CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 7868 depositata il 20 aprile 2016
CATASTO – PORTO TURISTICO – CENSIMENTO CATASTALE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società Adriatica Marina Per Lo Sviluppo di Iniziative Turistico Portuali S.p.A. (di seguito, per brevità, Adriatica Marina) – quale concessionaria dal 1989 di porzione del demanio estesa mq 44214,50 in località (OMISSIS) dove ha realizzato, sin dal 1990, un porto turistico comprendente 618 posti barca – con procedura DOCFA presentò in data 28/6/2002 istanza di accatastamento del compendio in questione in categoria E/9.
L’Agenzia del Territorio, Ufficio provinciale di Udine, rettificò in data 25.6.2003 la categoria in D/9, con attribuzione di rendita pari ad Euro 210.104,40 rispetto a quella proposta di Euro 265.284,00, notificando l’atto al solo Demanio Pubblico dello Stato – ramo marina mercantile, avendone conoscenza la società solo nel dicembre 2005 a mezzo di comunicazione effettuata dal Comune di Marano Lagunare.
Detto atto fu impugnato quindi dalla società dinanzi alla CTP di Udine, insistendo la contribuente affinchè gli immobili in questione fossero censiti nella categoria E/9, proponendo la rendita di Euro 103.228,03. Nel contraddittorio con l’Agenzia del Territorio e con il Comune di Marano Lagunare la CTP di Udine respinse il ricorso.
Su appello proposto dalla contribuente la CTR del Friuli Venezia Giulia, con sentenza n. 49/08/10, depositata il 18 maggio 2010, accolse parzialmente il gravame, determinando il classamento degli immobili in oggetto nella categoria D/8, confermando i valori unitari fissati dall’Agenzia del Territorio. Avverso detta pronuncia ricorre per cassazione la contribuente, affidando il ricorso a tre motivi.
L’Agenzia del Territorio (ora Agenzia delle Entrate) ed il Comune di Marano Lagunare resistono con controricorso.
Il Comune di Marano lagunare ha depositato memoria a mezzo dell’avv. S. C., costituitosi in sostituzione del precedente difensore avv. G. P., rinunciatario al mandato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riferimento alla palese erroneità nell’indicazione del valore della rendita attribuito al complesso immobiliare e inclusione di elementi non censibili catastalmente in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.
Lamenta in particolare la ricorrente che il giudice tributario di secondo grado sarebbe pervenuto a confermare la legittimità dei valori della rendita attribuita dall’Agenzia del Territorio senza tener conto della natura del bene, sussumibile nella categoria dei beni di pubblica utilità e non in un porto privato. Inoltre, in maniera contraddittoria, avrebbe da un lato affermato la natura dichiarativa della proposta della contribuente volta ad individuare detti valori, stimando congrui, dall’altro, detti valori. La motivazione della sentenza impugnata, inoltre, sarebbe oggettivamente carente nella valutazione degli elementi estimativi offerti dalla ricorrente medesima.
Con ulteriore considerazione, sempre in ordine alla dedotta incongruità in fatto dell’accertamento compiuto dal giudice di merito, la ricorrente lamenta che nel calcolo della rendita siano stati inclusi gli specchi acquei relativi ai singoli posti barca, con applicazione, peraltro, del valore massimo indicato dall’Agenzia del Territorio.
2. Con il secondo motivo la contribuente censura l’affermata natura di bene censibile degli specchi acquei relativi al porto ed ai singoli posti barca in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sotto il profilo della “violazione o falsa applicazione dell’art. 812 c.c.”, assumendo che lo specchio d’acqua non possa essere ricompreso nella categoria dei beni immobili, di cui all’art. 812 c.c., con la conseguenza che, non essendo bene immobile, come tale esso non possa essere oggetto d’iscrizione in catasto, nè possa essere individuato un valore di calcolo ai fini della determinazione della rendita.
3. Infine, con il terzo motivo, la ricorrente deduce “violazione o falsa applicazione del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, artt. 8, 30 e 61 e successive modificazioni, con riferimento alla errata attribuzione della categoria catastale assegnata al complesso immobiliare in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, insistendo nella legittimità della proposta di classificazione dei cespiti nella categoria E/9.
4. Il primo motivo deve ritenersi inammissibile, poichè, sotto la veste formale della censura per vizio di motivazione secondo il disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile, milione temporis, alla presente controversia, la ricorrente tende in realtà a riproporre questioni di fatto già valutate dal giudice di secondo grado, affinchè esse siano decise nel senso prospettato dalla ricorrente nei precedenti gradi di giudizio.
Ed invero, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, deve ritenersi che la CTR abbia dato conto in maniera sufficiente ed adeguata sul piano logico giuridico, della formazione del proprio convincimento, restando quindi incensurabile in sede di legittimità l’accertamento sul fatto da essa compiuta. Ciò innanzitutto nella parte in cui, a fronte della destinazione a privati di posti barca, corrispondenti ai 9/10 della capienza massima della struttura, ha ritenuto che la riserva della parte restante a mezzi della P.A. o a disposizione di natanti in transito non fosse sufficiente a far venire meno la qualificazione in senso commerciale dell’approdo come porto turistico privato.
Ed ancora, relativamente ai valori unitari proposti, richiamando come gli stessi fossero stati determinati dall’Ufficio in conformità a quelli proposti dalla parte stessa nella proposta di classamento del 28 giugno 2002, ciò che, lungi dall’attribuzione di un’impossibile valenza confessoria, atteso che non di un fatto si tratta ma di un giudizio, sta semplicemente a significare che la parte avrebbe dovuto ragionevolmente spiegare perchè i valori ritenuti congrui nel contesto di una proposta di classamento che esentava i beni dall’assoggettamento ad ICI non lo fossero più, trattandosi dei medesimi beni, nel contesto dell’attribuzione ai cespiti di un categoria catastale diversa da quella proposta.
Analogamente è a dirsi, sempre nel quadro della censura per carenza di motivazione, quanto agli specchi acquei.
5. L’affermazione, da parte della sentenza impugnata, secondo la quale questi ultimi “non costituiscono affatto, come pretende l’appellante, delle aree improduttive, ma le necessarie e indispensabili pertinenze dei singoli ormeggi, che consentono le manovre di attracco e di uscita dal porto delle varie imbarcazioni”, è stata oggetto, come si è innanzi detto, di censura anche in relazione al vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, dedotto dalla contribuente con il secondo motivo di ricorso. Esso poggia unicamente sulla considerazione che gli specchi acquei relativi al porto ed ai singoli posti barca non sono classificabili come beni immobili, ai sensi dell’art. 812 c.c., da ciò facendosi discendere la conseguenza che essi non possono essere neppure censibili catastalmente, in proposito richiamandosi da parte ricorrente, quantunque da fonte indiretta, un orientamento espresso dalla Direzione regionale della Liguria dell’Agenzia delle Entrate.
In realtà la norma codicistica non può essere oggetto di una lettura atomistica, ma deve essere interpretata anche alla stregua della normativa fiscale di riferimento a cominciare del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, artt. 1 e 10, nvertito con modificazioni, dalla L. 11 agosto 1939, n. 1249, che si riferisce ad unità immobiliari, piuttosto che a beni immobili.
Questa Corte (cfr. Cass. civ. sez. 6-5 18 febbraio 2015, n. 3166) ha avuto modo, di recente, di affermare il principio, al quale va data ulteriore continuità, secondo cui “in virtù della combinazione della normativa fiscale e di quella codicistica, tutte le componenti che contribuiscono in via ordinaria ad assicurare, ad un’unità immobiliare, una specifica autonomia funzionale e reddituale nel tempo, sono da considerare elementi idonei a descrivere l’unità stessa ed influenti rispetto alla quantificazione della relativa rendita catastale, come da ultimo confermato dalla norma d’interpretazione autentica contenuta nella L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 244”, che rimanda alla circolare dell’Agenzia del Territorio n. 6 del 30 novembre 2012, con riferimento alla determinazione della rendita catastale delle unità immobiliari a destinazione speciale o particolare. Nel caso di specie la sentenza impugnata si è attenuta a detto principio, evidenziando l’esistenza di stabile autonomia funzionale e reddituale degli specchi acquei antistanti al porto turistico ed ai singoli posti barca.
6. Del pari è infondato il terzo motivo, con il quale la ricorrente censura, per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto come riportate nella rubrica come sopra trascritta, l’attribuzione della categoria D/8.
Si è già, innanzi, evidenziato, nell’esame del primo motivo, che la CTR ha congruamente esposto le ragioni in virtù delle quali, pur trattandosi di area demaniale in concessione, nella valutazione delle caratteristiche oggettive dell’immobile, essa deve intendersi come adattata alle speciali esigenze di un’attività commerciale e ciò, di per sè, è preclusivo di ogni ulteriore considerazione al riguardo.
Può aggiungersi, a completamento della disamina del ricorso, inoltre, che questa Corte ha già avuto modo di affermare, in analoghe controversie, la legittimità dell’attribuzione della categoria D/8 con riferimento a posti barca realizzati in porti turistici (cfr. Cass. civ. sez. 5, 23 maggio 2014, n. 11456 e Cass. civ. sez. 5, 18 aprile 2014, n. 9018), evidenziando il carattere di residualità della categoria E, riguardante gli immobili a destinazione particolare, la qual cosa risulta confermata del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, convertito dalla L. n. 286 del 2006, che ha espressamente stabilito che “nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale”.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
7. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano nei confronti di ciascuna delle parti controricorrenti come da dispositivo, diversificate le rispettive voci liquidate per compenso, avuto riguardo alla mancata partecipazione del difensore dell’Agenzia delle Entrate (già Agenzia del Territorio) all’udienza di discussione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità nei confronti delle parti controricorrenti, che liquida, in favore dell’Agenzia delle Entrate (già Agenzia del Territorio) in Euro 6.000,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito, ed in favore del Comune di Marano Lagunare in Euro 7.000,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori, se dovuti.
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