CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 8589 del 02 maggio 2016

LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO – AVVOCATO E PROCURATORE – GIUDIZI DISCIPLINARI – IMPUGNABILITA’ DAVANTI AL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

Ritenuto in fatto

L’avvocato M.M.C. ha impugnato dinanzi al C.N.F. la decisione del C.O.A. di Roma di aprire un procedimento disciplinare a suo carico. Il C.N.F., con sentenza depositata il 23 luglio 2015, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per inimpugnabilità dell’atto di apertura del procedimento disciplinare, attesa la natura amministrativa del procedimento dinanzi al COA ed il carattere endoprocedimentale del suddetto atto.

Avverso questa sentenza ricorre l’avvocato C. con due motivi.

Considerato in diritto

Col primo motivo, deducendo violazione degli artt. 111 comma 2 Cost. e 6 CEDU nonché “violazione del principio di overruling al caso concreto” il ricorrente afferma che l’impugnazione dinanzi al C.N.F. era stata proposta in un momento in cui la giurisprudenza delle sezioni unite considerava ammissibile l’impugnazione diretta ed autonoma della delibera di apertura del procedimento disciplinare ed invoca in proposito la sentenza delle sezioni unite n. 15144 del 2011 in materia di overruling.

Con il secondo motivo, deducendo violazione degli artt. 360 n. 1 c.p.c. e 37 c.p.c. e proponendo istanza ex art. 41 c.p.c., il ricorrente chiede che, considerata la natura amministrativa del procedimento disciplinare dinanzi al COA e l’esigenza di approntare una tutela rapida ed efficace rispetto all’atto di apertura del procedimento disciplinare, si dichiari la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine al ricorso cautelare contro il provvedimento di incolpazione assunto dal COA e conseguentemente si annulli la sentenza impugnata rimettendo il ricorrente in termini per adire il giudice amministrativo.

Le censure proposte, da esaminare congiuntamente perché connesse, sono in parte infondate e in parte inammissibili.

Queste sezioni unite, con arresti che il collegio condivide non ravvisando ragioni per discostarsene, hanno ripetutamente affermato che l’atto di apertura del procedimento disciplinare disposto dal Consiglio dell’ordine territoriale a carico di un avvocato non costituisce una “decisione” ai sensi dell’ordinamento professionale forense, bensì un mero atto amministrativo endoprocedimentale, il quale non incide in maniera definitiva sul relativo “status” professionale e non decide questioni pregiudiziali a garanzia del corretto svolgimento della procedura, con la conseguenza che, avendo l’atto di apertura del procedimento il solo scopo di segnarne l’avvio con l’indicazione dei capi di incolpazione, esso non è autonomamente impugnabile davanti al Consiglio nazionale forense, senza che a diversa conclusione possa giungersi alla luce dell’art. 111 Cost., poiché l’immediato intervento di un giudice terzo si traduce in un inevitabile aggravio dei tempi del procedimento amministrativo davanti al Consiglio dell’ordine territoriale, con lesione anche del principio di cui all’art. 97 Cost. (v. s.u. nn. 28335 del 2011 e 10140 del 2012).

Oltre a non essere impugnabile dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, l’atto di avvio del procedimento disciplinare a carico di un avvocato non risulta neppure soggetto ad impugnazione dinanzi al giudice amministrativo, in ragione sia della sua natura di atto amministrativo endoprocedimentale, come tale privo di rilevanza esterna, sia della necessità di salvaguardare il principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, la quale, per un verso, prevede l’impugnabilità unicamente dinanzi al predetto C.N.F. dei provvedimenti emessi dal locale Consiglio dell’Ordine, e, per l’altro, assoggetta le decisioni di quest’ultimo al ricorso dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ex art. 56 r.d.l. n. 1578 del 1933, convertito, con modificazioni, dalla I. n. 36 del 1934 (v. SU n. 16884 del 2013).

E’ infine da rilevare che non sussistono le condizioni per ritenere applicabile nella specie la giurisprudenza in tema di overruling sia perché non siamo di fronte ad un mutamento giurisprudenziale repentino o quanto meno inatteso o comunque privo di preventivi segnali anticipatori del suo manifestarsi – quali potrebbero essere un, pur larvato, dibattito dottrinale o un qualche significativo intervento giurisprudenziale sul tema (v. s.u. n. 17402 del 2012), sia perché il mutamento della precedente interpretazione della norma processuale nella specie non riguarda la ritenuta esistenza, in danno di una parte del giudizio, di una decadenza od una preclusione prima escluse (v. s.u. n. 14144 del 2011).

Il ricorso deve essere pertanto respinto. In difetto di attività difensiva nessuna decisione va assunta in ordine alle spese.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono i presupposti per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.p.r. n. 115 del 2002- della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.