CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 8565 del 29 aprile 2016
PREVIDENZA (ASSICURAZIONI SOCIALI) – ASSICURAZIONE PER L’INVALIDITÀ, VECCHIAIA E SUPERSTITI – CONTRIBUTI – FIGURATIVI – LAVORATORI IN PART-TIME VERTICALE – ANZIANITA’ CONTRIBUTIVA – PERIODI NON LAVORATI – RILEVANZA – FONDAMENTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
C.S. esponeva al Tribunale di Roma di essere dipendente della compagnia aerea Alitalia s.p.a. dal 1.4.1986, con mansioni di assistente di volo, e di essere iscritto, come tutto il personale navigante aeronautico, al Fondo volo, istituto quale fondo speciale INPS ex lege n. 859 del 1965; di aver trasformato dal 1.3.1995 il proprio rapporto di lavoro da tempo pieno in part time di tipo verticale ciclico L. n. 863 del 1984, ex art. 5, secondo le modalita’ specificamente indicate in ricorso; di aver rilevato dall’esame del proprio estratto conto contributivo, “nella colonna contributi utili pensione” che per il periodo di lavoro in regime di part time, l’Inps gli riconosceva solamente le settimane lavorate e non l’intera anzianita’ pari alle 52 settimane contributive annue. Lamentava che I’Inps utilizzava un trattamento immotivatamente differenziato per i lavoratori che effettuano un part time verticale ciclico rispetto a quelli che effettuano il part time orizzontale, riconoscendo a questi ultimi l’intera anzianita’ contributiva ed ai primi la sola anzianita’ relativa ai periodi lavorati, realizzando cosi’ una evidente discriminazione tra lavoratori, contraria ai principi di cui agli artt. 3, 36 e 38 Cost., nonche’ alla direttiva comunitaria n. 97/81; manifestava di avere interesse a vedersi riconosciuta l’intera anzianita’ contributiva atteso che in mancanza ne sarebbe derivato un evidente allontanamento del momento di maturazione del diritto a pensione; chiedeva pertanto al Tribunale adito la condanna dell’Istituto a riconoscergli l’intera anzianita’ contributiva anche per gli anni di lavoro con part time verticale.
Si costituiva l’INPS resistendo al ricorso.
Il Tribunale respingeva la domanda.
Proponeva appello il lavoratore; resisteva l’INPS.
Con sentenza depositata il 29 dicembre 2009, la Corte d’appello di Roma accoglieva il gravarne dichiarando il diritto del C. al calcolo dell’intera anzianita’ contributiva su base annuale anche per i periodi di lavoro svolti in regime di part time verticale (dal 1.3.95 al 1.3.2000).
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’INPS, affidato ad unico motivo.
Resiste il C. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- L’Istituto ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61; del D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 11 e del D.L. n. 463 del 1983, art. 7, comma 1, convertito con modificazioni in L. 11 novembre 1983, n. 638, oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).
Lamenta che le modalita’ di computo dell’anzianita’ contributiva ai fini del riconoscimento del diritto a pensione, con riguardo ai periodi di lavoro a tempo parziale verticale ciclico, non possono che essere considerati se non con riguardo ai periodi in cui vi e’ stato effettivo svolgimento dell’attivita’ lavorativa, con corresponsione della retribuzione e del versamento della contribuzione previdenziale, senza possibilita’ di distribuire su tutto l’anno (anche per i periodi non lavorati) i contributi versati per i periodi lavorati, cio’ in base alla L. n. 638 del 1983, art. 7.
1.1- Il ricorso e’ infondato (cfr., in identica fattispecie, Cass. 24.11.2015 n. 23948), pur essendo la pronuncia impugnata erroneamente basata del D.Lgs. n. 61 del 2000, artt. 1, 4 e 5, sicche’ occorre correggerne la motivazione.
Deve premettersi che l’INPS, nella prima parte del ricorso, si limita a richiamare la disciplina contrattuale collettiva in materia, senza inferirne uno spedfico vizio della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., con conseguente irrilevanza delle relative asserzioni.
Deve ancora rilevarsi che l’esposizione della disciplina inerente il cd. Fondo Volo, di cui alla L. 13 luglio 1965, n. 859, parimenti risulta irrilevante per non essere stata tale normativa denunciata come violata nell’unico motivo di ricorso.
Risulta invece infondata, anche per le ragioni di seguito esposte, la doglianza dell’Istituto con cui si lamenta linapplicabilita’ al caso di specie del D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, per riguardare la fattispecie in esame fatti anteriori all’entrata in vigore del D.Lgs. suddetto.
Cio’ premesso, si osserva.
1.2 – In materia e’ intervenuta una pronuncia di questa Corte (Cass. 5.6.2012 n. 9039) secondo cui “In tema di anzianita’ contributiva utile per il conseguimento di prestazioni previdenziali da parte di lavoratori part-time, il tenore letterale del D.L. n. 338 del 1989, art. 1, comma 4, conv. nella L. n. 389 del 1989 e la sua stessa riproposizione in termini immutati nel D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 9 (basato sul criterio della riparametrazione dei contributi nel passaggio dal tempo pieno al part time), escludono, con la puntuale indicazione che l’ambito disciplinato attiene alla “retribuzione minima oraria da assumere quale base di calcolo per i contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale”, la possibile estensione, in via interpretativa, del meccanismo adeguativo ivi previsto all’ipotesi del tutto diversa e disciplinata dal D.L. n. 463 del 1983, art. 7, conv. nella L. n. 638 del 1983 (che in generale considera il numero di settimane lavorate, con retribuzione non inferiore al 30% del trattamento minimo di pensione) la cui legittimita’ era stata valutata positivamente dalla Corte Cost. con la sentenza n. 36 del 2012, non essendo configurabile un criterio di calcolo costituzionalmente obbligato – del sistema di calcolo dell’anzianita’ contributiva utile per il conseguimento del diritto alla prestazione previdenziale nel settore del lavoro a tempo parziale”.
Osserva tuttavia il Collegio che la questione del minimale contributivo (ed in generale del numero dei contributi settimanali da accreditare ai dipendenti), di cui alla sentenza n. 36/2012 della C. Cost. e di questa Corte n. 9039/12, e’ questione distinta dall’anzianita’ previdenziale tout court, con particolare riferimento ai lavoratori part time e dunque dalla relativa durata (anche ai fini previdenziali) dell’attivita’ lavorativa (che il nostro ordinamento, peraltro, in piu’ occasioni svincola dall’effettiva prestazione lavorativa, ex aliis artt. 2110 e 2111 c.c., ed anche dalla misura dei contributi, es. contribuzione figurativa, c.i.g.; periodi di astensione dal lavoro per maternita’, percepimento dell’indennita’ di disoccupazione (D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818); maggiorazione dell’anzianita’ contributiva ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 3, per gli invalidi con invalidita’ superiore al settantaquattro per cento; accredito contributivo per i lavoratori esposti all’amianto, L. 27 marzo 1992, n. 257, etc.). La precedente pronuncia di questa Corte, poi, non ha affatto esaminato la questione della compatibilita’ della normativa nazionale (L. n. 638 del 1983, art. 7) con la disciplina europea (direttiva n. 97/81) in materia.
Deve quindi rilevarsi che la CGUE e’ stata investita (ai sensi dell’art. 234 CE) dalla Corte d’appello di Roma (ord. 11 aprile 2008) della questione pregiudiziale interpretativa della direttiva europea n. 97/81, con specifico riferimento al calcolo dell’anzianita’ contributiva dei lavoratori part time (ed in particolare con orario part time verticale ciclico dei dipendenti Alitalia) nei seguenti termini: “1) Se sia conforme alla direttiva (n.97/81), e segnatamente alla clausola sub 4 (dell’accordo quadro ad essa allegato) sul principio di non discriminazione, la normativa dello Stato Italiano (L. n. 638 del 1983, predetto art. 7, comma 1) che conduce a non considerare quale anzianita’ contributiva utile per l’acquisizione della pensione, i periodi non lavorati nel part time verticale; 2) se la predetta disciplina nazionale sia conforme alla direttiva (n. 97/81) e segnatamente: alla clausola sub 1 (dell’accordo quadro ad essa allegato) – laddove e’ previsto che la normativa nazionale debba facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale-; alla clausola sub 4 ed alla clausola sub 5 (del summenzionato accordo quadro) – laddove impone agli Stati Membri di eliminare gli ostacoli di natura giuridica che limitino l’accesso al lavoro part time – essendo indubitabile che la mancata considerazione ai fini pensionistici delle settimane non lavorate costituisca una importante remora alla scelta del lavoro part time – nella forma del tipo verticale -; 3) se la clausola 4 (del summenzionato accordo quadro) sul principio di non discriminazione possa estendersi anche nell’ambito delle varie tipologie di contratto part time, atteso che nell’ipotesi di lavoro a tempo parziale orizzontale, a parita’ di un monte ore lavorato e retribuito nell’anno solare, sulla base della legislazione nazionale, vengono considerate utili tutte le settimane dell’anno solare, differentemente dal part time verticale”.
La CGUE, con seni 10/6/2010 (procedimenti riuniti C-395/08 e C- 396/08), considerato che dal testo della clausola 1, lett. a), dell’accordo quadro risulta che uno degli oggetti di quest’ultimo e’ “di assicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di migliorare la qualita’ del lavoro a tempo parziale” e che, analogamente, al suo comma 2, il preambolo dell’accordo quadro precisa che quest’ultimo “rappresenta la volonta’ delle parti sociali di definire un quadro generale per l’eliminazione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e per contribuire allo sviluppo delle possibilita’ di lavoro a tempo parziale, su basi che siano accettabili sia per i datori di lavoro, sia per i lavoratori”, obiettivo questo che viene sottolineato anche dall’undicesimo considerando della direttiva 97/81; evidenziato il riferimento operato dalla clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro, al principio del pro rata temporis (che consente una riduzione proporzionata delle spettanze pensionistiche, v., in tal senso, le sentenze Schtinheit e Becker, cause riunite C- 4/02 e C- 5/02, punti 90 e 91, nonche’ Gomez-Union Sanchez-Camacho, sentenza del 4.12.08, causa 537/07, punto 59), ha affermato, proprio con riferimento ai lavoratori a part time ciclico dei dipendenti Alitalia, che il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno (di cui alla direttiva europea n. 97/91) implica che l’anzianita’ contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo integralmente in considerazione anche i periodi non lavorati, posto che il lavoro a tempo parziale costituisce un modo particolare di esecuzione del rapporto di lavoro, caratterizzato dalla mera riduzione della durata normale del lavoro. Tale caratteristica non puo’, peraltro, essere equiparata alle ipotesi in cui l’esecuzione del contatto di lavoro, a tempo pieno o a tempo parziale, e’ sospesa a causa di un impedimento o di un’interruzione temporanea dovuta al lavoratore, all’impresa o ad una causa estranea. Infatti, i periodi non lavorati, che corrispondono alla riduzione degli orari di lavoro prevista in un contratto di lavoro a tempo parziale, discendono dalla normale esecuzione di tale contratto e non dalla sua sospensione. La CGUE ha anche chiarito che il lavoro a tempo parziale non implica un’interruzione dell’impiego (v., per analogia con l’impiego a tempo frazionato, sentenza 17 giugno 1998, causa C-243/95, Hill e Stapleton, Racc pag. I-3739, punto 32).
Ha quindi concluso che la clausola 4 dell’accordo quadro dev’essere interpretata, con riferimento alle pensioni, nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianita’ contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive.
A tal riguardo deve considerarsi che esse non possono individuarsi nella corrispondente contribuzione ridotta, propria del lavoro part time, incidendo cio’ peraltro sulla misura della pensione e non sulla durata del rapporto, valutato altresi’ che le considerazioni di politica sociale, di organizzazione dello Stato, di etica, o anche le preoccupazioni di bilancio che hanno avuto o possono aver avuto un ruolo nella determinazione di un regime da parte del legislatore nazionale, non possono considerarsi prevalenti se la pensione interessa soltanto una categoria particolare di lavoratori, se e’ direttamente proporzionale agli anni di servizio prestati e se il suo importo e’ calcolato in base all’ultima retribuzione (v. sentenza Schonheit e Becker).
La CGUE ha del resto evidenziato che risulta discriminatorio (in quanto basata sul solo motivo del lavoro a tempo parziale), che sebbene i loro contratti di lavoro abbiano una durata effettiva equivalente, il lavoratore a tempo parziale maturi l’anzianita’ contributiva utile ai fini della pensione con un ritmo piu’ lento del lavoratore a tempo pieno, con la conseguenza che una normativa come quella di cui trattasi nella causa principale (L. n. 638 del 1983, predetto art. 7, comma 1), tratta i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo pieno comparabili, e cio’ per il solo motivo che lavorano a tempo parziale, inducendo a differire nel tempo la data di acquisizione del loro diritto alla pensione in una proporzione uguale a quella della riduzione del loro orario di lavoro, rispetto a quello di lavoratori a tempo pieno comparabili. Questi effetti sono stati parimenti ritenuti dalla CGUE manifestamente in contrasto con l’obiettivo dell’accordo quadro, che consiste nell’agevolare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale.
Deve quindi concludersi che, al di la’ della misura della pensione, i lavoratori con orario di lavoro part time verticale ciclico, non possono vedersi esclusi dall’anzianita’ contributiva tout court i periodi non lavorati nell’ambito del programma negoziale lavorativo concordato, e che in tal senso, in conformita’ del principio di supremazia della normativa comunitaria rispetto a quella nazionale in contrasto con essa (ex artt. 11 e 117 Cost.), deve essere interpretato (deve infatti considerarsi che il primato del diritto europeo non incide sulla validita’ delle norme interne, ma riguarda la loro applicazione) la L. n. 638 del 1983, ridetto art. 7, comma 1, con riferimento all’anzianita’ previdenziale dei lavoratori con orario part time verticale. Ne’ occorre sollevare alcuna questione di legittimita’ costituzionale della norma in esame, prevalendo senz’altro l’applicazione del diritto europeo (C. Cost. n. 284/07).
Alle considerazioni che precedono, deve aggiungersi che col recente D.Lgs. n. 81 del 2015, e’ stato definitivamente chiarito, in modo conforme al diritto comunitario, che il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile ed il suo trattamento economico e normativo e’ riproporzionato in ragione della ridotta entita’ della prestazione lavorativa (art. 7, comma 2); in particolare, per quanto qui interessa, che (art. 11, comma 1) “Nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell’ammontare del trattamento di pensione si computa per intero l’anzianita’ relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e, in proporzione all’orario effettivamente svolto, l’anzianita’ inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale”, ed ancora che (comma 4): “Nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell’ammontare del trattamento di pensione si computa per intero l’anzianita’ relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e, in proporzione all’orario effettivamente svolto, l’anzianita’ inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale”.
Trattasi di normativa di adeguamento della disciplina nazionale al diritto comunitario in materia, che conforta la soluzione qui adottata.
La sentenza impugnata, cosi’ correttane la motivazione, deve essere pertanto confermata ed il presente ricorso rigettato. Considerato che quest’ultimo risulta proposto in epoca successiva alla citata sentenza della CGUE, le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’INPS al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in Euro100,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.