CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 8330 depositata il 27 aprile 2016
TRIBUTI – REDDITO D’IMPRESA – COSTI PER OPERAZIONI CON IMPRESE AVENTI SEDI IN TERRITORI BLACK LIST – DEDUCIBILITA’ – INDICAZIONE SEPARATA NELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI – ADEMPIMENTO ASSOLTO CON SUCCESSIVA DICHIARAZIONE RETTIFICATIVA – LEGITTIMITA’
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Guardia di Finanza, il 1.2.2006, iniziava una verifica fiscale nei confronti della S.N. spa, dalla quale emergeva che quest’ultima società aveva dedotto costi in operazioni con imprese aventi sedi in stati sospetti (c.d. black list); che aveva detratto IVA illegittimamente per alcuni acquisti, che altrettanto illegittimamente aveva dedotto una serie di altri costi, in quanto non inerenti o non compatibili.
A seguito di tale verifica, l’Agenzia delle Entrate notificava avviso di accertamento con cui rideterminava il reddito per l’anno 2004.
La società proponeva ricorso che la Commissione Provinciale accoglieva.
Su appello dell’Agenzia, la Commissione Regionale riformava in parte la decisione di primo grado, mantenendo però ferma la statuizione relativa alla deducibilità dei costi relativi ad operazioni con le imprese estere.
L’Agenzia propone dunque ricorso per Cassazione, su un solo punto della decisione, quello relativo alla affermata deducibilità dei costi da “black list”.
Non si è costituita la società S.W., ora S.G. in liquidazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con in primi tre motivi, l’Agenzia denuncia la violazione dell’art. 110 del D.lvo n. 917 del 1986, sia sotto l’aspetto della erronea interpretazione che sotto quello del vizio di motivazione.
Con il primo motivo, in particolare, l’Agenzia censura la decisione di appello nella parte in cui deduce la prova della deducibilità dei costi dalla prova della loro separata dichiarazione.
Fa presente la ricorrente che dalla dimostrazione di avere indicato separatamente i costi da dedurre non deriva la prova che quei costi sono comunque deducibili, in quanto altro è l’onere di indicare in dichiarazione i costi in modo separato, altro è dimostrare , ai sensi dell’art. 110 TUIR, che essi sono deducibili.
Il motivo è fondato.
La società S.W. aveva dedotto dal reddito alcuni costi relativi ad acquisti di merce fatti da società residenti in Stati inseriti nella “black list”.
In tali casi, l’art. 110 D.lvo n. 917 del 1986 prevede che i costi non sono deducibili, per la presunzione che essi non siano effettivi, presunzione che però può essere vinta dal contribuente dimostrando che: a) la società estera con cui ha operato svolge effettivamente un’attività che sia prevalentemente commerciale; b) oppure che l’operazione è mossa da un effettivo interesse economico.
L’art. 110, nella sua originaria formulazione, prevedeva altresì quale condizione per potere dedurre quei costi, oltre alla dimostrazione di uno dei suddetti presupposti, altresì che i costi venissero indicati separatamente nella dichiarazione dei redditi in modo da essere conoscibili adeguatamente.
La riforma del 2007, pur ribadendo l’onere di questa separata indicazione, ha però escluso che il suo rispetto possa costituire presupposto di deducibilità dei costi, ed ha previsto solamente una sanzione pecuniaria per il caso di omissione. La norma si applica retroattivamente anche alle dichiarazioni dei redditi precedenti la sua entrata in vigore, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte (Cass. n. 20635 del 2015; Cass. n. 6205 del 2015; Cass. n. 4030 del 2015).
Nella fattispecie, la Commissione Regionale ha ritenuto fornita la prova semplicemente per via del fatto che la società ha denunciato i costi in maniera separata (sia pure con dichiarazione successiva a quella sui redditi).
Il giudice di appello ha cioè ritenuto che assolvendo all’onere di indicare in modo autonomo e separato i costi da dedurre la società ha fornito la prova contraria alla presunzione legale di fittizietà delle spese sostenute e portate in deduzione. L’assunto costituisce però erronea interpretazione della norma.
L’art. 110 c.p.c. nella sua originaria formulazione prevedeva che il contribuente potesse superare la presunzione legale dimostrando, anche alternativamente, due circostanze, ossia: (i) che l’impresa residente all’estero e con cui ha trattato l’acquisto è operante effettivamente; (ii) che l’acquisto da quella impresa è stato determinato da un concreto interesse economico. Già nella originaria formulazione l’indicazione separata del costo deducibile non era utilizzabile per vincere la presunzione legale. Se il contribuente non provava una delle due condizioni suddette il costo rimaneva non deducibile, anche se aveva indicato separatamente la relativa voce in dichiarazione. Piuttosto, l’omissione di tale ultima condizione impediva la deducibilità comunque.
Dunque, già prima della riforma, non era sufficiente la sola indicazione separata dei costi in dichiarazione per dimostrare che tali costi erano effettivi e non fittizi come presume la legge.
Dopo la riforma del 2007, che si applica retroattivamente, l’indicazione dei costi ha perduto anche l’originaria natura di essere condizione di deducibilità (non già prova della stessa) e la sua omissione comporta semplicemente una sanzione.
Ne consegue dunque che ai fini di ritenere provata l’effettività del costo dedotto, e dunque di ritenere superata la presunzione, occorre dimostrare o che la società estera opera effettivamente come impresa prevalentemente commerciale, oppure che c’era un effettivo interesse economico ad acquistare da quest’ultima. Non basta dunque, in difetto della prova di una di tali condizioni, indicare i costi in modo separato e distinto nella dichiarazione dei redditi, non valendo tale indicazione quale prova contraria della presunzione, neanche sotto il previgente regime In cui l’omissione di tale adempimento impediva di dedurre il costo, ma il suo assolvimento non era prova della effettività di quello.
La decisione va dunque cassata, con rinvio, perché il giudice di appello valuti se è stata fornita la prova, non già della separata indicazione dei costi, ma della loro deducibilità, secondo quanto in precedenza precisato.
L’accoglimento di questo primo motivo rende superfluo l’esame del secondo e del terzo, che risultano assorbiti.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti il secondo ed il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Regionale di Latina, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di Cassazione.
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