CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 8812 del 4 maggio 2016
TRIBUTI – ACCERTAMENTO – RETTIFICA SULLA BASE DEI PARAMETRI – PROVA CONTRARIA – REDDITO CONGRUO E COERENTE SULLA BASE DELLO STUDIO DI SETTORE APPROVATO PER ANNUALITA’ SUCCESSIVE A QUELLA ACCERTATA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il 2.12.2003 l’ufficio di (…) dell’Agenzia delle Entrate notificava all’avv.to (…) un avviso di accertamento con cui procedeva a rideterminare i redditi di lavoro autonomo dal medesimo dichiarati per l’anno 1998 in applicazione dei parametri introdotti dall’art. 3 commi 181 e segg. L. 545/95.
Avverso la sentenza di primo grado – che aveva accolto il ricorso del contribuente in considerazione della natura presuntiva dell’accertamento paramterico e della prova contraria offerta dal medesimo mediante la produzione dello studio di settore relativo al 2001 – interponeva appello l’Agenzia delle Entrate avanti alla CTR Emilia Romagna che, in accoglimento del gravame, riformava l’impugnata sentenza.
Ritenevano invero i giudici di secondo grado, che “il contribuente ha contestato gli indici applicati, ma non ha fornito alcuna dimostrazione che il reddito presunto sulla base dei parametri non esisteva o esisteva in misura inferiore”. In particolare non poteva avere “valore” lo studio di settore elaborato con riguardo alla medesima categoria professionale del ricorrente per l’anno 2001, sicché in buona sostanza “doveva rilevarsi che il contribuente aveva solo contestato il sistema di accertamento fondato sui parametri”, senza tuttavia precisare o documentare le circostanze che avrebbero influito negativamente sulla sua situazione reddituale per l’anno in contestazione.
Per la cassazione di detta sentenza l’avv.to (…) promuove ricorso sulla base di tre motivi, a cui ha fatto seguire memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso l’erario.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo di ricorso, il contribuente si duole per gli effetti dell’art. 360, comma primo, n. 3 dell’errore di diritto in cui è incorsa la CTR nell’applicazione dell’art. 39, comma primo, lett. d), D.P.R. 600/73, dell’art. 3, commi 181 e segg., l. 549/95, degli artt. 2727 e 2697 c.c. e dell’art. 53 Cost., nonché dei principi in tema di onere probatorio, avendo essa, in chiara violazione del rubricato quadro di diritto, da un lato, giudicato legittimo, pur in presenza di scritture e dichiarazioni incontestate e regolarmente tenute, l’accertamento nella specie operato dall’Agenzia delle Entrate “basato esclusivamente sulle risultanze dei parametri”, dall’altro ha indebitamente trasferito sul contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base dei parametri “non esisteva o esisteva in maniera inferiore”.
2.2. Il motivo è infondato.
La Corte, sul filo dell’insegnamento dispensato dalle SS.UU. (26635/09) e dall’adesiva giurisprudenza di questa sezione – a tenore della quale “i parametri o studi di settore previsti dall’art. 3, commi da 181 a 187, legge 28 dicembre 1995, n. 549, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio del l’accertamento analitico-induttivo, ex art. 39, primo comma, lett. d, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, in quella contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento” (848/16; 21136/15; 3415/15) – ha da tempo formalizzato l’opinione secondo cui “il potere di accertamento dell’Ufficio, ai sensi degli artt. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 3 della legge n. 549 del 1995, una volta che l’amministrazione finanziaria abbia applicato i parametri presuntivi, personalizzati in relazione alla specifica situazione del contribuente, ed abbia soppesato e disatteso le contestazioni proposte da quest’ultimo in sede amministrativa, non può ritenersi condizionato da alcun altro incombente” (25995/14; 10042/14; 6929/13). Più in dettaglio si è chiarito che “l’ufficio che procede ad accertamento dell’imposta sui redditi ai sensi dell’articolo 39, primo comma, lettera d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, avvalendosi, ai sensi dell’art. 3, comma 181, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, dei parametri per la determinazione presuntiva dei ricavi, dei compensi e del volume d’affari previsti dal successivo comma 184, e poi specificati dal D.P.C.M. 29 gennaio 1996, non deve apportare alcun elemento atto a confortare il proprio diverso accertamento, perché gli elementi considerati nell’elaborazione dei parametri stessi e l’applicazione di questi ai dati esposti dal singolo contribuente hanno già i caratteri della presunzione legale, quali richiesti dal primo comma dell’art. 2728 cod. civ., e sono di per sé idonei a fondare un corrispondente accertamento, restando comunque consentito al contribuente di provare, anche con presunzioni, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, l’inapplicabilità dei parametri alla sua posizione reddituale” (11991/11; 25376/10; 3228/09). Né nell’operare la determinazione induttiva del reddito imponibile in applicazione dei parametri di reddittività elaborati in relazione a categorie omogenee di contribuenti l’ufficio rinviene ostacolo nella regolare tenuta della contabilità, giacché, come già chiarito dalla citata pronuncia delle SS.UU., la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità non impedisce dunque l’applicazione degli standard nè può essere invocata del contribuente quale valida prova contraria rispetto al risultato reddituale induttivamente determinato dall’ufficio.
2.3. Poste queste premesse è di tutta evidenza che nessun addebito può muoversi in parte qua all’impugnata sentenza e, segnatamente, da quanto essa stimato in ordine all’efficacia probatoria dell’accertamento standardizzato, risultando immune da censure, in ragione della sua adesività ai principi diritto sopra richiamati, l’affermazione secondo cui, a fronte del risultato reddituale determinato dal fisco in applicazione dei parametri di cui all’art. 3, commi 181 e segg. L. 544/95, era onere probatorio, che la parte avrebbe potuto assolvere senza limitazioni di facoltà e senza vincoli rispetto alla pregressa fase istruttoria, dimostrare che il reddito presunto “non esisteva o esisteva in misura minore”, in difetto del che la valenza presuntiva dei parametri mantiene immutata la propria efficacia e legittima di per sé stessa il susseguente accertamento senza bisogno di ulteriori integrazioni.
3.1. Violazione e falsa applicazione di legge a mente dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. il ricorrente lamenta con il secondo motivo di ricorso, risultando nella specie violati l’art. 39, comma primo, lett. d), D.P.R. 600/73, l’art. 3, commi 181 e segg., l. 549/95, l’art. 62-bis e segg. D.l. 331/93, gli artt. 2727 e 2697 c.c. e gli artt. 24 e 53 Cost, nonché i principi in tema di onere probatorio anche in relazione alle circolari A.E. 74/E dell’ 11/9/2002 e 25 del 14/3/2001, vero che, contrariamente a quanto affermato dalla CTR in punto di onere della prova, i documenti contabili ossia le dichiarazioni fiscali dal medesimo prodotte in giudizio “stanno appunto a testimoniare la reale capacità reddituale del contribuente”, mentre in ordine alla facoltà del contribuente di provare con ogni mezzo la sua effettiva situazione reddituale opera, come pure riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte e dalla stessa amministrazione finanziaria, la prova precauzionalmente offerta nella specie dal medesimo “consistente nelle risultanze dello studio di settore relativo agli studi legali”, in guisa delle quali, diversamente da quelle emerse in sede di applicazione dei parametri, era dimostrato come le dichiarazioni del contribuente fossero perfettamente coerenti.
3.2. Il motivo è fondato e la sua fondatezza determina anche l’assorbimento del terzo motivo di ricorso inteso a denunciare il vizio di motivazione non essendo dato comprendere dalla lettura della sentenza “per quali ragioni non sia stato ritenuto sufficiente a smentire l’astratto accertamento parametrico l’inequivoco risultato di conformità dello studio di settore” né come in pari tempo si sia potuto ritenere generico l’accertamento fondato sui parametri, laddove al contrario “i parametri applicati dall’amministrazione erariale rappresentano il massimo di astrattezza e genericità che sia immaginabile in materia fiscale”.
3.3. Quanto al motivo accolto, vale qui richiamare – sempre ricordando con le SS.UU. sopra citate i parametri, istituiti con la finanziaria 1996 rappresentano una tappa centrale di un percorso evolutivo dell’ordinamento tributario che va dai coefficienti presuntivi introdotti nel 1989 agli studi di settore previsti dal d.l. 331/96, attivati poi progressivamente con successivi aggiustamenti nel processo di affinamento di metodi standardizzati di accertamento intesi a facilitare la lotta all’evasione fiscale e a ridurre il contenzioso tra contribuenti ed amministrazione – il consolidato indirizzo di questa Corte, in ragione del quale la naturale evoluzione che lo strumento ha conosciuto nel corso del tempo ha portato ad affermare che “l’accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri e degli studi di settore costituisce un sistema unitario, frutto di un progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività per categorie omogenee di contribuenti, per cui si giustifica l’applicazione retroattiva dello strumento più recente, che prevale rispetto a quello precedente, in quanto più raffinato e più affidabile”, di modo è di conseguenza illegittimità la rettifica reddituale operata in base ai parametri di cui agli artt. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, e 3, commi 181 e 184, della legge n. 549 del 1995, vigenti all’epoca dell’accertamento, nonostante la congruità dei ricavi dichiarati dal contribuente rispetto agli studi di settore, previsti dagli 62 bis e 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993, conv. in legge n. 427 del 1993, successivamente introdotti successivamente introdotti (23554/15; 22949/14; 1843/14).
3.4. Errato è perciò il contrario convincimento espresso dal giudice d’appello laddove ha disatteso l’argomento probatorio rappresentato dalla congruità dei ricavi rispetto allo studio di settore prodotto in giudizio dalla parte, disconoscendone genericamente “il valore”, sebbene lo studio di settore costituisca nel quadro evolutivo dei metodi di determinazione induttiva del reddito uno strumento che, per le modalità di formazione, nonché per la crescente raffinatezza delle metodologie statistiche adottate, è in grado di assicurare una rappresentazione della situazione reddituale del contribuente più aderente alla sua concreta realtà, in ragione del che se ne giustifica appunto l’applicazione retroattiva.
4. Accogliendosi perciò il secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata andrà conseguentemente cassata e la causa andrà rinviata ai sensi dell’art. 383, ultimo comma, c.p.c. al giudice territoriale per un nuovo giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo e dichiara assorbito il terzo, cassa, nei limiti del motivo accolto, l’impugnata sentenza e rinvia avanti alla CTR Emilia Romagna che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
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