CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 8233 depositata il 22 aprile 2016
SOCIETÀ DI PERSONE – NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONI – SOCIO RECEDUTO – QUOTA – LIQUIDAZIONE – PARTECIPAZIONE AGLI UTILI ED ALLE PERDITE INERENTI ALLE “OPERAZIONI IN CORSO” – NOZIONE – RIFERIMENTO A TUTTE LE OPERAZIONI RELATIVE A RAPPORTI PREESISTENTI AL RECESSO – SOMME DOVUTE IN BASE A CONDONO FISCALE PER VIOLAZIONI ANTERIORI AL RECESSO – INCLUSIONE – RICHIESTA IN EPOCA SUCCESSIVA – ININFLUENZA – CONDIZIONI
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 20 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:
“Con sentenza in data 25 marzo 2014, la Corte d’Appello di Firenze, ha respinto l’impugnazione proposta da L. G. di C. F. & C. sas, contro la pronuncia del Tribunale di Arezzo, che – a sua volta – aveva rigettato la domanda proposta dalla stessa societa’ contro gli ex soci B.M. e C.G., in ordine all’accordo (“contratto”) di recesso dei soci ed alla regolazione delle relative spettanze, sia in considerazione dell’emergenza di passivita’ non calcolate al momento della liquidazione sia in considerazione della violazione da parte dei detti soci del patto di non concorrenza.
La Corte territoriale ha motivato la reiezione dell’appello escludendo che, pur essendo provata la violazione del patto da parte degli ex soci, vi fosse anche quella (quand’anche presuntiva) del danno da perdita patrimoniale subita dalla societa’ (la sola che avrebbe consentito di accogliere la richiesta risarcitoria), e che in ordine alle sopravvenienze non fosse pertinente il richiamo all’art. 2289 c.c. “per le motivazioni espresse dal Tribunale”.
Avverso la decisione della Corte d’Appello ha proposto ricorso per cassazione la G., con atto notificato il 10 novembre 2014, sulla base di due coppie di motivi, ciascuno articolato in due profili di doglianza a): violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., artt. 2697, 2598 e 1218 c.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in ordine alla circostanza che i soci recedenti avevano ricevuto una liquidazione proporzionale all’avviamento dell’azienda; b)violazione o falsa applicazione dell’art. 2289 c.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in ordine alla circostanza che nella determinazione del valore della quota dei recedenti era stata inclusa la voce relativa agli utili non ancora liquidati.
I signori B.M. e C.G. non hanno svolto difese.
Il ricorso, che merita una congiunta trattazione dei due profili di doglianza, appare manifestamente fondato giacche’:
a) Con riferimento alla prova del danno, derivato dalla accertata violazione del patto di non concorrenza, la sentenza l’ha escluso senza aver considerato sia le ipotizzate presunzioni, consistite nel dato della prossimita’ territoriale degli esercizi concorrenti, nei quali avevano prestato la loro attivita’ gli ex soci, sia nel fatto che il danno si riduca alla sola contrazione di fatturato, avendo questa Corte gia’ affermato (Sez. 1, Sentenza n. 13025 del 2014) che questo puo’ “manifestarsi anche solo in una riduzione del potenziale di vendita e, quindi, in una minore crescita delle vendite, senza che si abbia una corrispondente riduzione rispetto agli anni precedenti.”;
b) Con riguardo alla mancata considerazione delle sopravvenienze passive, nel calcolo della liquidazione della quota, la decisione appare in contrasto con il principio di diritto gia’ affermato da questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 960 del 2000) e secondo cui “In tema di liquidazione della quota del socio receduto da societa’ di persone (nella specie, societa’ in nome collettivo), l’art. 2289 c.c., comma 3, nel porre a favore e a carico di detto socio rispettivamente gli utili e le perdite inerenti ad “operazioni in corso” alla data del recesso, si riferisce alle sopravveniente attive e passive che trovino la loro fonte in situazioni gia’ esistenti a quella data. Esso, pertanto, trova applicazione con riguardo alle somme versate dalla societa’ in base a condono fiscale attinente a violazioni commesse precedentemente al recesso, anche se richiesto in epoca successiva sempre che non siano in discussione la sussistenza della violazione ed il carattere vantaggioso della definizione agevolata – in quanto la relativa istanza e gli ulteriori adempimenti connessi sono rivolti ad estinguere un debito gia’ sorto.”.
Infatti, a quest’ultimo proposito, non rileva il fatto che il recesso sia stato formalizzato in un atto che abbia disciplinato anche il trattamento economico di esso, atteso che – per poter escludere la disciplina legale invocata dall’odierna ricorrente (e attrice appellante) occorre, specificamente, motivare in ordine alle ragioni che hanno portato le parti ad escludere ogni rilievo alle sopravvenienze (nella specie: passive), con motivazione effettiva e logicamente immune da censure.
In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., n. 5, apparendo il ricorso manifestamente fondato.”.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale non risultano essere state mosse osservazioni critiche;
che, percio’, il ricorso, manifestamente fondato, deve essere accolto, con la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d’appello di Firenze che, in diversa composizione, si atterra’ ai principi di diritto sopra richiamati.
P.Q.M.
La Corte, Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.
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