CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 7878 del 20 aprile 2016
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
C. T. S. L. s.r.l. (gia’ s.p.a. gia’ s.a.s.) propose ricorso avverso avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia, sulla scorta di p.v.c. della G.d.F., aveva, ai fini delle imposte dirette relative all’annualita’ 1987, recuperato a tassazione costi, per complessive Lire 1.944.469.000, ritenuti indeducibili, cosi’ rideterminando, in Lire 2.016.474.000, il reddito imponibile, dichiarato in Lire 72.005.000.
L’adita commissione provinciale accolse il ricorso, con decisione confermata, in esito all’appello dell’Agenzia, dalla commissione regionale.
Avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, in due motivi.
La societa’ contribuente ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Procedendo ad analitico esame dei costi recuperati, i giudici di appello hanno, in definitiva, sostenuto: a) che i costi di complessive Lire 21.271.286, inerenti a materiali di consumo per manutenzione riparazione autoveicoli, quelli relativi a trasporti per complessive Lire 1.433.200.000, attestati da fatture emesse dalla s.r.l. “Autotrasporti Pennacchi” nell’anno 1998 per prestazioni eseguite nel 1997, nonche’ quelli, per complessive Lire 89.418.737, conteggiati sul conto “Noleggio beni di terzi”, devono ritenersi deducibili, ancorche’ attestati da fatture non rispondenti ai requisiti di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, poiche’ l’inosservanza di detti requisiti non arreca alcun pregiudizio all’Erario, configurando formalita’ meramente formali e prive di effetti; b) che i costi per prestazioni di servizi, per l’importo di Lire 383.501.333, devono ritenersi descritti in fattura in termini d’idonea specificita’ mediante la qualificazione “prestazioni tecniche” e che pure le spese di ristorazione per complessive Lire 2.653.200, sono attestata da fatture sufficientemente specifiche; c) che le spese di pubblicita’, di complessive Lire 2.000.0000, sono deducibili ai sensi dell’art. 74, comma 2 T.U.I.R., quali spese per pubblicita’ e propaganda.
Tale essendo il tenore della decisione impugnata, con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia
– deducendo violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 e art. 2697 c.c.
– censura la decisione impugnata, quanto ai profili di cui alle precedenti lett. a) e b),
per non aver considerato che
– in presenza di fatture che contengono una descrizione generica della prestazione ed inidonea a dare contezza del requisito dell’inerenza (non riportando i dati identificativi dei beni su cui e’ stata effettuata la prestazione;
non consentendo di rilevare la natura, la qualita’ e quantita’ della prestazione, ne’ il luogo ed il periodo della esecuzione della prestazione;
contenendo una indicazione generica della prestazione di trasporto eseguita, da cui non si evincono gli estremi del documento di trasporto riconducibili ai trasporti eseguiti, ne’ il periodo a cui si riferisce la prestazione; non consentendo l’individuazione del soggetto persona fisica cui la prestazione di ristorazione e’ stata erogata)
– grava sul contribuente l’onere di provare i requisiti di legge al fine di ammettere in deduzione i costi stessi.
Con il secondo mezzo, l’Agenzia censura la decisione impugnata, quanto ad alcuni suoi profili, sul piano del vizio motivazionale.
Entrambe doglianze sono fondate.
Quanto alla prima censura occorre, invero, rilevare che questa Corte ha gia’ affermato (cfr., tra le altre, 21446/14), che, diversamente da quanto supposto dal giudice a quo, l’irregolarita’ della fattura, non redatta in conformita’ ai requisiti di forma e contenuto prescritti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, non e’ priva di effetti, giacche’, facendo venir meno la presunzione di veridicita’ di quanto in essa rappresentato, la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo, consentendo all’Amministrazione finanziaria di contestare l’effettivita’ delle operazioni ad essa sottese e di ritenere indeducibili i costi nella stessa indicati.
Quanto alla seconda censura, occorre, invece, rilevare: a) che la motivazione posta a fondamento dalla deducibilita’ dei cesti per complessive Lire 89.413.737, conteggiati sul conto “Noleggio beni di terzi” (oltre ad essere errata in punto di diritto per l’erroneita’ dell’assunta irrilevanza della violazione delle prescrizioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21) e’ del tutto incoerente con le ragioni poste a base della ripresa (in parte, mancanza di documentazione del costo; in parte divergenza tra il costo portato in deduzione e il dato contabile risultante dalle scritture contabili, ossia il libro giornale); b) che, peraltro, la motivazione della decisione e’ carente, laddove conforta l’inerenza dei costi per spese di ristorazione di Lire 2.653.200 senza fornire indici fattuali atti a consentire la ricostruzione dell’iter logico dell’assunto, e addirittura apodittica, laddove afferma quella della “spesa agonistica” per Lire 2.000.000.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone l’accoglimento del ricorso. La sentenza impugnata va, dunque, cassata, con rinvio della causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimita’, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.
P.Q.M.
la Corte: accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimita’, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.
Cosi’ deciso in Roma, il 27 gennaio 2016.
Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2016
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