CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 8708 del 3 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – RECESSI PER GIUSTA CAUSA – CONTESTAZIONI DISCIPLINARI – SOTTRAZIONE DI GASOLIO
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 542 del 17 settembre – 11 ottobre 2014 (r.g. n. 271/14) la Corte di Appello di Venezia rigettava il reclamo (ex rito Fornero) di B.F., avverso la pronuncia n. 193/14, emessa il 20-03-2004 dal locale giudice del lavoro, che aveva a sua volta respinto l’opposizione contro l’ordinanza del 13-25 luglio 2013, con la quale era stata disattesa la domanda del predetto attore, nei confronti della convenuta P. S.r.l., volta ad invalidate i recessi per giusta causa, intimati in data 27 aprile e sette giugno 2012 dalla società, previe contestazioni disciplinari, relative ad ingenti furti di gasolio, commessi in danno della medesima in data sei marzo 2012 (rabbocco abusivo di circa 10.000 litri, idem in data 13 febbraio, 12 e 4 gennaio 2012) nonché otto giugno 2011 (tra le ore 04.59 e le 05.23 – carico abusivo di 40.000 litri di gasolio).
Avverso la sentenza della Corte veneziana il B. proponeva ricorso per cassazione per carente motivazione anche per mancato esame di elementi posti dal ricorrente a sostegno delle sue argomentazioni e comunque erronea in diversi aspetti, segnatamente denunciando cinque motivi:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 329 c.p.c. (in tema di giudicato);
2) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti;
3) violazione dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/70, nullità per genericità della lettera di contestazione disciplinare);
4) violazione o falsa applicazione degli artt. 416 e 420 c.p.c. (dichiarazioni A.);
5) omesso esame circa un fatto decisivo per giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.
Ha resistito con controricorso la S.r.l. P., eccependo altresì l’inammissibilità dell’impugnazione avversaria.
Sono state depositate memorie ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo B.F. assume falsa applicazione degli artt. 324 e 329 c.p.c., poiché la Corte territoriale aveva ritenuto, erroneamente, che il reclamante non avesse specificamente impugnato il capo della sentenza de qua, laddove era stata giudicata corretta l’affermazione, ex art. 1218 c.c., secondo cui incombeva al lavoratore, debitore di provare che l’omissione contestatagli era riconducibile a causa legittima o non imputabile, di modo che l’affermazione della responsabilità colposa del lavoratore e l’assenza di prova liberatoria, giusta la pronuncia impugnata, dovevano ritenersi definitivamente accertate.
Orbene, la sentenza qui impugnata in effetti si limitava ad osservare che l’argomentazione del giudice dell’opposizione non aveva formato oggetto di idonea impugnazione.
A tal riguardo, però, va comunque rilevato che il ricorrente ha omesso di indicare i motivi del proprio reclamo, sicché in difetto di tale allegazione, il ricorso de quo pecca di autosufficienza, con conseguente sua inammissibilità.
Peraltro, sul punto la pronuncia della Corte veneta riteneva espressamente che pur a voler ritenere che il passaggio della sentenza ivi gravata, relativo alla responsabilità del lavoratore per inadempimento colposo non costituisse capo autonomo della decisione reclamata, essendo stato prospettato soltanto incidenter tantum, l’impugnazione risultava infondata, di modo che andava respinta. Infatti, era stato già evidenziato in sede di opposizione, correttamente, come non fosse parte datoriale a dover indicare le modalità dell’inadempimento. In particolare, alle lettere a), b), c) e d) della missiva in data 11 aprile 2012 erano stati contestati al lavoratore reclamante una serie di comportamenti tutti riferiti all’omissione degli obblighi di controllo delle operazioni di carico – scarico del carburante, formanti oggetto delle mansioni assegnate e della figura professionale di riferimento, oltre ad alcune specifiche violazioni di prescrizioni e procedure aziendali inerenti all’ingresso delle autobotti, al controllo documentale anteriore al carico, alle operazioni carico ed alla segnalazione di eventuali anomalie.
Ed in questo contesto, non era condivisibile fa doglianza del reclamante, secondo cui in sede di contestazione disciplinare parte datoriale avrebbe dovuto specificamente indicare tutte le varie situazioni in cui l’incolpato si sarebbe trovato in occasione degli periodi di furto, allo scopo citato anche precedenti giurisprudenziali di legittimità. Pertanto, non costituiva onere del datore di lavoro l’indicazione della condotta positiva, alternativa al comportamento di controllo, tenuta dal lavoratore, essendo sufficiente la contestazione dell’omissione … Dunque, con la sentenza di cui viene chiesta la cassazione, il giudice del reclamo non si è limitato ad ipotizzare in proposito l’assunto giudicato preclusivo, ma è sceso direttamente nell’esame di merito della questione, confermando con ampia argomentazione la decisione ivi impugnata, nel senso che la contestazione disciplinare era stata sufficientemente precisa in ordine alla condotta omissiva e/o negligente serbata dal lavoratore incolpato in occasione degli acclarati notevoli furti di carburanti, sicché nell’ambito del rapporto contrattuale de quo incombeva al soggetto preposto fornire idonea prova liberatoria ex art. 1218 c.c., però evidentemente mancata.
Ne deriva che primo motivo di ricorso è inammissibile, non soltanto per la rilevata carenza di autosufficienza, ma anche perché l’autonoma ed alternativa ratio decidendi non risulta essere stata in proposito ritualmente impugnata.
Parimenti, inammissibile appare il secondo motivo di ricorso, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, evidentemente in relazione a quanto previsto dall’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., circa il comportamento doloso di compagni di lavoro (sigg. D.V. e B.), trattandosi di raggiri ad opera di colleghi, sui quali al ricorrente non incombeva alcun onere di controllo, data la parità di mansioni, sicché tali comportamenti delittuosi, ignorati dalla Corte di Appello, integravano gli estremi della forza esterna imprevista ed imprevedibile, tale da neutralizzare e soverchiare la diligenza, donde l’esenzione da responsabilità di esso B. Nella specie, tuttavia, non solo il ricorrente finisce per pretendere una rivisitazione del fatto, siccome nel suo complesso accertato dal giudice di merito, come tale insindacabile nel giudizio di legittimità, ma formula una censura, evidentemente ai sensi del citato art. 360 n. 5, ormai non più consentita dalla conformità delle precedenti decisioni di merito.
Invero, non risulta l’indicazione specifica del fatto oggetto di discussione tra le parti, ma genericamente criticata, quanto alla deduzione del vizio motivazionale, l’attività valutativa del giudice del reclamo. Anche prima della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, era costante l’affermazione che tale norma non conferisse alla Corte di legittimità il potete di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento.
Nel caso in esame, poi, la sentenza qui impugnata risale al 17 settembre – 11 ottobre 2014, in epoca quindi alquanto posteriore al 12 settembre 2012. Trova, dunque, applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 2, n. 5, come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n, 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le patti”. A norma dell’art. 54, comma 3, del medesimo decreto, tale disposizione si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012).
Con la sentenza del 7 aprile 2014 n, 8053, le Sezioni Unite hanno chiarito, con riguardo ai limiti della denuncia di omesso esame di una quaestio facti, che il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n, 5, consente tale denuncia nei limiti dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
In proposito, è stato, altresì, affermato che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extra testuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (sent. 8053/14 cit.). Ad ogni modo, l’inammissibilità del motivo discende dalla disposizione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5.
Nulla, invero, è detto nella normativa di riferimento per il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado introdotto dal reclamo e quindi vi è necessità di integrazione della disciplina pur speciale dettata dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 58 e 61. In ragione della ritenuta possibilità di integrare la disciplina del reclamo con quella dell’appello nel rito del lavoro, trovano conseguentemente applicazione, nel giudizio di cassazione, anche l’art. 348 ter, comma 3, c.p.c., secondo cui quando è pronunciata l’inammissibilità, contro il provvedimento di primo grado può essere proposto ricorso per cassazione nei limiti dei motivi specifici esposti con l’atto di appello, nonché il medesimo art. 348 ter c.p.c., successivo comma 4, in base al quale allorquando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al terzo comma può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, nn. 1, 2, 3 e 4, (quindi con esclusione del vizio di motivazione di cui al n. 5). Opera poi – per quel che qui interessa – anche la modifica che riguarda il vizio di motivazione pei la pronuncia c.d. “doppia conforme”. L’art. 348 ter, comma 5, prescrive, infatti, che la disposizione di cui al comma 4 – ossia l’esclusione del n. 5, dal catalogo dei vizi deducibili di cui all’art. 360, comma 1, – si applica, fuori dei casi di cui all’art. 348 bis, comma 2, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado. Ossia il vizio di motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme, come è stato nella specie (Cass. lav. n. 23021 del 29/10/2014, secondo cui dunque la disciplina speciale prevista dall’art. 1, comma 58, della legge 28 giugno 2012, n. 92, concernente il reclamo avverso la sentenza che decide sulla domanda di impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, va integrata con quella dell’appello nel rito del lavoro. Ne consegue l’applicabilità, nel giudizio di cassazione, oltre che dei commi terzo e quarto dell’art. 348 ter cod. proc. civ., anche del comma quinto, il quale prevede che la disposizione di cui al precedente comma quarto – ossia l’esclusione del vizio di motivazione dal catalogo di quelli deducibili ex art. 360 c.p.c. – si applica, fuori dei casi di cui all’art. 348 bis, secondo comma, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado, cosiddetta “doppia conforme”. In senso analogo v. anche Cass. lav. n. 22142 del 29/10/2015.
Cfr., altresì, Cass. II civ. n. 5528 del 10/03/2014, secondo cui nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loto diverse).
Pertanto, posto che nell’ambito delle impugnazioni rientra indubbiamente anche il reclamo di cui al c.d. rito Fornero, per il quale non a caso giudica in sede di gravame la Corte di Appello, il secondo motivo per il preteso vizio di motivazione, denunciato dal S., avverso le conformi decisioni di merito, è inammissibile.
Parimenti, è infondato il terzo motivo del ricorso circa l’asserita violazione dell’art. 7 L. n. 300/70, con riferimento agli addebiti disciplinari di cui alle missive datate 11 aprile 2012 (indebite sottrazioni di gasolio in data sei marzo 2012, 13 febbraio 2012, 12 e 4 gennaio 2012) ed in data 19 maggio 2012 (per l’illecita sottrazione di gasolio, avvenuta nelle prime ore dell’otto giugno 2011, in ragione di circa quarantamila litri, durante in turni di lavoro dell’incolpato, ferma peraltro restando la risoluzione del rapporto di lavoro precedentemente comunicata con lettera del 27 aprile 2012).
Secondo il ricorrente, la Corte di Appello avrebbe dovuto valutare, in corretta applicazione dell’art. 7 St. lav., se nella lettera di contestazione fosse stata individuata con assoluta certezza l’omissione di condotta esigibile che, laddove E. con corretta prestazione, avrebbe impedito il furto; ciò che non era avvenuto, laddove se la Corte avesse rivolto la sua attenzione non al furto lamentato, ma alle contestate arnese condotte, avrebbe sicuramente dichiarato la nullità della contestazione, concernente la contemporanea omissione di una serie di condotte che contemporanee non potevano essere; motivo per cui il B. sarebbe stato sempre manchevole poche – essendo materialmente impossibile svolgerle tutte contemporaneamente – diventava (impossibile ?) nei fatti fornire la prova liberatoria ai sensi dell’art. 1218 c.c..
Orbene, premesso che è condividibile l’accertamento già compiuto dal giudice di merito, circa la sufficiente completezza e precisione delle lettere di contestazione disciplinare, tutte relative alle illecite sottrazioni di gasolio nei giorni ivi indicati, durante i quali il B. era in servizio con i colleghi N.D.V., relativamente ai quattro episodi contestati con la prima missiva 11 aprile 2012, c con il sig. M.B. per il fatto dell’otto giugno 2011, con l’indicazione di ogni particolarità dei casi specifici (orari compresi), correttamente la Corte distrettuale osservava che a fronte dei menzionati precisi addebiti (però non idoneamente confutati in relazione alle circostanze di tempo e di luogo, né in relazione alle descritte sottrazioni) spettava al lavoratore ex art. 1218 c.c. fornire adeguata prova liberatoria.
Ad ogni modo, non può dirsi di certo violato l’art. 7, posto che di sicuro vi è stata legittima e completa contestazione disciplinare da parte datoriale, indipendentemente poi dalla fondatezza degli addebiti ivi formulati, sicché detta previsione normativa non può di certo considerarsi violata per il solo fatto che le condotte omissive ivi ascritte non fossero in concreto esigibili dal lavoratore per la loro asserita contemporaneità. Invero, cosa diversa dal formale rispetto dell’obbligo di previa contestazione disciplinare, nei limiti fissati dalla legge a carico di parte datoriale, è il merito delle relative incolpazioni, che attiene quindi alla sussistenza, o meno, della giusta causa, ovvero del giustificato motivo, posti a sostegno del successivo recesso.
D’altra parte, con le anzidette missive di contestazione la P. S.r.l. se da un lato indicava gli elementi indiziari in base ai quali ipotizzava la volontà dell’incolpato di consentire l’illecita attività posta in essere in suo danno, d’altro canto, in diversa ipotesi, prospettava che le reiterate condotte ascritte sarebbero rimaste comunque connotate da colpa gravissima, costituendo inadempimento dei fondamentali doveri di diligenza, collaborazione e corretta esecuzione della prestazione di lavoro, in base ai doveri previsti dalla legge e dal codice etico, che ove rispettati, avrebbero consentito di rilevare impedire e comunque di denunciare prontamente la sottrazione di gasolio subita, al fine di evitare la ripetizione dell’illecito ed i conseguenti ulteriori danni.
Irrilevante, poiché non decisivo, è il quarto motivo relativamente alla dedotta violazione degli artt. 416 – 420 c.p.c.in ordine alle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di A.F. nel corso delle indagini preliminari parallele al giudizio civile.
Il ricorrente sul punto lamenta l’irrituale utilizzazione di detto verbale d’interrogatorio, poiché depositato soltanto all’udienza del 5 marzo 2014.
Invero, le dichiarazioni dell’A. sono state ritenute soltanto per supportare in chiave accusatoria di dolo la condotta del S. (e di altri compagni di lavoro, come lui licenziati in occasione della vicenda in esame). Come visto, però, la decisione della Corte di merito si fonda anche su altri elementi di valutazione, segnatamente per quanto concerne la condotta colposa ascritta, conformemente peraltro a quanto parimenti in via alternativa sul punto ipotizzato nelle lettere di contestazione disciplinare.
Similmente va detto per quanto concerne il quinto e ultimo motivo del ricorso, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, laddove si assume che secondo la Corte di Appello, pur mancando la prova della connivenza, B. non avrebbe potuto non accorgersi di quanto stava accadendo posto che si trovava, durante gli episodi di furto, in sala controllo, non risultando registrati suoi interventi esterni da pare del reclamante al di fuori di detta sala. Secondo il reclamante, il fatto non valutato dalla Corte distrettuale era la disponibilità dei registri informatici, ossia della prova, nelle sole mani della P., che si era limitata ad invocare l’inesistenza di qualsivoglia registrazione di attività esterna.
Valgono anche qui le precedenti considerazioni, svolte in relazione al secondo motivo di ricorso, soprattutto per quanto concerne l’inammissibilità dello stesso, evidentemente anch’esso formulato ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., a seguito della c.d. doppia conforme, in relazione alle più recenti disposizioni di cui all’art. 348 ter, comma quarto e quinto, dello stesso codice di rito. Pertanto, il ricorso va respinto, con la condanna del soccombente alle ulteriori spese, nonché al pagamento dell’ulteriore somma a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle relative spese, che liquida, a favore della società controricorrente, in euro 100,00 per esborsi ed in euro 2800,00 per competenze professionali, oltre accessori come per legge.
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