinazione del reddito di impresa (art. 39co1 lett. b), cui rinvia, per le società di capitali -qual è, nel caso di specie, la società resistente- l’art. 40col Dpr n. 600/1973) tra cui quelle dell’art. 75 TUIR (nel testo vigente all’epoca) che disciplinavano il regime di deduzione dei costi inerenti. Le norme in questione non ponevano altri vincoli all’Ufficio accertatore, né tanto meno scandivano obblighi procedimentali ulteriori, quale l’obbligo di richiedere alla società di integrare i dati lacunosi forniti con la risposta al questionario, risultando in conseguenza non conforme a diritto -e dovendo quindi essere cassata- la statuizione dei Giudici di appello, dichiarativa della illegittimità dell’avviso di accertamento per inosservanza di un obbligo di condotta non previsto dalla legge.
5.3 Nella specie la Agenzia fiscale ha specificato che la società non aveva trasmesso il registro beni ammortizzabili, né i documenti giustificativi dei costi sostenuti per beni condotti in leasing, e che aveva proceduto, comunque, a rettifica della dichiarazione dei redditi contestando la deducibilità e la inerenza di alcune voci di costo. Orbene come emerge dalle norme tributarie in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il paradigma normativo del procedimento di accertamento della veridicità delle dichiarazioni dei contribuenti, disciplinato dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non prevede, quale suo presupposto o momento necessario ed indefettibile della serie – procedimentale finalizzata alla rettifica (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 14367 del 20.6.2007), bene potendo l’Amministrazione finanziaria procedere a rettifica della dichiarazione anche per motivi diversi e prescindendo dai dati acquisiti con le risposte fornite dal contribuente al questionario. Ne consegue, da un lato, la erroneità della statuizione dei Giudici di merito secondo cui la difformità tra i dati richiesti con il mod. 55 e le contestazioni mosse con l’avviso di accertamento renderebbe quest’ultimo viziato da illegittimità; dall’altro l’errore commesso da medesimi Giudici di appello laddove hanno ricollegato a tale difformità l’impedimento della società a fornire la prova giustificativa dei costi dedotti. Se infatti la mancata richiesta ed acquisizione di ulteriori dati da parte dell’Ufficio, nella fase istruttoria del procedimento amministrativo, non impediva certamente alla società di fornire -salvo il limite di cui all’art. 32, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, aggiunto dall’art. 25 della legge 18 febbraio 1999 n. 28- le idonee prove giustificative dei costi inerenti anche nel corso del giudizio di opposizione all’avviso di accertamento (risulta dalla sentenza della CTR che la società con il ricorso introduttivo ha, infatti, prodotto diversi documenti: in difetto di specifico motivo di ricorso per cassazione, proposto dalla Agenzia, la questione della eventuale inutilizzabilità nel giudizio di tali documenti, peraltro neppure individuati, in quanto non precedentemente esibiti, esula dall’ambito del sindacato di legittimità), occorre evidenziare come l’avviso di accertamento correttamente si limitava a contestare la indeducibilità dei costi non documentati o privi del requisito della inerenza, in quanto, l’onere della prova dei presupposti dei costi e degli oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del d.P.R. n. 597 del 1973 e del d.P.R. n. 598 del 1973, che del d.P.R. n. 917 del 1986, incombe al contribuente il quale è tenuto altresì a dimostrare la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa, ove sia contestata dalla Amministrazione finanziaria anche la congruità dei dati relativi a costi e ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, in difetto di tal prova essendo legittima la negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 4554 del 25/02/2010; id. Sez. 5, Sentenza n. 26480 del 30/12/2010).
6. In conclusione, il ricorso trova accoglimento (quanto al secondo, terzo e quarto motivo, inammissibile il primo) e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Lombardia, affinché proceda all’esame ed alla valutazione delle prove fornite dalle parti, rispettivamente, a sostegno dei maggiori redditi di impresa recuperati a tassazione ovvero a giustificazione dei costi inerenti sostenuti nel periodo di imposta portati in deduzione nella dichiarazione presentata per l’anno 1993.
P.Q.M.
La Corte :
– dichiara inammissibile il ricorso proposto dal ministero della Economia e delle Finanze, compensando interamente tra le parti le spese di lite
– accoglie il ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Lombardia per nuovo esame e liquidazione delle spese del presente giudizio.
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