CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 8634 del 02 maggio 2016
Fatto e diritto
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 5 aprile 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 26 giugno 2014, confermava la decisione del Tribunale in sede di rigetto della domanda proposta da P. F. ed intesa alla declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra essa ricorrente e Poste Italiane s.p.a. per il periodo dal 1° luglio al 30 agosto 2003 ed all’accertamento della intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti con condanna della società alla riammissione in servizio del lavoratore ed al pagamento in suo favore delle retribuzioni maturate dalla cessazione del rapporto fino alla effettiva ricostituzione dello stesso.
Il termine era stato apposto “ai sensi dell’art. 1 d.Lgs. n. 368/2001 per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell’Area Operativa ed addetto al servizio di recapito, smistamento e trasporto presso il Polo Lombardia, assente con diritto alla conservazione del posto ..ed assegnato al CMP di Brescia”.
La Corte territoriale rilevava che la clausola appositiva del termine era sufficientemente specifica e che la società aveva provato la ricorrenza delle esigenze richiamate in contratto con la documentazione prodotta agli atti (i modelli 70 P) non contestati specificamente da controparte.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la P. affidato ad un unico motivo.
Poste Italiane s.p.a. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato fondato su un solo motivo cui resiste la P. con controricorso.
Con l’unico motivo del ricorso principale viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1 del d.Lgs. n. 368/2001, per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto sufficientemente specifica la clausola appositiva del termine – che, invece, non solo non indicava il nominativo del lavoratore sostituito ma neppure le ragioni della sostituzione – e provate in concreto tali ragioni sulla scorta di una documentazione del tutto irrilevante e che era stata anche oggetto di una specifica contestazione.
Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
Deve premettersi che il D.Lgs. n. 368 del 2001, recante l’attuazione della Direttiva 1999/70 CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEP e dal CES, costituisce la nuova ed esclusiva fonte regolatrice del contratto di lavoro a tempo determinato, in sostituzione della L. n. 230 del 1962 è della successiva legislazione integrativa. Il preambolo della citata Direttiva 1999/70, premesso che con la risoluzione del 9 febbraio 1999 il Consiglio dell’Unione europea ha invitato le parti sociali a tutti i livelli “a negoziare accordi per modernizzare l’organizzazione del lavoro, comprese forme flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive e di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza”, evidenzia che l’accordo quadro in questione stabilisce principi generali e requisiti minimi con l’obiettivo di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione e di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato. Per tale ragione, accogliendo la richiesta delle parti sociali stipulanti e su proposta della Commissione europea, il Consiglio a norma dell’art. 4 dell’accordo sulla politica sociale – ora inserito nel trattato istitutivo della Comunità europea – ha emanato la direttiva in questione, imponendo agli Stati membri di conformarsi ad essa, adottando “tutte le prescrizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti” (art. 2). Il legislatore nazionale, nell’adempiere al suo obbligo comunitario, ha emanato il D.Lgs. n. 368 del 2001, il quale nel testo originano, vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1 prevede, al comma 1, che “è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” e, al comma 2, che “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 7”.
È stata altresì disposta, contestualmente all’entrata in vigore del citato D.Lgs. (24 ottobre 2001), l’abrogazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 79 del 1983, art. 8 bis, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e di tutte le disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1).
Il quadro normativo che emerge e, dunque, caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti, sistema peraltro già oggetto di ripensamento come si evince dalle disposizioni di cui alla L. n. 79 del 1983 e alla L. n. 56 del 1987, art. 23 – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte di “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.
Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal già rilevato obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di specificare in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate.
Nel caso di specie questa Corte ha più volte affermato il principio che va qui ribadito (v. in particolare, fra le altre, Cass. 26 gennaio 2010 n. 1577 e Cass. 26 gennaio 2010 n. 1576), “in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione dì legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificatone delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da soia insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservatone del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorché non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità. “
E’ stato anche precisato che tale principio non si pone in senso contrario Corte cost. n. 214/09 laddove, dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 co. 10 e 11 d.lgs. n. 368/01, afferma che l’onere di specificazione previsto dallo stesso art. 1, co. 2°, impone che, tutte le volte in cui l’assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione.
Ora, come questa S.C. ha già chiarito nelle proprie precedenti sentenze, il passo della sentenza della Corte cost. sopra citato deve essere letto nel relativo contesto argomentativo, che individua la ratio legis proprio nell’esigenza di assicurare trasparenza e veridicità della causa che si pone a monte dell’apposizione del termine e la sua immodificabilità nel corso del rapporto.
Ne discende che, nell’ampia casistica offerta dall’esperienza concreta, accanto a fattispecie elementari in cui è possibile individuare fisicamente il lavoratore o i lavoratori da sostituire, esistono fattispecie complesse in cui la stessa indicazione non è possibile e l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori deve passare necessariamente attraverso la specificazione dei motivi, mediante l’indicazione di criteri che, prescindendo dall’individuazione delle persone, siano tali da non vanificare il criterio selettivo che richiede la norma.
In questi termini, le due opzioni interpretative (quella della cit. sentenza n. 214/09 della Corte cost. e quella accolta nella summenzionata giurisprudenza di questa S.C.) risultano coerenti.
In applicazione di tale principio questa Corte ha ripetutamente accolto i ricorsi della società avverso le sentenze di merito che, disattendendo il criterio di elasticità dettato da tale principio, avevano ritenuto non specifica la causale sostitutiva indicata in contratto (v. fra le altre, Cass. 17-1-2012 n. 565, Cass. 4-6-2012 n. 8966, Cass. 20-4-2012 n. 6216, Cass. 30- 5-2012 n. 8647, Cass. 26-7-2012 n. 13239, Cass. 2-5-2011 n. 9602, Cass. 6-7-2011 n. 14868).
In base allo stesso principio, d’altro canto, Cass. 1577/2010 ha confermato la decisione della Corte territoriale che aveva ritenuto esistente il requisito della specificità con l’indicazione nell’atto scritto della causale sostitutiva, del termine iniziale e finale del rapporto, del luogo di svolgimento della prestazione a termine, dell’inquadramento e delle mansioni del personale da sostituire, e, quanto al riscontro fattuale del rispetto della ragione sostitutiva, ha ritenuto correttamente motivato, e come tale incensurabile, l’accertamento effettuato dal giudice di merito che, con riferimento all’ambito territoriale dell’ufficio interessato, aveva accertato il numero dei contratti a termine stipulati in ciascuno dei mesi di durata del contratto a termine, confrontandolo con il numero delle giornate di assenza per malattia, infortunio, ferie, etc. del personale a tempo indeterminato, pervenendo alla valutazione di congruità del numero dei contratti stipulati per esigenze sostitutive (v. Cass. 15-12-2011 n. 27052, Cass. 16-12-2012 n. 27217).
In tale quadro, caratterizzato dalla definizione di un criterio elastico che si riflette poi sulla relatività della verifica dell’esigenza sostitutiva in concreto, per la legittimità della apposizione del termine è sufficiente quindi l’accertamento della congruità del rapporto tra le assenze del personale stabile e il numero dei contratti a termine conclusi per tale esigenza, in un determinato periodo, non essendo, peraltro, affatto necessario un carattere di temporaneità ex se dell’esigenza stessa e neppure un carattere di straordinarietà ovvero un superamento di un (non meglio identificato) tasso fisiologico di assenteismo (v. fra le altre Cass. 14-2-2013 n. 6979).
Nel caso in esame la Corte di merito ha correttamente applicato i sopra enunciati principi sopra enunciati tenendo conto del fatto che il concetto di specificità deve essere collegato a situazioni aziendali non più standardizzate, ma riferite alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato giustamente considerando specifica una clausola in cui venivano indicate le mansioni (servizio dì recapito) cui era destinato il lavoratore assunto a termine, l’ufficio di applicazione (CMP Brescia) ed il fatto che andava a sostituire lavoratori aventi diritto alla conservazione del posto.
Peraltro, il motivo è inammissibile nella parte in cui lamenta una errata considerazione da parte della Corte territoriale della documentazione prodotta da Poste Italiane che finisce con il sollecitare una nuova valutazione del merito della controversia inammissibile in questa sede. Invero, è stato in più occasioni affermato da questa Corte che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003).
Quanto al ricorso incidentale condizione fondato sull’unico motivo concernente l’eccezione di scioglimento del rapporto per mutuo tacito consenso risulta inammissibile per carenza di interesse.
Per tutto quanto sopra considerato, si propone, previa riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la medesima sentenza, il rigetto del ricorso principale, dichiarato inammissibile quello incidentale, con ordinanza, ai sensi dell’art 375 cod. proc. civ., n. 5.”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.
Entrambe le parò hanno depositato memorie ex art. 380 bis c.p.c. La P. ha ribadito, sostanzialmente, le ragioni esposte in ricorso. La società ha aderito al contenuto della relazione che viene pienamente condiviso dal Collegio in quanto in linea con i precedenti di questa Corte con l’unica correzione concernente il ricorso incidentale che deve essere dichiarato assorbito e non inammissibile. Pertanto, previa riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.), il ricorso principale va rigettato, quello incidentale condizionato va dichiarato assorbito.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della ricorrente principale e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, solo da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater; del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale, e condanna la ricorrente principale alle spese del presente giudizio liquidate in curo 100,00 per esborsi, euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spes’e forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento solo da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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