CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 7973 depositata il 20 aprile 2016
FALLIMENTO – CONCORDATO PREVENTIVO – ORGANI – CONCORDATO PREVENTIVO CON CESSIONE DEI BENI AI CREDITORI – COMMISSARIO LIQUIDATORE – COMPENSO FINALE – QUANTIFICAZIONE – CRITERI – DETERMINAZIONE IN MISURA INFERIORE RISPETTO A QUELLO DEL COMMISSARIO GIUDIZIALE – FONDAMENTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
R.M. impugna per cassazione il decreto con il quale il Tribunale di Roma determino’ il suo compenso finale, quale liquidatore giudiziale dei beni nel concordato preventivo della I.G.A. I. G. A.s.p.a., in liquidazione, omologato dal medesimo tribunale.
Tenuto conto dell’attivo inventariato e del passivo accertato, il tribunale ritenne di liquidare a R. una somma inferiore a quanto gia’ accordato al commissario giudiziale e pari all’acconto in precedenza riscosso dal medesimo liquidatore.
Il ricorso e’ affidato a due motivi.
La I.G.A. I. G. A. s.p.a., in liquidazione, non ha spiegato difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. Fall., artt. 39 e 165, nonche’ vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo il tribunale accordato al liquidatore giudiziale una somma assai inferiore rispetto a quella gia’ liquidata al commissario giudiziale, senza addurre alcuna giustificazione per il diverso trattamento, incorrendo altresi’ in un errore nella determinazione dell’attivo liquidato e del passivo accertato.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.M. 28 luglio 1992, n. 570, artt. 1 e 6, nonche’ omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per avere il tribunale liquidato un compenso finale pari esattamente all’acconto gia’ corrisposto, senza addurre motivazione alcuna.
Il primo motivo e’ in parte inammissibile e in parte infondato.
E’ inammissibile nella parte in cui censura l’errore che sarebbe stato commesso dal tribunale nella indicazione dell’attivo liquidato e del passivo accertato, in quanto, secondo il costante orientamento di questa corte, il ricorso per cassazione con cui si denunci l’errore del giudice di merito in relazione alla percezione di documenti acquisiti agli atti del processo e menzionati dalle parti non corrisponde ad alcuno dei motivi di ricorso ai sensi dell’art. 360 c.p.c.; si tratta, piuttosto, di in una inesatta percezione da parte del giudice delle circostanze poste a base del suo ragionamento in contrasto con le risultanze degli atti del processo, suscettibile quindi di essere denunciata con il mezzo della revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4), (Cass. 9 ottobre 2015, n. 20240).
Il motivo di ricorso e’ per altro verso infondato, perche’ nel concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, le funzioni svolte dal commissario liquidatore, nominato ai sensi della L. Fall., art. 182, sono indubbiamente assimilabili a quelle esercitate dal curatore fallimentare; e pertanto legittimamente, nel silenzio del D.M. 28 luglio 1992, n. 570, il giudice poteva utilizzare i criteri stabiliti da questo stesso D.M. per la liquidazione del compenso al curatore fallimentare (Cass. 26 agosto 2004, n. 16989).
D’altronde prima il D.Lgs. 17 settembre 2007, n. 169, introducendo della L. Fall. art. 182, il nuovo comma 2 e poi del D.M. 25 gennaio 2012, n. 30, art. 5, comma 3, che ha sostituito integralmente il D.M. n. 570 del 1992 – discipline pure non applicabili ratione temporis nella vicenda in esame -, hanno previsto espressamente che, nel concordato con cessione dei beni, al liquidatore giudiziale si applichi direttamente la L. Fall., art. 39, spettandogli un compenso determinato secondo i medesimi parametri previsti per il curatore.
Del tutto plausibilmente dunque il tribunale ha liquidato al commissario giudiziale somme superiori rispetto a quelle accordate al liquidatore L. Fall., ex art. 182, posto che l’attivita’ espletata dal primo prende avvio gia’ dal decreto di ammissione alla procedura L. Fall., ex art. 163 e si protrae anche dopo l’omologa del concordato, spettando al commissario il compito di sorvegliarne l’adempimento L. Fall., ex art. 185, mentre il ruolo del liquidatore giudiziale e’ necessariamente ristretto alla sola fase esecutiva del concordato, successivamente all’omologa della proposta.
Il secondo motivo e’ inammissibile, perche’ propone censure attinenti al merito della decisione impugnata.
Rientra in realta’ nella piena discrezionalita’ del tribunale, non censurabile in sede di legittimita’, liquidare al professionista con il provvedimento finale un importo non superiore ai compensi gia’ corrisposti a titolo di acconto, dovendo comunque il giudice – anche al momento di determinare il compenso definitivo – rispettare unicamente il vincolo derivante dalle percentuali, oscillanti tra un minimo e un massimo, previste nei relativi scaglioni per valore, riferiti sia all’attivo liquidato sia al passivo accertato all’esito della procedura.
In mancanza di difese dell’intimato, non v’e’ pronuncia sulle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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