CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 814 del 19 gennaio 2016
FALLIMENTO – ACCERTAMENTO DEL PASSIVO – AMMISSIONE AL PASSIVO – ESECUTIVITÀ DELLO STATO PASSIVO – SUCCESSIVA RINUNCIA DI UN CREDITORE AMMESSO – POSSIBILITÀ DI INSINUAZIONE TARDIVA DEL MEDESIMO CREDITO – SUSSISTENZA – FONDAMENTO – ANCHE DA PARTE DEL CESSIONARIO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
IN.CO.FIN.SCO. s.p.a.,con ricorso in data 23/10/2007, chiedeva l’ammissione allo stato passivo del Fallimento Gardesana s.r.l. della somma complessiva di Euro 339.542,12, di cui euro 30.352,64 in privilegio ed il resto in via chirografaria, quale avente causa di R.G., C.M., B.M.C., P. S. e T.A.M., creditori gia’ ammessi al passivo e che, successivamente alla dichiarazione di esecutivita’ dello stato passivo, avevano rinunciato all’ammissione. Il Curatore contestava l’ammissione del credito e la causa cosi’ insorta veniva decisa dal Tribunale di Voghera, con sentenza del 1/12/2008, di reiezione della domanda. La sentenza veniva impugnata da IN.CO.FIN.SCO; il Curatore non si costituiva; La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 16 – 24 luglio 2009, in riforma della sentenza impugnata, ha ammesso allo stato passivo del Fallimento l’appellante, in via privilegiata per Euro 30352,64 e per Euro 308.654,65 in chirografo.
La Corte territoriale, nello specifico, ha ritenuto che oggetto di controllo deve essere non piu’ il credito del cedente, gia’ accertato, ma l’effettivita’ (non la validita’) della cessione e l’insussistenza di cause preclusive del credito nei confronti del Fallimento, in relazione al nuovo titolare; e nel caso, la domanda era comprovata dagli atti di cessione, da cui l’accoglimento della domanda di dichiarazione tardiva di credito nell’importo indicato.
Ricorre il Fallimento, con ricorso affidato a cinque motivi.
Si difende con controricorso IN.CO.FIN.SCO..
Il Fallimento ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., ed ha presentato osservazioni alle conclusioni del P.M., ex art. 379 c.p.c., u.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1.- Col primo motivo, il Fallimento, premessa l’ammissibilita’ del ricorso, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 310 c.p.c., stante la particolarita’ della fattispecie, caratterizzata dalla proposizione di una domanda tempestiva, accolta col decreto di esecutivita’ dello stato passivo, dalla successiva rinuncia dei creditori all’ammissione, quindi non rinuncia alla domanda ma al diritto a concorrere, da cui non l’estinzione del procedimento prima della pronuncia di merito, ma la rinuncia al provvedimento favorevole.
Secondo la parte, non si pone alcuna questione di estinzione del processo art. 310 c.p.c., avendo i creditori rinunciato alla gia’ avvenuta ammissione, e quindi al loro diritto al concorso ed alla qualita’ di concorrenti accertati dal decreto di esecutivita’ dello stato passivo.
1.2.- Col secondo, denuncia il vizio di omessa o in subordine insufficiente motivazione: la Corte del merito ha omesso di considerare che il cedente ha ceduto un credito al quale aveva gia’ rinunciato; la sequenza nel caso prevede: istanze tempestive di ammissione; decreto di esecutivita’ dello stato passivo del 16/7/2004; rinunce all’insinuazione del 23 maggio 2007; notifica delle cessioni al Fallimento, il 5/9 ottobre 2007; insinuazione tardiva, il 23 ottobre 2007.
E le rinunce non sono certamente servite ad evitare una doppia insinuazione, come sostenuto da controparte, e, se cosi’ fosse, i creditori avrebbero dovuto rinunciare dopo che fosse divenuta la cessione opponibile al Fallimento e non prima.
1.3.- Col terzo motivo, il Fallimento si duole della violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 52, 93, 97 e 101; contesta alla sentenza impugnata di non avere tenuto conto che il cessionario non puo’ proporre domanda tardiva se il cedente ha rinunciato alla gia’ avvenuta ammissione al passivo; la rinuncia all’insinuazione annotata nello stato passivo costituisce rinuncia alla ripartizione disposta dal G.D., con effetto di giudicato quanto meno endofallimentare, ne’ le parti potrebbero rinunciare all’effetto processuale concretantesi nel divieto del ne bis in idem.
1.4.- Col quarto, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.1236 e 1264 c.c., per avere la Corte del merito ritenuto la successione nel credito concorrente, quando era gia’ stato rinunciato; le parti avevano rinunciato al provvedimento che aveva accertato il diritto, ed e’ irrilevante che la cessione fosse stata stipulata prima, visto che e’ divenuta opponibile al Fallimento successivamente.
1.5.- Col quinto motivo, la Procedura si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 132 c.p.c., art. 347 c.p.c., comma 3 e del difetto di motivazione, conseguente all’omesso esame degli atti contenuti nel fascicolo del Fallimento, che il Tribunale aveva valutato. Il Tribunale, nell’ambito dei propri poteri d’ufficio, aveva attinto documenti dal fascicolo del Fallimento, in particolare, le dichiarazioni di rinuncia alle insinuazioni dei crediti poi oggetto della domanda tardiva ex art. 101 L. Fall. di IN.CO.FIN.SCO, nonche’ lo stato passivo dichiarato esecutivo, e la sentenza di Tribunale non era stata censurata sul punto; la Corte del merito avrebbe dovuto porre a fondamento della decisione il materiale probatorio acquisito in primo grado, e quindi decidere alla stregua di Un fascicolo completo.
2.1.- I primi quattro motivi di ricorso, strettamente collegati, vanno esaminati congiuntamente e sono da ritenersi infondati.
E’ chiara la questione di diritto posta dal Fallimento; secondo la parte, la rinuncia dei creditori, volta che sia stato gia’ ammesso il credito al passivo, comporta la rinuncia al diritto a concorrere, gia’ riconosciuto dal giudice, non l’estinzione del procedimento prima della pronuncia di merito, ma la rinuncia al provvedimento favorevole ottenuto, rimanendo cosi’ preclusa la riproposizione tardiva della domanda relativa allo stesso credito, quale effetto processuale della definitivita’ dello stato passivo ove e’ stato annotato l’atto di rinuncia; e alla data di detto atto, il diritto dei creditori verso il Fallimento si e’ estinto ex art. 1236 c.c., di talche’ non potevano cedere ad altri quel diritto che non vantavano piu’.
A detta prospettazione, pur finemente argomentata, non puo’ prestarsi adesione.
Deve infatti evidenziarsi la natura procedimentale della rinuncia all’insinuazione al passivo, inidonea ad incidere sul diritto di credito; non si tratta infatti di rinuncia sostanziale al credito, da cui l’applicazione del principio generale della riproponibilita’ della domanda rinunciata, anche da parte del cessionario, principio enucleabile alla stregua dell’art. 310 c.p.c..
E su detto profilo, in una fattispecie che in relazione al principio assunto puo’ essere richiamata nel presente giudizio, questa Corte, andando in contrario avviso al precedente orientamento(che attribuiva alla rinuncia all’istanza di ammissione tardiva di credito la stessa portata prevista dalla L. Fall., art. 98, comma 3, da cui la riproponibilita’ dell’azione solo nei confronti del fallito tornato in bonis ma non del Fallimento: cosi’ la sentenza 9616/1998), si e’ pronunciata nel senso di ritenere che l’estinzione del procedimento di insinuazione tardiva del credito, per effetto della mancata o non tempestiva costituzione del creditore, non preclude, di per se’, la possibilita’ di far valere successivamente, anche nell’ambito della stessa procedura concorsuale, mediante riproposizione dell’istanza di insinuazione, il diritto sostanziale dedotto, in applicazione della regola, stabilita dall’art. 310 c.p.c., comma 1, secondo cui, in via di principio, l’estinzione del processo non incide sui diritti sostanziali fatti valere in giudizio e sul diritto di riproporli in altro giudizio, rispondendo tale soluzione al principio di autonomia dell’azione rispetto al processo, applicabile anche alla fase, speciale e sommaria ma di natura giurisdizionale, destinata a concludersi con decreto; ne’ puo’ essere estesa in via analogica all’insinuazione tardiva la decadenza dall’azione (in conseguenza dell'”abbandono” della domanda ai sensi della L. Fall., art. 98, comma 3, la quale si verifica solo per l’opposizione a stato passivo in considerazione della sua natura – estranea all’insinuazione tardiva – di rimedio impugnatorio soggetto al rispetto di termini perentori, senza che assumano rilievo eventuali esigenze di speditezza e celerita’, poiche’ la pendenza dell’insinuazione tardiva non impedisce la chiusura della procedura concorsuale, ne’ ha effetto in ordine agli accantonamenti previsti dall’art. 113 L. Fall. (cosi’ le pronunce 12855/2010, 21837/2005 e 19628/2004).
Vale la pena di segnalare, infine, la recente pronuncia 10454/2014, che ha affermato che in sede di accertamento del passivo fallimentare del debitore ceduto, il cessionario di un credito concorsuale e’ tenuto a dare la prova che la cessione e’ stata stipulata anteriormente al fallimento soltanto ai fini di una eventuale compensazione (L. Fall., art. 56, comma 2) ovvero ai fini del voto in un eventuale concordato fallimentare (L. Fall., art. 127, u.c.), restando, altrimenti, opponibile al curatore anche se ha luogo nel corso della procedura, e che, qualora, peraltro, il credito ceduto sia stato gia’ ammesso al passivo, il cessionario dovra’ limitarsi a seguire la procedura prevista dall’art. 115 L. Fall., mentre, ove il credito non sia stato ancora ammesso al passivo, dovra’ dare anche la prova del credito e della sua anteriorita’ al fallimento se venga in discussione la sua opponibilita’. Il richiamo a detti principi da ragione della ritenuta infondatezza dei primi quattro motivi di ricorso.
2.2.- Il quinto motivo e’ inammissibile.
La parte sostiene l’erroneita’ della sentenza impugnata per non avere acquisito il fascicolo d’ufficio, ove erano presenti documenti del fascicolo del Fallimento acquisiti d’ufficio, da cui la mancata considerazione in particolare dei provvedimenti di ammissione, del decreto di esecutivita’ e delle rinunce.
Cio’ posto, si deve rilevare la palese carenza di decisorieta’ della doglianza, atteso che gli atti di cui si lamenta la verifica da parte della Corte d’appello erano stati esaminati dal Tribunale, come la stessa parte deduce, quindi facevano parte del giudizio, e gli stessi, in ogni caso, per quanto sopra rilevato, non sono decisivi per l’annullamento della pronuncia.
3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso; le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il Fallimento ricorrente alle spese, liquidate in Euro 8500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi; oltre spese forfettarie e accessori di legge.
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