CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 8547 del 29 aprile 2016
TRIBUTI – ACCERTAMENTO – OPERAZIONI DI VERIFICA PRESSO L’ABITAZIONE PRIVATA
RITENUTO IN FATTO
1. La Commissione Tributaria Regionale del Veneto, con sentenza n. 06/11/09, depositata il 29.01.2009 e non notificata, confermava la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto da B.R., titolare della Ditta individuale “C.B.R.” avverso l’avviso di rettifica parziale n. 800095/01 ai fini IVA per l’anno di imposta 1996.
2. La Commissione regionale, in particolare affermava che le operazioni, eseguite presso l’abitazione privata nel corso della verifica confluita nell’avviso di rettifica, erano da ritenersi afflitte da illegittimità non sanabile in considerazione della mancanza di formale autorizzazione scritta all’accesso da parte della Procura della Repubblica. Aggiungeva, quindi, che detti fatti erano stati oggetto di valutazione negativa anche con le sentenze della medesima CTR n.35/02 e 36/02, divenute definitive per mancata impugnazione e facenti stato nel giudizio, in ragione del “giudicato esterno”.
3. La Agenzia delle entrate ricorre per cassazione su cinque motivi. L’intimata non svolge difese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. Con il primo motivo la ricorrente Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, comma 1, cc in combinato disposto con gli artt.19 e 54 del DPR n. 633/1972 (art. 360, comma 1, n.3, cpc) e sostiene che la CTR avrebbe rigettato l’appello dell’Amministrazione finanziaria sull’errato ed implicito presupposto che fosse onere dell’Ufficio provare l’indebita detrazione delle fatture relative ad operazioni inesistenti, laddove invece doveva applicarsi il principio secondo il quale, una volta che l’Ufficio aveva puntualmente provveduto ad indicare gli elementi, anche indiziari, sui quali si fondava la contestazione, era onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni.
1.2. Il motivo è inammissibile perché non intercetta la ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata esclusivamente sulla preliminare affermazione di illegittimità insanabile delle operazioni di verifica e sull’esistenza di un giudicato esterno sul punto.
2.1. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.33 del DPR n. 600/1973 e degli artt. 52 e 63 del DPR n. 633/1972 (art. 360, comma 1, n.3, cpc) e la insufficienza motivazionale (art. 360, comma 1, n. 5, cpc) in merito alla statuizione con la quale la CTR aveva affermato che la mancanza di autorizzazione da parte della Procura della Repubblica rendeva illegittime le operazioni eseguite durante l’accesso domiciliare.
Sostiene la ricorrente che la prescritta autorizzazione era stata acquisita presso la Procura delle Repubblica, come documentato in atti dal processo verbale di accesso domiciliare e dalle note intercorse tra l’Amministrazione finanziaria e la Procura della Repubblica e che la eventuale mancanza della autorizzazione in questione non toccava l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implicava la invalidità degli atti impositivi adottati sulla scorta degli stessi.
2.2. Il motivo è complessivamente inammissibile.
2.3. Invero va rilevato che tutta la censura non coglie la ratio decidendi adottata dalla CTR e fondata sulla mancanza della formale autorizzazione “scritta”, e non già sulla generica mancanza di autorizzazione, e questo specifico profilo non viene censurato.
2.4.1. Inoltre, sul piano dell’error in iudicando, nella specie, va osservato che la censura è inammissibile anche per difetto di autosufficienza, in quanto i principi invocati, quanto meno sulla scorta degli elementi ricavabili dal ricorso e dalla sentenza, non sembrano attagliarsi alla fattispecie in esame e la parte non ne ha reso altrimenti comprensibile la loro pertinenza mediante la trascrizione di eventuali atti a conforto.
2.4.2. Ed invero va innanzi tutto va richiamata l’attenzione sul fatto che nel caso in esame l’accesso ha riguardato la privata abitazione del contribuente e non l’ufficio, per cui non risulta dirimente il richiamo alla sentenza n. 4071/1985 di questa Corte, che aveva escluso la necessità di preventiva autorizzazione del Procuratore della Repubblica per l’accesso presso gli uffici di una società.
2.4.3. Quindi va considerato che, sulla scorta di quanto desumibile dal motivo stesso e dalla sentenza impugnata, l’autorizzazione de quo agitur è da ricondurre alla fattispecie regolata dall’art. 52, comma 2 del DPR n.633/1972, che disciplina l’accesso disposto dagli uffici IVA in locali non destinati all’attività d’impresa.
2.4.4. In proposito l’art. 52, commi 1 e 2, del DPR n.633/1972, così recita, distinguendo tra l’accesso presso l’esercizio commerciale e quello presso altri locali: “(1) Gli uffici dell’imposta sui valore aggiunto possono disporre l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono. Tuttavia per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione è necessaria anche l’autorizzazione del procuratore della Repubblica. In ogni caso, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti e professioni dovrà essere eseguito in presenza dei titolare dello studio o di un suo delegato.(2) L’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni”, dal che si evince la autonoma regolamentazione delle due fattispecie.
2.4.5. Tali attività investigative inoltre possono essere svolte, come risulta essere avvenuto nel caso in esame, anche dalla Guardia di Finanza in collaborazione con gli uffici IVA , ai sensi dell’art. 63, comma 1, prima parte, del decreto citato, che prevede “La Guardia di Finanza coopera con gli uffici dell’I.V.A. per l’acquisizione e il reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento della imposta e per la repressione delle violazioni del presente decreto, procedendo di propria iniziativa o su richiesta degli uffici, secondo le norme e con le facoltà di cui agli artt. 51 e 52, alle operazioni ivi indicate e trasmettendo agii uffici stessi i relativi verbali e rapporti. “
2.4.6. Diversa ed autonoma è, invece, la fattispecie disciplinata dall’art.63, comma 1, seconda parte, del DPR n.633/1972, che stabilisce “Essa (la G. di F.) inoltre, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria in relazione alle norme che disciplinano il segreto, utilizza e trasmette agli uffici documenti, dati e notizie acquisiti, direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria.” che afferisce all’utilizzazione in sede amministrativa di documenti e dati acquisiti nel corso di un’indagine penale ed è evocata nel motivo con il richiamo di altra giurisprudenza della Corte (Cass. nn. 11203/2007, 2450/2007, 11203/2007), senza tuttavia fornire alcun elemento di fatto che autorizzi a ritenerla pertinente al caso di specie.
2.4.7. Invero queste plurime fattispecie, che la ricorrente assomma inestricabilmente ed inammissibilmente nel motivo per giungere a sostenere che anche “la mancanza di autorizzazione non tocca la efficacia probatoria dei dati trasmessi né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi”, sono oggetto invece di specifica e differenziata disciplina, come più volte affermato da questa Corte.
2.4.8. In particolare è stato affermato che, in materia tributaria, l’irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento per mancanza dell’autorizzazione prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1, non comporta, di per sè, l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso (Cass. 8344/2001; 14058/2006; 27149/2011) per quanto concerne l’accesso presso locali destinati all’esercizio di attività commerciali, atteso che l’atto di autorizzazione ad accedere ai locali dell’impresa, è reso – ai sensi della disposizione succitata – in esito a valutazione della necessità di incidere sull’andamento e sulla riservatezza della gestione imprenditoriale al fine di riscontrare eventuali evasioni ed infrazioni alla disciplina dell’IVA (Cass. 18155/2009; 4066/2015). Con la conseguenza che eventuali irregolarità nel rilascio della autorizzazione in parola non possono incidere sulla validità dell’accertamento tributario operato dall’Ufficio, sulla scorta degli elementi e dei dati in tal modo acquisiti dai dipendenti della stessa Amministrazione, ovvero dalla Guardia di Finanza, ai sensi dell’art. 63 del decreto cit..
2.4.9. E’ stato tuttavia precisato che sono da ritenersi esclusi da tale principio i casi, come quello in esame, in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio. Il che si verifica nelle ipotesi di accesso in locali adibiti anche, o esclusivamente ad abitazione, nelle quali è richiesta l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica ai sensi dell’art.52, comma 2, del DPR n.633/1972, la cui sussistenza e ritualità condiziona la legittima acquisizione degli elementi probatori e, di conseguenza, la legittimità dell’atto impositivo emesso sulla base degli stessi (Cass. 19689/2004; 10704/2009; 27149/2011; 4066/2015).
2.4.10. E’ stato quindi chiarito che l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta dall’art. 63, comma 1, seconda parte, del DPR n. 633/1972, per la trasmissione, agli uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che anche la sua eventuale mancanza (ipotesi nella specie comunque insussistente), se può avere riflessi disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, nè implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi; l’autorizzazione in parola è stata infatti Introdotta per realizzare una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto istruttorio, piuttosto che per filtrare ulteriormente l’acquisizione di elementi significativi a fini fiscali (Cass. nn. 28695 del 2005, 22035 del 2006, 2450 e 11203 del 2007, 27947 del 2009, 27149/2011).
2.4.11. La complessa e diversificata articolazione del quadro normativo di cui è stata denunciata la violazione e falsa applicazione, accompagnata da una evidente mancanza di specificità anche nell’individuazione del parametro normativo, conferma l’inammissibilità del motivo.
2.5. Anche la doglianza proposta sul piano motivazionale è inammissibile, in quanto – non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata; contrariamente a quanto assume la ricorrente, la CTR, nell’esercizio della sua attività valutativa, ha escluso la rilevanza dell’autorizzazione per mancanza della forma “scritta”, e non la semplice mancanza dell’autorizzazione, che – come sembra desumersi dalla sentenza stessa – sarebbe stata rilasciata via telefono.
3.1. Con il terzo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine ad un fatto decisivo della controversia (art. 360, comma 1, n. 5 cpc).
La CTR avrebbe infatti omesso di considerare che l’atto di accertamento richiamava espressamente una serie di elementi fattuali (il controllo incrociato presso i clienti, le indagini bancarie, le dichiarazioni confessorie rese dallo stesso B. nel corso dell’attività di Polizia Giudiziaria) ulteriori rispetto ai dati acquisiti mediante l’ispezione e gli accessi di cui all’art. 52 del DPR n. 633/1972, nonché la circostanza, evidenziata nell’atto di appello, che il recupero a tassazione non era stato fondato soltanto sulla documentazione extracontabile rinvenuta nei locali in questione, ma anche su questi ulteriori elementi.
3.2. Con il quarto motivo è stata denunciata la nullità della sentenza per violazione degli artt. 2, 33, 34, 35 e 61 del DLGS n. 546/1992 (art. 360, comma 1, n.4, cpc) in quanto, a dire della ricorrente, la CTR aveva errato nell’annullare l’atto impositivo omettendo, di fatto, l’esame del merito della pretesa erariale in punto di effettiva ed illegittima detrazione IVA operata dal contribuente.
3.3. Con il quinto motivo è stata denunciata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 324 cpc (art.360, comma 1, n.4, cpc) in tema di opponibilità del giudicato esterno in materia tributaria, che coinvolge solo la specifica annualità oggetto del giudizio e non si riflette sulle altre articolandosi di volta in volta in termini diversi.
3.4.1. Il terzo motivo è fondato.
3.4.2. La sentenza della CTR, che ha affermato l’efficacia del “giudicato” con riferimento all’art. 52 del DPR n. 633/1972, nonché il carattere illegittimo dell’acquisizione della documentazione extracontabile rinvenuta dalla GdF, ha del tutto omesso di valutare un punto decisivo della controversia, afferente alla ulteriore metodologia ricostruttiva utilizzata dall’Ufficio nell’accertamento impugnato, costituita dall’analisi e valutazione degli elementi prima ricordati. Non risulta dalla motivazione della sentenza impugnata se il precedente giudicato esterno, ivi richiamato per la verità in modo generico, si riferisse oltre che alla illegittima acquisizione della documentazione, anche alla invalida o errata determinazione dell’imposta evasa da parte dell’Ufficio sulla base di questi ulteriori elementi, che pure dovevano ritenersi elemento costitutivo dell’accertamento. La CTR si è infatti limitata a richiamare in modo generico le argomentazioni dei primi giudici e la decisione di altri procedimenti, definiti dalla stessa CTR, asserita mente fondati sulle medesime questioni, senza peraltro dar conto neppure sinteticamente su natura e portata delle relative statuizioni.
3.4.3. Non è dunque possibile accertare la portata dell’eventuale giudicato esterno e stabilire se detto giudicato si riferisca pure all’ulteriore elemento, da ritenersi essenziale, costituito dalle altre risultanze investigative (il controllo incrociato presso i clienti, le indagini bancarie, le dichiarazioni confessorie rese dallo stesso B. nel corso dell’attività di Polizia Giudiziaria).
3.4.5. La valutazione critica di tali risultanze, poste dall’Ufficio a fondamento del l’accerta mento, inoltre, risulta del tutto omessa nella sentenza impugnata, che non ha in alcun modo preso in considerazione e valutato tali risultanze.
3.4.6. Con riferimento a tali elementi costitutivi dell’accertamento non risulta dunque l’efficacia del giudicato esterno, ne’ si apprezza alcun esame e valutazione da parte della CTR: pertanto il motivo va accolto.
3.5. L’accoglimento di tale motivo assorbe e rende superfluo l’esame degli ulteriori motivi di ricorso.
4.1. In conclusione il ricorso va accolto sul terzo motivo, inammissibili i motivi primo e secondo ed assorbiti i motivi quarto e quinto; la sentenza impugnata va cassata e va rimessa alla CTR del Veneto in altra composizione per il riesame e la compiuta valutazione delle emergenze processuali, in relazione al motivo accolto, oltre che per la liquidazione anche delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso sul terzo motivo, inammissibili i motivi primo e secondo ed assorbiti i motivi quarto e quinto;
– cassa la sentenza impugnata e rimette la causa alla CTR del Veneto in altra composizione per il riesame e la compiuta valutazione delle emergenze processuali, in relazione al motivo accolto, oltre che per la liquidazione anche delle spese del giudizio di legittimità.
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