CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 8720 del 3 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – PROVVEDIMENTO DI SOSPENSIONE DELL’ATTIVITà LAVORATIVA – CIGS – MECCANISMO DELLA ROTAZIONE
Svolgimento del processo
1. – Con sentenza depositata il 29.9.2010 la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Cassino, ha confermato la domanda proposta da C.P. nei confronti di ITCA P. s.p.a. (successivamente incorporata dalla FGA Investimenti s.p.a.) tesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità della collocazione in CIGS e la condanna della società al pagamento di una somma differenziale tra il trattamento percepito e la retribuzione spettante, ma ha circoscritto l’importo del differenziale al periodo 9.6.2002 – 9.6.2003. La Corte territoriale ha confermato i ravvisati profili di genericità dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere con particolare riguardo ai criteri di rotazione, insuscettibili di sanatoria mediante un accordo sindacale (raggiunto con verbale del 23.7.2002) a sua volta di contenuto generico, ma ha rilevato che dal 12.6.2003 la sospensione in CIGS della lavoratrice era proseguita – dopo alcuni giorni di attività lavorativa diretta alla riconversione delle mansioni (da centralinista ad addetta all’Ufficio Controllo Qualità) – per adesione della società a specifica richiesta della C., con conseguente perdita del diritto al pagamento del differenziale economico.
2. – Avverso la sentenza, la lavoratrice propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi. La società resiste con controricorso, eccependo, in via preliminare, l’inesistenza della notifica del ricorso, e proponendo, altresì, ricorso incidentale.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo di ricorso, la lavoratrice deduce violazione e falsa applicazione delle disposizioni sull’onere della prova e sull’onere di precisa contestazione dei fatti allegati, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, avendo errato, la Corte territoriale, a ritenere non contestata la concorde sospensione del rapporto di lavoro, per CIGS, dalla data del 12.6.2003. La lavoratrice aveva contestato in maniera specifica nella memoria di costituzione in appello e nel corso di entrambi i gradi del giudizio la condotta illegittima tenuta dalla società, compresi i provvedimenti di rotazione, e le allegazioni concernenti il periodo di attività lavorativa e la richiesta della lavoratrice di essere nuovamente posta in CIGS si palesa priva di elementi di specificità e, quindi, insuscettibile di produrre l’effetto di ammissione delle relative circostanze.
2. – Con il secondo motivo la lavoratrice deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo della controversia, avendo la Corte territoriale erroneamente qualificato come accordo il provvedimento della società di applicazione dei criteri di rotazione al quale la C. aveva, suo malgrado, dovuto sottostare.
3. – La società eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso principale per inesistenza della notifica del ricorso, effettuata dapprima, con esito negativo, presso l’indirizzo del procuratore domiciliatario (risultato trasferito), e solamente dopo il termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c. con esito positivo presso il nuovo indirizzo.
4 – La società propone, poi, ricorso incidentale e denuncia, con il primo ed il secondo motivo, in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 3, violazione o falsa applicazione delle norme dettate in materia di procedimento per accedere alla cassa integrazione guadagni (nella specie, art. 1, commi 7 e 8, legge n. 223 del 1991) nonché dei criteri concernenti l’interpretazione degli atti negoziali (artt. 1362 e ss c.c.).
La società rileva che la Corte d’appello, avallando le argomentazioni logico-giuridiche sviluppate dal giudice di primo grado, ha erroneamente interpretato l’accordo sindacale sottoscritto tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali in data 23.7.2002, accordo che era, invece, sufficientemente specifico ove rinviava alle “esigenze tecnico organizzative” per la scelta del personale dipendente da sottoporre al regime della rotazione e che doveva, inoltre, essere valutato anche alla luce del comportamento successivo tenuto dalle parti stipulanti, con particolare riguardo al comunicato sindacale effettuato ai lavoratori per illustrare i risultati delle trattative tenute con l’impresa.
5. – Con il terzo motivo di ricorso, la società deduce omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo della controversia, avendo la Corte territoriale trascurato la portata innovativa del D.p.r. n. 218 del 2000.
6. – E’ preliminare la valutazione dell’eccezione di inesistenza della notifica del ricorso sollevata dalla società con controricorso.
Va escluso che la notifica del ricorso per Cassazione sia tardiva: debbono, invero, applicarsi alla specie i principi in tema di validità dell’immediata ripresa del procedimento notificatorio, ai fini del rispetto del termine perentorio di proposizione di un’impugnazione, già elaborati da questa Corte, da leggersi alla stregua della recente presa di posizione delle Sezioni Unite (sentenza 4 luglio 2014, n. 15295).
6.1. Questa Corte ha già da tempo affermato il principio per il quale, in tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (Cass. Sez. Un., 24 luglio 2009, n. 17352; principio ribadito, tra le altre, successivamente da: Cass. 13 ottobre 2010, n. 21154; Cass. 26 marzo 2012, n. 4842; Cass. 19 ottobre 2012, n. 18074; Cass. 11 settembre 2013, n. 20830; Cass., ord. 6 giugno 2014, n. 12844; Cass., ord. 30 settembre 2014, n. 20658).
Ora (in tali espressi termini, v. Cass. 2 aprile 2014, n. 7707):
– tale orientamento è in linea con le esigenze di effettività della tutela del diritto di azione e, del resto, corrisponde ad una linea evolutiva dell’ordinamento, resa manifesta dalla generalizzazione del principio della rimessione in termini, di cui all’art. 153 cpv., cod. proc. civ. (come aggiunto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 19), proprio allorquando la violazione del termine perentorio sia dipesa da causa non imputabile;
– beninteso, la valutazione di quest’ultima dovrà essere particolarmente rigorosa, per non snaturare il regime della perentorietà e non comprimere oltremodo il diritto delle controparti al rispetto delle regole processuali assistite dalla grave sanzione della decadenza;
– a tale scopo, va poi ritenuto indispensabile che la non imputabilità al mittente- notificante del mancato perfezionamento del procedimento notificatorio, seguito alla prima spedizione per la notifica, sia provata con le chiare risultanze in tal senso della relata, o dell’avviso di ricevimento o di un suo duplicato (l’uno e l’altro non ammettendo equipollenti: Cass. 6 dicembre 1975, n. 4065; Cass. 5 ottobre 1978, n. 4441; nè rilevando un’attestazione dell’ufficio postale, siccome atto successivo e non riproduttivo di quello non prodotto – Cass. 6 marzo 1995, n. 2572 – ed occorrendo, ove non risulti alcunché dalla relata stessa, un duplicato conforme al suo originale: Cass. 22 febbraio 2000, n. 1996).
6.2. Come rilevato da questa Corte (Cass. 19 dicembre 2014, n. 24641), in questo contesto, la tutela dell’affidamento incolpevole nella stessa ultrattività del mandato ad litem del procuratore di controparte ai fini del dispiegamento dell’Impugnazione, affermata apertis verbis dalla richiamata Cass. Sez. Un. 15295/14, deve potersi estendere, siccome riferita ad un elemento di importanza accessoria o strumentale e comunque obiettivamente minore rispetto alla stessa individuazione della “giusta parte” processuale, anche alla persistente fruibilità processuale dell’elezione di domicilio precedentemente operata, il cui mutamento non sia stato legalmente reso conoscibile all’interno del medesimo processo alla controparte ed ove manchi – in virtù di generalissimi principi sulla limitazione della tutela dell’affidamento incolpevole in ogni ambito, sostanziale o processuale – una qualsiasi negligenza del notificante; tutto questo presuppone pur sempre che la notifica abbia avuto buon fine, poiché, altrimenti, essa non sarebbe esistente ad alcun effetto.
Pertanto, questa Corte ha già affermato il seguente principio di diritto: ove la notifica del ricorso per Cassazione sia avvenuta al domicilio precedentemente eletto dal difensore della controparte e non consti alcuna formale comunicazione del suo mutamento o alcuna altra negligenza del notificante, va tutelato l’affidamento dell’impugnante e ritenuto rispettato il termine di proposizione dell’impugnazione, purché, avuta, nel corso del medesimo procedimento notificatorio, formale conoscenza del trasferimento dello studio del domiciliatario, quel procedimento sia immediatamente, o comunque entro un termine ragionevole, ripreso a diretto impulso del notificante e sia poi (beninteso) andato a buon fine.
6.3. Ritiene il Collegio che tali presupposti si siano realizzati nel caso di specie, in cui la notizia del trasferimento dal domicilio risultante dall’intestazione della gravata sentenza in Roma alla via S. (..), risulta dalla prima relata del procedimento notificatorio avviato il 28.9.2011, mentre la fruttuosa notificazione del ricorso per Cassazione si è perfezionata a seguito della consegna al destinatario il 18.10.2011. La notificazione si è, dunque, perfezionata in un lasso temporale – di poche settimane – che il Collegio ritiene tutt’altro che irragionevole, perché obiettivamente compatibile con l’acquisizione della notizia del primo esito infausto della prima e soprattutto con l’esigibile diligenza nell’adozione di quelle condotte indispensabili al riavvio del procedimento, tramite la ricerca del nuovo indirizzo ed il tempestivo rinnovo della notifica.
Pertanto, il ricorso è ammissibile.
7. – I due motivi del ricorso principale, che possono essere trattati congiuntamente per la loro stretta connessione, non sono fondati.
La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che nel processo del lavoro, le parti concorrono a delineare la materia controversa, di modo che la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto rende inutile provare il fatto stesso, in quanto lo rende incontroverso.
La mancata contestazione da parte del convenuto può avere le dette conseguenze ove i dati fattuali, interessanti sotto diversi profili la domanda attrice, siano tutti esplicitati in modo esaustivo in ricorso (o perché fondativi del diritto fatto valere in giudizio, o perché rivolti a introdurre nel giudizio stesso circostanze di mera rilevanza istruttoria). Va, invero, rammentata la necessaria circolarità, per quanto attiene al rito del lavoro, tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova; circolarità attestata dal combinato disposto dell’art. 414 c.p.c., nn. 4 e 5 e dall’art. 416 c.p.c., comma 3 (Cass. SS.UU.23 gennaio 2002, n. 761; 20 aprile 2005, n. 8202; 17 giugno 2014 n. 11353). Il menzionato principio di non contestazione (recepito anche nell’art. 115 c.p.c. a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009) impone alle parti di collaborare fin dalle prime battute processuali a circoscrivere la materia controversa evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione e presuppone che la parte abbia l’onere di allegare e provare i fatti in modo dettagliato e specifico così che l’altra parte abbia il dovere di prendere posizione verso tali puntuali allegazioni.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di questi principi e, con motivazione esente da vizi logico-giuridici, ha rilevato che la società aveva dedotto, nella memoria di costituzione in primo grado, che la lavoratrice “dopo soli quattro giorni di affiancamelo ad altro dipendente addetto ai controllo qualità, ha chiesto alla società ITCA di essere nuovamente posta in CIGS a causa delle difficoltà incontrate nell’apprendimento delle nuove mansioni” ha, poi, sottolineato che la C. non aveva mai contestato tali fatti. Ha, conseguentemente, ritenuto che “la sospensione in CIGS, nuovamente disposta dalla società nei confronti della C., sia frutto dell’adesione della ITCA s.p.a. alla volontà manifestata dalla C. e non si possa pertanto addebitare alla società di aver adottato un provvedimento illegittimo”, prescindendo dai criteri di rotazione indicati nell’accordo 23.7.2002, ritenuti generici e non rispondenti alle prescrizioni di cui alla L. n. 223 del 1991.
Invero, la società, in ottemperanza al canone di specificità dettato dall’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c. ha indicato i passi della memoria di costituzione in primo grado ove veniva allegata la circostanza relativa alla ripresa del rapporto di lavoro tra le parti, in data 9.6.2003, e la richiesta proveniente, in data 12.6.2003, dalla lavoratrice dì essere nuovamente posta in CIGS per difficoltà nell’apprendimento del percorso formativo intrapreso (pagg. 8-10 del controricorso); di contro, la C. nulla ha riferito circa eventuale tempestiva replica proposta durante il giudizio di primo grado (a seguito della lettura della memoria di costituzione della società parte convenuta), limitandosi a trascrivere un passaggio della memoria di costituzione in grado di appello ove viene lamentata la illegittimità dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in CIGS e da porre in rotazione, senza alcun riferimento allo specifico evento della ripresa dell’attività lavorativa e delle difficoltà concernenti le nuove mansioni.
Ritenuto pacifica tale circostanza di fatto, in quanto non contestata, la Corte territoriale ha concluso per la ripresa – concordata tra le parti – della CIGS, tale da interrompere il nesso di causalità con il provvedimento e l’accordo sindacale di individuazione concernente ì criteri di rotazione dei lavoratori.
7.1 – La censura del ricorrente di insufficienza e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata è inammissibile, in quanto, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 primo comma, n. 5, c.p.c., nella parte in cui il giudice del merito ha accertato l’intervenuto accordo sulla CIGS, si invoca una diversa lettura delle risultanze procedi menta li così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale. La valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva.
Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (cfr. S. U., Sentenza n. 26242 del 2014).
Per le considerazioni esposte, il ricorso principale deve, dunque, essere respinto.
8. – Passando quindi all’esame del ricorso incidentale, si prestano ad essere trattati congiuntamente, in quanto involgenti questioni intrinsecamente connesse, i tre motivi, tutti relativi alla pretesa specificità dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione guadagni e da sottoporre a rotazione.
Come già scrutinato da questa Corte (vedi Cass. 14.5.2012, n. 7459), le censure risultano non solo inammissibili ma, anche, sostanzialmente inconsistenti.
La Corte romana muove dal presupposto secondo cui la genericità dell’informazione alle organizzazioni sindacali del 18 luglio 2002 (con cui è stata rappresentata “la necessità di dover procedere ad un piano di ristrutturazione, riorganizzazione al fine di realizzare processi di razionalizzazione e rinnovo tecnologico degli impianti”) non sia stata sanata dalla stipulazione dell’accordo sindacale del 23 luglio 2002 in quanto carente, anche esso, di contenuto specifico (quanto ai criteri di scelta del personale da sospendere e all’adozione di meccanismi di rotazione nella sospensione). In riferimento al contenuto dell’accordo, la Corte territoriale sottolinea che la suddetta specificità – esclusa anche dal giudice di primo grado – non sarebbe desumibile dal fatto che la clausola dell’accordo sindacale sulla scelta del personale rinvia alle “esigenze tecniche organizzative riferite sia all’andamento della ristrutturazione e riorganizzazione sia in funzione delle richieste di volumi produttivi attuali e necessari al mercato di riferimento ed in base alla nuova organizzazione del lavoro”: né, in particolare, con riguardo alla rotazione, sarebbe sufficientemente specifica la precisa individuazione delle posizioni lavorative sulle quali la scelta sarebbe poi effettivamente caduta (produttive e/o di struttura, con cadenza rispettivamente differenziata), rimettendo, poi, alla mera discrezionalità del datore di lavoro l’individuazione delle posizioni ritenute “fungibili”.
Tale assunto si basa su una condivisibile ricostruzione della portata e della ratio della normativa di riferimento nonché della relativa giurisprudenza di questa Corte, anche con riguardo alla fattispecie de qua {Vedi la richiamata Cass. n. 7459/2012).
In particolare la Corte territoriale considera che l’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte in materia ha tuttora il suo fulcro nel principio, originariamente affermato da Cass. SU 11 maggio 2000, n. 302, secondo cui in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, in base al combinato disposto della legge 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, e della L 20 maggio 1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5.
Il suddetto principio si è, infatti, del tutto consolidato del tempo, trovando continue e molteplici conferme nella giurisprudenza di legittimità, anche recente (vedi, per tutte: Cass. 23 aprile 2004, n. 7720; Cass. 4 maggio 2009, n. 10236; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393; Cass. 21 settembre 2011,n. 19235, Cass. 1 giugno 2015, n. 11322).
Come questa Corte ha ribadito, In applicazione del suddetto principio, è stato precisato:
a) per l’attuazione della finalità perseguita dal legislatore, la specificità dei criteri di scelta, che si possono definire generali in quanto rivolti ad una collettività di lavoratori, consiste nella idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri (Cass. n. 7720/2004; in tal senso, v. altresì Cass. n. 12719 e n. 11660 del 2006);
b) il provvedimento di sospensione dell’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro (sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione, sia in caso contrario) ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, ovvero di concordare con le stesse, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, ed ai quali criteri la scelta dei lavoratori deve poi effettivamente corrispondere (Cass. 28 novembre 2008, n. 28464);
c) ai fini della legittimità della sospensione della retribuzione per i lavoratori collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria, l’azienda è tenuta a comunicare la individuazione dei lavoratori da sospendere e i motivi per i quali non vengono adottati i meccanismi di rotazione; la sussistenza di vizi procedimentali e la conseguente inefficacia dei provvedimenti aziendali può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 19 agosto 2003, n. 12137; Cass. 18 maggio 2006, n. 11660);
d) in tema di procedimento per la concessione della c.i.g.s., la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale assolutamente generica in ordine ai criteri in base ai quali pervenire all’individuazione dei dipendenti interessati alla sospensione, tale da rendere impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, (Cass. n. 13240 e n. 15393 del 2009; conf. Cass. n. 19618 del 2011, n. 7459 del 2012);
e) tale ultima violazione non può ritenersi sanata dall’effettività del confronto con le organizzazioni sindacali, trovandosi queste ultime a dover interloquire sul tema senza essere a conoscenza del contenuto specifico dei dati da trattare (Cass. n. 13240 e n. 15393 del 2009).
Rispetto alla suindicata giurisprudenza non si pongono in contraddizione – come chiarito da Cass. 28 novembre 2008, n. 28464 cit. – le sentenze nelle quali è stato precisato che gli accordi sindacali possono porre rimedio alla mancata ottemperanza degli oneri di comunicazioni previsti all’inizio della procedura di messa in cassa integrazione.
In tali sentenze, infatti, l’indicata affermazione è sempre stata effettuata sull’esplicito presupposto secondo cui – diversamente da quanto si è verificato nella fattispecie in esame – detti accordi, per il loro contenuto, facciano ritenere raggiunti i fini sottesi alle Iniziali comunicazioni sia per quanto attiene la specificazione dei criteri di scelta da adottare sia per le modalità della loro concreta applicazione (vedi, in tal senso: Cass. 2 agosto 2004 n. 14721; Cass. 5 maggio 2004 n. 8353; Cass. 21 agosto 2003, n. 12307; Cass. 29 maggio 2006, n. 12719; Cass. 28 ottobre 2008, n. 25892; Cass. 21 dicembre 2010, n. 25851).
Come è stato altresì sottolineato, ciò risponde alla medesima logica in base alla quale, mutatis mutandis, è stato affermato che, nella procedura di mobilità di cui alla legge n. 223 del 1991, art. 4, qualora sia stato raggiunto l’accordo sindacale, i vizi della comunicazione di avvio della procedura non sono rilevanti ai fini della inefficacia del licenziamenti intimati all’esito della procedura medesima, salvo che sia dimostrata l’idoneità dei vizi della comunicazione di avvio a fuorviare o eludere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti alle organizzazioni sindacali (vedi, per tutte: Cass. 24 ottobre 2008, n. 25758).
La suddetta evoluzione giurisprudenziale ha la sua matrice comune nel generale principio secondo cui con la L. 23 luglio 1991, n. 223 sono stati previsti puntuali, complete e cadenzate procedimentalizzazioni dei provvedimenti datoriali di licenziamento collettivo, messa in mobilità e cassa integrazione – situazioni che, nonostante la loro diversità, sono poste dal legislatore sullo stesso piano, da questo punto di vista – introducendosi un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatane di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. Pertanto, i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi della riduzione del personale, ma la correttezza procedurale delle diverse operazioni (arg. ex Cass. 3 marzo 2009, n. 5089; Cass. 28 ottobre 2009, n. 22825; Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541).
È stato anche precisato che la suddetta impostazione non risponde ad un “vuoto formalismo”, ma al rispetto della volontà del legislatore che ha posto a base dell’assetto normativo della legge n. 223 del 1991 (anche dopo l’emanazione della normativa regolamentare di cui al D.P.R. 10 giugno 2000, a 218, vedi: Cass. n. 11322/2015, Cass. n. 26587/2011; Cass. n. 20391/2011; Cass. n. 13240/2009) la trasparenza dell’esercizio del potere privato del datore di lavoro di assumere “decisioni volte a incidere pesantemente sulla posizione” dei lavoratori (vedi, per tutte: Cass. n. 2555/2006, n. 2555 e Cass. n. 6841/2010), richiedendo l’effettuazione di precise scansioni procedimentali, dirette a tutelare sia l’attività sindacale sia i diritti dei lavoratori (Cass. S.U. n. 302/2000; Cass. S.U. n. 461/2000; Cass. n. 8353/2004; Cass. n. 10236/2009).
Pertanto, come questa Corte ha rilevato:
a) il criterio di scelta dei dipendenti da porre in cassa integrazione ed in mobilità, determinato nel rispetto delle procedure previste dalla legge 23 luglio 1991, n. 223, artt. 4 e 5 non può essere successivamente disapplicato o modificato, travalicando gli ambiti originariamente previsti, non essendo consentito che in tale spazio temporale l’individuazione dei singoli destinatari dei provvedimenti datoriali venga lasciata all’iniziativa ed al mero potere discrezionale dell’imprenditore, in quanto ciò pregiudicherebbe l’interesse dei lavoratori ad una gestione trasparente ed affidabile della mobilità e della riduzione del personale (Cass. n. 6841/2010);
b) infatti, la cassa integrazione guadagni straordinaria viene autorizzata dal Ministero del Lavoro a seguito dell’approvazione di un programma ed a seguito della valutazione delle ragioni dell’impresa importanti l’esclusione di meccanismi di rotazione, al fine di rendere l’attuazione del suddetto programma funzionale all’efficienza produttiva dell’impresa stessa, sicché nel corso della sua durata non è consentito – pena l’invalidità dell’intera procedura di messa in cassa integrazione con le consequenziali ricadute in termini risarcitori – determinare, neppure con la copertura negoziale tramite sopravvenuti accordi collettivi sul punto, un mutamento dei criteri di scelta del personale da sospendere, con l’abbandono dei criteri inizialmente previsti nel programma e la contestuale adozione di altri diversi e privi di razionalità e congruità rispetto alla causa integrabile, potendosi operare un mutamento delle regole selettive solo a seguito di un decreto di proroga, volto ad accertare la compatibilità di tale cambiamento con la regolare esecuzione del programma stesso, ovvero a seguito di una distinta domanda di integrazione salariale e di un successivo decreto autorizzativo sulla base di un nuovo e distinto programma (Cass. n. 13377/2008; Cass. n. 25140/2010).
9. – Ebbene, la valutazione effettuata dal Giudice del merito è assistita da una motivazione congrua e corretta dal punto di vista logico-giuridico. Si tratta, infatti, di motivazione che, sul punto interessato, risulta fondata su presupposti normativi (con riguardo all’interpretazione delle disposizioni legislative di riferimento) e giurisprudenziali corretti.
Ciò tanto più ove si consideri che nell’interpretazione dei contratti – ivi inclusi i contratti collettivi di diritto comune e quindi gli accordi intervenuti tra imprenditore e sindacati nel corso della procedura di consultazione ai fini dell’eventuale intervento della cassa integrazione guadagni straordinaria – i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia in forza del quale i canoni strettamente interpretativi – tra i quali risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole – prevalgono su quelli interpretativi- integrativi (Cass. 25 ottobre 2005, n. 20660; Cass. 8 novembre 2007, n. 23273; Cass. 16 gennaio 1996, n. 318; Cass. 5 marzo 1998, n. 2430).
Nella specie anche tale principio risulta essere stato rispettato in quanto la Corte d’appello ha basato l’affermazione della genericità del contenuto della clausola dell’accordo sindacale riguardante la rotazione sul dato letterale, avendo riportato ampi stralci del testo integrale dell’accordo.
Come già statuito da questa Corte, proprio con riguardo allo specifico intervento di integrazione salariale richiesto dalla società ricorrente (Cass. n. 7459/2012), va, dunque, ritenuta illegittima la sospensione operata dal datore di lavoro dei lavoratori stessi. Come correttamente argomentato dalla Corte territoriale, devono considerarsi generici – e, quindi, lesivi dell’obbligo di comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7 – i criteri di scelta dei dipendenti interessati alla sospensione derivante dalla procedura della c.i.g.s. determinati, come nella specie, facendo esclusivo riferimento alle “esigenze tecnico-organizzative” (riferite, nello specifico, a un non meglio precisato “andamento della ristrutturazione e riorganizzazione” nonché ad altrettanto vaghe “richieste dei volumi produttivi attuali e necessari al mercato di riferimento”), senza ulteriori indicazioni precise delle posizioni lavorative sulle quali la scelta verrà poi concretamente operata in base alla formazione di una graduatoria rigida alla quale il datore di lavoro deve fare esclusivo riferimento, senza alcun margine di discrezionalità, onde consentire anche al singolo lavoratore di operare la prescritta valutazione della coerenza tra il criterio indicato e la selezione effettuata dei lavoratori da sospendere.
La valenza decisiva dell’accordo sindacale in rapporto alla portata innovativa del D.p.r. n. 218 del 2000 risulta, infine, motivo sfornito della sufficiente specificità e chiarezza richiesta dal combinato disposto degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.
10. – Il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno pertanto respinti e le spese di lite, vista la reciproca soccombenza, vanno compensate.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e compensa tra le parti le spese di lite.
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