CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 803 del 19 gennaio 2016
FALLIMENTO – EFFETTI SUGLI ATTI PREGIUDIZIEVOLI AI CREDITORI – AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE – ATTI A TITOLO ONEROSO, PAGAMENTI E GARANZIE – PERIODO CD. SOSPETTO – STATO DI INSOLVENZA DELL’IMPRENDITORE – PRESUNZIONE “IURIS ET DE IURE” – CONFIGURABILITÀ – ONERE DELLA PROVA DEL CONVENUTO IN REVOCATORIA – CONTENUTO – “INSCIENTIA DECOCTIONIS”
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Bologna ha respinto l’appello proposto dalla Vigilanza La Patria s.p.a. contro la sentenza di primo grado, che, accogliendo la domanda L. Fall., ex art. 67, comma 2, proposta dalla Filippo Fochi s.p.a. in A.S., aveva dichiarato inefficaci i pagamenti per complessivi Euro 205.277,50 eseguiti dall’impresa in bonis in favore dell’appellante fra il giugno ed il settembre del 1994 (ovvero nell’anno anteriore alla dichiarazione di insolvenza della Fochi) ed aveva condannato quest’ultima alla restituzione della somma predetta, maggiorata degli interessi legali. La corte del merito ha, in primo luogo, ritenuto sussistente il presupposto temporale dell’azione in relazione a tutti i pagamenti dedotti in giudizio, affermando che, nell’ipotesi in cui la domanda revocatoria fallimentare sia proposta da un’impresa posta in A.S., il c.d. periodo sospetto decorre a ritroso dalla data di dichiarazione dello stato di insolvenza e non da quella, ad essa successiva, di emissione del decreto ministeriale di assoggettamento alla procedura concorsuale. Il giudice d’appello ha quindi accertato la ricorrenza del presupposto soggettivo dell’azione, rilevando: che i pagamenti impugnati erano stati effettuati con un ritardo di oltre un anno e dopo che – rimasto ineseguito l’originario piano di dilazione concordato fra le parti – la Vigilanza La Patria (all’epoca denominata Sicurezza Bolognese) aveva notificato alla debitrice un decreto ingiuntivo, anche sulla scorta di fatture che le erano state retrocesse dalla societa’ di factoring cui aveva ceduto parzialmente il credito; che dopo la notifica del provvedimento monitorio la convenuta/appellante aveva accettato un nuovo piano di dilazione, ma aveva poi revocato l’accettazione a seguito del ritardo nel pagamento della prima rata, aveva manifestato l’intenzione di agire in via esecutiva per il recupero del credito ed aveva definitivamente interrotto ogni rapporto negoziale con la debitrice; che la vicenda si collocava, infine, nel piu’ ampio contesto dell’insolvenza dell’intero gruppo Fochi, di cui la stampa nazionale e locale aveva dato ripetutamente notizia sin dall’inizio del 1994.
La sentenza, pubblicata l’11.3.2009 e’ stata impugnata dalla Vigilanza La Patria s.p.a. con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui Filippo Fochi in A.S. ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) I primi tre motivi del ricorso, che denunciano violazione dell’art. 2729 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., oltre che vizi di motivazione, investono il capo della sentenza che ha ritenuto provata la scientia decoctionis della Vigilanza La Patria.
1.1.) La ricorrente lamenta che la corte territoriale abbia esaminato solo parte del materiale probatorio acquisito in corso di causa e che non abbia tenuto conto che, prima di ricevere la notifica del decreto ingiuntivo, la Filippo Fochi aveva spontaneamente provveduto al pagamento di L. 59.912.556, in acconto del maggior importo dovuto, in tal modo dimostrando di non versare in stato di insolvenza.
1.2) Deduce, inoltre, che il giudice d’appello avrebbe fatto indistinto riferimento ad articoli di stampa concernenti l’allarmante situazione economica e finanziaria dell’intero gruppo Fochi, omettendo di dar conto di quelli effettivamente utilizzabili ai fini del raggiungimento della prova di cui l’impresa in A.S. era onerata, nonche’ della loro contestualita’ rispetto ai pagamenti impugnati.
1.3) Contesta, infine, la valenza presuntiva delle singole circostanze considerate dalla corte del merito, a suo dire prive dei requisiti della gravita’, della precisione e della concordanza.
Rileva, in particolare: 1) che la richiesta di emissione del decreto ingiuntivo non ha capacita’ dimostrativa della scientia decoctionis del creditore; 2) che il mancato integrale rispetto del piano di rientro concordato, cui la Filippo Fochi aveva parzialmente adempiuto attraverso il versamento dell’acconto, non costituiva segno inequivocabile dell’insolvenza della societa’; 3) che, del pari, era privo di valenza indiziaria il fatto che il credito, da essa ceduto ad una societa’ di factoring, le fosse stato retrocesso per l’inadempimento della debitrice; 4) che la sua decisione di troncare i rapporti contrattuali intrattenuti con la Fochi era del tutto coerente rispetto all’obiettivo perseguito, di ottenere l’integrale pagamento di quanto dovutole, e non costituiva indice di conoscenza dello stato di insolvenza, tanto piu’ che la debitrice, dimostrando di godere ancora di ampia fiducia sul mercato, aveva immediatamente conferito ad un’altra societa’ l’incarico di vigilanza; 5) che la seconda moratoria concessa era stata sostanzialmente rispettata; 6) che le notizie di stampa deponevano nel senso di una solo temporanea crisi di liquidita’ del gruppo; 7) che, infine, a carico della Filippo Fochi non erano stati elevati protesti ne’ promosse procedure esecutive.
2) I motivi, che sono fra loro connessi e possono essere esaminati congiuntamente, non meritano accoglimento.
2.1) Va intanto rilevato che non puo’ rimproverarsi alla corte bolognese di non aver tenuto conto dell’intero materiale istruttorio acquisito agli atti di causa, posto che, come costantemente affermato da questa Corte, il giudice del merito puo’ fondare il proprio convincimento sui soli elementi probatori che ritiene rilevanti per la decisione e non e’ obbligato a prendere in esame ed a disattendere tutte le contrarie risultanze processuali, a condizione che risulti logicamente giustificato il valore preminente accordato agli elementi da lui utilizzati (cfr., fra moltissime, Cass. nn. 13485/014, 8129/014, 25608/013).
In realta’, l’unico dato di cui la ricorrente lamenta l’omessa considerazione e’ costituito dal pagamento in acconto eseguito spontaneamente da Filippo Fochi nelle more fra l’emissione e la notifica del decreto ingiuntivo. La Vigilanza non ha pero’ illustrato la decisivita’ di tale dato ai fini di una diversa soluzione della controversia: non ha chiarito, cioe’, perche’ esso varrebbe da solo a smentire la valenza presuntiva dei molteplici elementi di segno opposto in base ai quali la corte del merito, con un’amplissima e coerente motivazione, ha accertato la ricorrenza del presupposto soggettivo dell’azione.
E’ poi appena il caso di rilevare che, contrariamente a cio’ che sembra sostenersi nei motivi, lo stato di insolvenza della Filippo Fochi alla data dei pagamenti impugnati non poteva ritenersi controverso nel giudizio, in quanto l’insolvenza dell’impresa nel c.d. periodo sospetto forma oggetto di presunzione iuris et de iure, derivante dal fatto stesso dell’apertura della procedura concorsuale; ne consegue che il convenuto in revocatoria non e’ ammesso a provare che nel periodo in questione il debitore versava in una situazione di solo temporanea difficolta’ ad adempiere, ma puo’ soltanto contestare di aver percepito i sintomi del dissesto, allegando, se del caso, i fatti dimostrativi della propria inscientia. Per il resto, le censure in esame vanno dichiarate inammissibili. Al di la’ del rilievo dell’assoluta genericita’ dei quesiti e/o delle proposizioni riassuntive che corredano i motivi, la ricorrente, infatti, non evidenzia gli errori di diritto nei quali la corte territoriale sarebbe incorsa nell’applicazione degli articoli che regolano la formazione della prova, non solleva problemi di interpretazione delle disposizioni che assume violate, non specifica quali siano le contraddizioni che inficiano il ragionamento probatorio su cui si fonda la decisione e neppure chiarisce sotto quali profili l’iter argomentativo della sentenza non rispetterebbe i canoni della sufficienza e della logicita’, ma si limita a muovere una serie di doglianze che si risolvono nella richiesta di un integrale riesame del merito, allo scopo di sostituire all’interpretazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice a quo la propria personale interpretazione.
Trova dunque applicazione il principio, ripetutamente enunciato da questa Corte, secondo cui i vizi posti a base del ricorso per cassazione non possono consistere nella mera sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata, ne’ risolversi nella denuncia di un’errata valutazione delle prove fondata sull’unico presupposto della sua difformita’ da quella pretesa dalla parte (Cass. nn. 17901/010, 10657/010, 7992/07, 12467/03): il controllo di legittimita’ sulla motivazione della sentenza non puo’ spingersi, infatti, alla rielaborazione del giudizio di fatto espresso dal giudice del merito, alla ricerca di una soluzione alternativa rispetto a quella ragionevolmente raggiunta, solo perche’ ritenuta la migliore possibile (Cass. n. 21153/010).
3) Il quarto motivo del ricorso e’ volto all’annullamento del capo della decisione che ha affermato che, ai fini della revocatoria fallimentare degli atti compiuti da un’impresa che – come la Filippo Fochi – sia assoggettata ad A.S. ai sensi della L. n. 95 del 1979, il c.d. periodo sospetto decorre, a ritroso, dalla data della sentenza che ha dichiarato l’insolvenza e non da quella, successiva, di emissione del decreto ministeriale con il quale e’ disposta l’apertura della procedura concorsuale. A sostegno del proprio contrario assunto, la Vigilanza richiama due precedenti di questa Corte (Cass. nn. 3927/08, 26297/06), l’uno in tema di A.S. e l’altro in tema di LCA, e rileva che dall’applicazione del principio in essi enunciato, secondo cui il termine per il calcolo a ritroso del periodo sospetto rilevante per l’esercizio delle azioni di cui alla L. Fall., art. 67, da parte del Commissario decorre dalla data di emanazione del decreto ministeriale, deriverebbe l’esclusione dal novero dei pagamenti revocabili di quello ricevuto il 20.6.94, in quanto il D.M. che ha posto la Fochi in A.S. e’ stato emesso il 23.6.95.
4) Il motivo deve essere respinto.
4.1) La prima delle due sentenze citate dal ricorrente non costituisce un precedente, in quanto ha deciso sulla diversa questione – che era l’unica controversa fra le parti – se il termine di cui si discute dovesse farsi decorrere dalla data di emanazione o da quella di pubblicazione del decreto ministeriale.
La seconda sentenza ha comunque affrontato la questione in un obiter (atteso che cio’ che era in discussione fra le parti era la data di decorrenza del termine di prescrizione dell’azione esercitata dal Commissario di una LCA apertasi anteriormente all’emissione della sentenza dichiarativa dell’insolvenza), si e’ posta in dissenso (senza chiarirne appieno le ragioni) con l’antecedente Cass. n. 5858/99 ed e’ stata smentita dalla successiva Cass. n. 9177/08.
Il collegio aderisce all’indirizzo interpretativo espresso dalle due pronunce appena citate, cui va data continuita’. Va pertanto ribadito che, nell’ipotesi in cui l’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza preceda l’emanazione del D.M. di apertura della procedura, il termine dal quale calcolare a ritroso il periodo sospetto decorre dalla data della sentenza e non da quella di emissione del provvedimento amministrativo.
4.2) Va premesso che, quanto all’amministrazione straordinaria, il problema si pone solo per le procedure apertesi nel vigore della L. n. 95 del 1979: il D.Lgs. n. 270 del 1999, che ha disciplinato ex novo l’istituto, ha infatti espressamente previsto (art. 49, comma 2) che i termini stabiliti per l’esercizio delle azioni revocatorie si computano a decorrere dalla dichiarazione dello stato di insolvenza.
La tesi che qui si sostiene e’ stata dunque significativamente avallata dal legislatore allorche’ ha per la prima volta esplicitato la propria volonta’ in materia, ne’ puo’ ritenersi superata dalla successiva L. n. 39 del 2004 che, con riguardo alla ed. amministrazione straordinaria speciale, ha ricondotto (art. 6, comma 1 ter) detti termini alla data di emanazione del decreto ministeriale, ma nell’ambito di un sistema totalmente innovato, in cui il decreto precede la dichiarazione di insolvenza e nel quale, pertanto, la sentenza, che deve intervenire entro quindici giorni, accerta necessariamente la ricorrenza di tale stato alla data del provvedimento amministrativo.
La L. n. 95 del 1979 si limita invece a rinviare, per quanto non diversamente previsto, alla disciplina dettata dalla L. Fall., art. 195 e segg. e art. 237, ed equipara “a tutti gli effetti” il decreto che dispone l’A. S. a quello che ordina la LCA. Nelle procedure soggette alla legge predetta trova dunque applicazione, con riguardo alle azioni revocatorie, la L. Fall., art. 203, comma 1 il quale stabilisce (sia nel testo attuale che in quello, anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 270 del 1999, applicabile ratione temporis) che, accertato giudizialmente lo stato di insolvenza a norma degli artt. 195 e 202, le disposizioni del titolo 2, capo 3, sezione 3 della legge sono applicabili “con effetto dalla data del provvedimento che ordina la liquidazione”.
4.3) Deve escludersi che dal tenore testuale dell’articolo possano desumersi argomenti a sostegno dell’assunto della ricorrente: la norma si limita infatti ad estendere all’impresa insolvente posta in liquidazione coatta amministrativa (cui va equiparata l’amministrazione straordinaria ex L. n. 95 del 1979) le disposizioni espressamente dettate per il fallimento in ordine agli effetti che questo comporta sugli atti pregiudizievoli ai creditori ed a identificare, nell’inciso, nella data di emanazione del provvedimento amministrativo il momento a partire dal quale esse saranno applicabili alla procedura di LCA.
Nulla autorizza, per contro, a leggere l’inciso quale norma volta a modificare le condizioni delle azioni contemplate dalla L. Fall., art. 64 e segg., ed, in particolare, ad introdurre previsioni specifiche con riguardo al termine di decorrenza del periodo sospetto, per la cui individuazione non puo’ che farsi riferimento alla disciplina propria delle azioni medesime.
In buona sostanza, come chiarito da Cass. n. 5858/99 cit, una volta che le ridette disposizioni siano divenute applicabili (ovvero una volta che sia stato emesso il provvedimento che ordina la liquidazione), il Commissario potra’ esperire le singole azioni di inefficacia individuando il periodo sospetto secondo quanto previsto dalle norme che le regolano.
Non v’e’ dubbio, d’altro canto, che, alla stregua di tali norme, il termine dal quale far decorrere a ritroso il periodo sospetto coincide con l’accertamento giudiziale dell’insolvenza, inteso non gia’ con stretto riferimento alla data di emissione della sentenza dichiarativa, ma in senso ampio (come e’ reso palese, in ipotesi di consecuzione di procedure, dalla retrocessione del termine alla prima di esse).
4.4) Ulteriori considerazioni soccorrono a sostegno di tale conclusione. In primo luogo va rilevato che l’esigenza cui presiede la revocatoria fallimentare, di tutela dei creditori rispetto agli atti depauperativi compiuti dal debitore ancora in bonis, trova il suo fondamento nella presunzione che l’insolvenza non compare all’improvviso e puo’ essere percepita dal terzo contraente ben prima del momento in cui viene accertata. Una volta che l’accertamento sia intervenuto, alla presunzione si sostituisce una certezza: sarebbe pertanto del tutto privo di logica continuare a qualificare come meramente “sospetto” il periodo intermedio, piu’ o meno lungo, che intercorre tra la data di emissione della sentenza dichiarativa e quella di apertura della procedura concorsuale di LCA (o di A.S. ex L. n. 95 del 1979), durante il quale, del resto, non potrebbe piu’ porsi in discussione la scientia decoctionis del convenuto. Vero e’ che nel predetto periodo intermedio, in cui, secondo quanto previsto dalla L. Fall., art. 200, non si e’ ancora verificato lo spossessamento del debitore, questi potrebbe continuare ad operare in danno dei creditori, ma la constatazione non e’ di per se’ sufficiente a ritenere preferibile l’opzione interpretativa sostenuta dalla ricorrente, seguendo la quale la praticabilita’ dell’azione revocatoria fallimentare risulterebbe ampiamente compromessa nel caso di ritardo nell’emanazione del provvedimento amministrativo e potrebbe essere esclusa in radice qualora questo intervenisse oltre il biennio. Per contro, il rischio derivante dalla possibilita’ del compimento, nel periodo in questione, di atti depauperativi non assoggettabili ne’ all’azione revocatoria fallimentare ne’ alle azioni di inefficacia di cui alla L. Fall., art. 44, risulta fortemente attenuato in ragione sia dell’esperibilita’ da parte del Commissario dell’azione revocatoria ordinaria (dalla quale sarebbero esclusi soltanto i pagamenti dei debiti scaduti), sia dall’emanazione da parte del tribunale che accerta l’insolvenza dei provvedimenti conservativi ritenuti opportuni nell’interesse dei creditori (art. 195, comma 1), sia, ancora, delle conseguenze, in termini di responsabilita’ civile e penale, che deriverebbero ai soggetti agenti dall’aver posto in essere condotte qualificabili come di bancarotta post-fallimentare. Infine, dalla L. Fall., art. 200, si ricava che nell’ipotesi, speculare a quella in esame, in cui l’apertura della procedura precede l’accertamento giudiziale dell’insolvenza, detto accertamento va compiuto con riguardo al momento di emissione del provvedimento amministrativo (Cass, nn. 1381/99, 9881/97): ne consegue che, non diversamente da cio’ che si e’ affermato per il caso di specie, in tale ipotesi il periodo sospetto va fatto decorrere (a ritroso) dalla data del provvedimento non gia’ in ragione del disposto dell’ari 203, ma perche’ e’ a detta data che la sentenza riferisce l’insolvenza (cfr. Cass. n. 14012/02).
5) Resta assorbito il (peraltro inammissibile) quinto motivo del ricorso, con il quale la Vigilanza richiede la riforma della statuizione sulle spese del doppio grado di merito.
Le spese di questo giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 8.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.