CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 8253 del 26 aprile 2016
LAVORO – TARDIVO RINNOVO CCNL – INDENNITA’ DI VACANZA CONTRATTUALE – EROGAZIONE – NATURA ECCEZIONALE – COSTO DELLA VITA NELLE MORE DEI RINNOVI CONTRATTUALI
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 2579/2011, pubblicata il 13.5.2011, la Corte d’Appello di Napoli, rigettava l’appello proposto da C.L., dipendente del Ministero dell’Istruzione, contro la sentenza resa in primo grado dal giudice del lavoro del tribunale di Napoli che aveva respinto la sua domanda intesa ad ottenere, stante il tardivo rinnovo del contratto collettivo, l’indennità di vacanza contrattuale in relazione al periodo 1.4.2002-24.7.2003.
La Corte osservava a fondamento della propria pronuncia che l’indennità di vacanza contrattuale era definita come elemento provvisorio della retribuzione e che la volontà delle parti collettive era stata, sin dal 1999, quella di garantire una saldatura ed una sostanziale continuità giuridica nella successione degli accordi, risultando così giustificata anche la retroattività delle disposizioni contenute nella parte economica del nuovo CCNL.
Il CCNL di rinnovo per la parte relativa al periodo 2002-2003 era stato stipulato successivamente alla scadenza prefissata, ma aveva previsto un meccanismo di liquidazione degli arretrati in modo da saldare per la parte economica il contratto scaduto con quello nuovo.
Avendo il primo contratto previsto che le proprie disposizioni restano in vigore fino a quando non siano sostituite dal successivo contratto collettivo, la nuova fonte collettiva (CCNL 24.7.2003) per il quadriennio 2002/2005 ed il biennio economico 2002-2003 ha effetto dall’1.1.2002 per la parte economica, così che i miglioramenti economici sono stati riconosciuti ai dipendenti del comparto con effetto retroattivo da tale ultima data, non era perciò ipotizzabile un periodo di vacanza contrattuale.
Per la cassazione di questa sentenza, ricorre il lavoratore con un motivo.
Il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. – Con l’unico motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del CCNL comparto scuola, quadriennio normativo 1998/2001 del 3 maggio 1999, 1, punti 4 e 5 del CCNL comparto scuola, quadriennio normativo 2002/2005 e biennio economico 2002/2003 del 24.07.2003, art. 1 punto 2, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. posto che, essendo pacifico che il contratto collettivo fosse stato stipulato in ritardo rispetto alla prevista data di rinnovo, la spettanza dell’indennità di vacanza contrattuale derivava direttamente dall’applicazione del punto 5 del CCNL comparto scuola 1998/2001.
2. – Il motivo è infondato. Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 187/2016, 188/2016, 24179/2014, 14150/2014, 8803/2014), le disposizioni che regolano la materia sono il punto 2.5. dell’Accordo sul costo del lavoro del 23.7.1993 (recante il titoletto “Indennità di vacanza contrattuale”) e l’art. 1 punto 5 del CCNL 1998 2001 che richiama la prima.
3. – L’art. 1, punto 5, del CCNL del comparto scuola recita: “dopo un periodo di vacanza contrattuale pari a tre mesi dalla data di scadenza della parte economica del presente contratto, ai dipendenti del comparto sarà corrisposta la relativa indennità seconde le scadenze previste dall’Accordo sul costo del lavoro del 23.7.1993.
Per l’erogazione di detta indennità si applica la procedura del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 52 commi 1 e 2″. Nella norma dell’Accordo del 23.7.1993 si legge:”Dopo un periodo di vacanza contrattuale pari a tre mesi dalla data di scadenza del CCNL, ai lavoratori dipendenti ai quali si applica il contratto medesimo non ancora rinnovato sarà corrisposto, a partire dal mese successivo ovvero dalla data di presentazione delle piattaforme ove successiva, un elemento provvisorio delle retribuzione. L’importo di tale elemento sarà pari al 30% del tasso di inflazione programmato, applicato ai minimi retributivi vigenti, esclusa la ex indennità di contingenza. Dopo sei mesi di vacanza contrattuale detto importo sarà al 50% dell’inflazione programmata. Detta decorrenza dell’accordo di rinnovo del contratto l’indennità di vacanza contrattuale cessa di essere erogata. Tale meccanismo sarà uguale per tutti i lavoratori”.
4. – La Corte di appello ha pertanto correttamente interpretato la disciplina contrattuale che regola la fattispecie; rilevando come l’istituto di cui trattasi era stato introdotto dall’Accordo interconfederale del 23 luglio 1993, con il dichiarato scopo di incanalare la dinamica salariale nei parametri dell’inflazione programmata e di cadenzare i periodici rinnovi della fonti collettive prevedendo un periodo di vacanza contrattuale di tre mesi dalla data di scadenza del CCNL e la corresponsione di un “elemento provvisorio della retribuzione” commisurato ad una percentuale del tasso di inflazione programmata.
5. – La qualificazione dell’indennità nei termini di cui al Protocollo del 1993 consente di identificare la natura dell’istituto. Come affermato da questa Corte, la norma dell’Accordo sul costo del lavoro del 23 luglio 1993 costituisce la fonte di orientamento sul punto per i contratti di settore trattandosi di un Accordo interconfederale (Cass. n. 8803 del 15 aprile 2014, n. 9066 del 18 aprile 2014, n. 9188 e n. 9189 del 23 aprile 2014, n. 9581 del 5 maggio 2014, n. 11236 del 21 maggio 2014 e n. 14356 del 25 giugno 2014). Emerge testualmente da quest’ultima disposizione che l’indennità di parola è stata espressamente definita “elemento provvisorio della retribuzione”, la cui finalità è quella di tutelare i lavoratori nei confronti delle dinamiche inflazionistiche nelle more del rinnovo del contratto. Ma è proprio la natura provvisoria – a titolo di acconto – di questa attribuzione patrimoniale che esclude che essa si consolidi nella forma di un diritto quesito e resista alla regolamentazione che la rinnovata contrattazione collettiva faccia in un quadro più ampio di nuova disciplina del trattamento economico (cfr. Cass. n. 14356 del 2014, cit.).
6. – L’indennità di vacanza costituisce un rimedio di natura eccezionale per consentire alla parte più debole di non rimanere vittima dell’incremento del costo della vita nelle more dei rinnovi contrattuali, ma solo in via provvisoria come anticipazione dei futuri miglioramenti (in tal senso, Cass. sent. n. 8803/14). Se si tratta di un'”anticipazione”, non è possibile neppure porre una comparazione con la successiva disciplina del trattamento economico prevista dal rinnovato contratto collettivo perché questa è l’unica che si salda a quella del precedente contratto collettivo schermando la regolamentazione provvisoria dell’indennità di vacanza contrattuale (così, Cass. sent. n. 14356/14).
7. – Una corretta interpretazione dei dati testuali forniti dal richiamato accordo del 1993, che definisce l’indennità come “elemento provvisorio della retribuzione”, nonché dalla specifica previsione secondo cui la stessa cessa di essere erogata dalla decorrenza dell’accordo di rinnovo, in correlazione con la decorrenza del nuovo contratto, con effetti retroattivi per la parte economica (che comporta l’applicazione degli incrementi ivi previsti fin dalla data stabilita), conduce ad escludere la cumulabilità di detti aumenti con l’indennità di vacanza contrattuale, perché al compenso deve essere riconosciuta la funzione di un immediato anticipo sui presumibili e prossimi miglioramenti retributivi conseguibili in sede dì rinnovo (in tal senso, Cass. n. 9188/14).
8. – Deve quindi concludersi che, una volta che il lavoratore abbia percepito gli incrementi retributivi destinati, secondo il negoziato tra le stesse parti, a coprire anche l’effettivo aumento del costo della vita, non possa più riconoscersi per lo stesso periodo l’indennità di vacanza contrattuale, posto che il rinnovo del contratto, avvenuto nel caso in esame il 24 luglio 2003, ma con adeguamento retroattivo delle retribuzioni tabellari e conseguente corresponsione degli arretrati con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello di scadenza del precedente contratto (e quindi con effetto retroattivo dal 1 gennaio 2002 per il biennio economico 2002/2003) aveva già coperto, attraverso l’erogazione dei miglioramenti salariali, gli effetti delle dinamiche inflazionistiche nelle more intervenuti.
9. – Quanto alla tesi, secondo cui con l’istituzione dell’indennità di vacanza contrattuale si sarebbe introdotta una forma sanzionatoria o anche di risarcimento presunto in relazione all’ipotesi di tempi troppo lunghi nei rinnovi contrattuali, questa Corte ha osservato che trattasi di tesi che non trova alcun riscontro testuale o sistematico nella disciplina considerata (Cass. sent. nn 8803, 9066, 9188, 9189, 9581, 11236 e 14356 del 2014). È stato pure osservato che, accedendo alla tesi contraria, vi sarebbe un’attribuzione patrimoniale doppia ai lavoratori in relazione al medesimo evento (aumento del costo della vita) ed inoltre si porrebbe (necessariamente) solo a carico di una parte lungaggini negoziali che invece possono dipendere da entrambe. Il fatto che il sindacato abbia per tempo presentato la propria piattaforma non è elemento idoneo a far ricadere sulla sola controparte la responsabilità per la mancata sollecita firma del nuovo contratto, posto che la piattaforma può essere anche del tutto irragionevole e che comunque il processo negoziale è lasciato alla libera valutazione delle parti ed ai loro rapporti di forza.
10. – In conclusione, la norma del CCNL deriva, dall’Accordo del 1993, la regola della provvisorietà della erogazione e dell’effetto retroattivo dell’accordo di rinnovo, dalla cui decorrenza cessa l’erogazione dell’indennità.
Da tale regola discende che se la decorrenza dell’accordo di rinnovo coincide con il primo giorno successivo alla scadenza del contratto precedente, non vi sono soluzioni di continuità riguardanti la disciplina del trattamento economico e l’indennità già erogata resta riassorbita negli arretrati contrattuali riconosciuti. Certamente sarebbe spettata la chiesta indennità ove il successivo contratto avesse avuto una decorrenza retroattiva in modo da lasciare periodi scoperti dalla tutela contro l’incremento del costo della vita; tale situazione tuttavia non ricorre nel caso in esame.
11. – Si deve conclusivamente osservare che non sussistono le denunciate violazioni normative e contrattuali. Si deve quindi rigettare il proposto ricorso.
12. – Le spese del giudizio vanno compensate tra le parti, poiché l’indirizzo giurisprudenziale, il cui orientamento è stato qui recepito e confermato, si è formato in epoca successiva alla proposizione del ricorso per cassazione esaminato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio.
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