CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 8977 del 5 maggio 2016
FALLIMENTO – DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO – INIZIATIVA – ISTANZA DEL P.M. – ART. 7, N. 1, L.FALL. – INTERPRETAZIONE – ACQUISIZIONE DELLA “NOTITIA DECOCTIONIS” – MODALITÀ – FATTISPECIE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Rilevato che con sentenza in data 16 dicembre 2014, notificata il 19 dicembre successivo, la Corte d’Appello di Cagliari ha rigettato il reclamo proposto, ex art. 18 L.Fall., da Sant’Elena srl, contro la sentenza del Tribunale di Cagliari, che aveva dichiarato il fallimento della menzionata impresa societaria.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso la societa’ fallita, con atto portato alla notifica il 16 gennaio 2015 (ma notificato alla curatela il 23 gennaio 2015), sulla base di tre motivi, con cui denuncia violazione e falsa applicazione di norme di legge processuale (artt. 453 e 454 c.p.p.) e fallimentare (artt. 5, 6 e 7) e vizi motivazionali, dolendosi, principalmente, dell’iniziativa del PM in difetto di risultanze apprese nell’ambito del processo penale e percio’ basate esclusivamente sul suo opinamento (primo mezzo) ovvero senza alcuna verifica od allegazione, tale non essendo il lapidario ed immotivato accenno del Consulente del PM (secondo mezzo) ovvero ancora attraverso l’acquisizione di documenti, anche a mezzo della Polizia Giudiziaria, e di risultanze, ma solo dopo aver richiesto il rinvio a giudizio nel processo penale.
Il curatore ha resistito con controricorso.
Considerato che il controricorso e’ intempestivo essendo stato notificato (il 12-13 marzo 2015) oltre il 40 giorno dopo la notifica del ricorso per cassazione (avvenuta, come si e’ detto, il 23 gennaio 2015) e, dunque, oltre quanto stabilito dalla legge processuale, secondo quanto gia’ chiarito da questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 24639 del 2015: Ai fini della verifica della tempestiva notifica del controricorso in cassazione, da compiersi ex art. 370 c.p.c. nei venti giorni successivi al deposito del ricorso, che, a propria volta e ai sensi dell’art. 369 c.p.c., deve avvenire nei venti giorni dalla sua ultima notificazione, il momento perfezionativo di quest’ultima si identifica con la ricezione dell’atto da parte del destinatario); che i mezzi di cassazione, tra di loro strettamente connessi, possono e devono essere esaminati congiuntamente, e dichiarati non fondati; che, infatti, con riguardo alla iniziativa del PM, questa Corte, nell’interpretare l’art. 7 L.F. – come e’ suo dovere statutario, ex art. 65 O.G. – elaborando i connessi principi di diritto, ha gia’ avuto modo di affermare che:
a) Il P.M. e’ legittimato a chiedere il fallimento dell’imprenditore anche se la “notitia decoctionis” sia stata da lui appresa nel corso di indagini svolte nei confronti di soggetti diversi dall’imprenditore medesimo. Invero, la volonta’ legislativa che emerge dalla lettura delle ipotesi alternative previste dall’art. 7, comma 1, n. 1, L. Fall., una volta venuta meno la possibilita’ di dichiarare il fallimento d’ufficio, e’ chiaramente nel senso di ampliare la legittimazione del P.M. alla presentazione della richiesta per dichiarazione di fallimento a tutti i casi nei quali l’organo abbia istituzionalmente appreso la “notitia decoctionis”; e tale soluzione interpretativa trova conforto sia nella previsione dell’art. 7, comma 1, n. 2, L. Fall., che si riferisce al procedimento civile senza limitazioni di sorta, sia nella Relazione allo schema di d.lgs. di riforma delle procedure concorsuali, che fa riferimento a qualsiasi “notitia decoctionis” emersa nel corso di un procedimento penale. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito ritenendo la legittimazione del P.M. a presentare la richiesta di fallimento nei confronti di una societa’, avendo appreso dell’insolvenza della stessa nel corso di un procedimento penale pendente a carico di altre societa’ del gruppo di cui faceva parte) (Sez. 1, Sentenza n. 10679 del 15/05/2014);
b) In tema di iniziativa del P.M. per la dichiarazione di fallimento, ai sensi dell’art. 7, n. 1, L. Fall., la doverosita’ della sua richiesta puo’ fondarsi dalla risultanza dell’insolvenza, alternativamente, sia dalle notizie proprie di un procedimento penale pendente, sia dalle condotte, del tutto autonome indicate in tal modo dalla congiunzione “ovvero” di cui alla norma che non sono necessariamente esemplificative ne’ di fatti costituenti reato ne’ della pendenza di un procedimento penale, che puo’ anche mancare (Sez. 1, Sentenza n. 9260 del 21/04/2011);
che, sviluppando tali principi, e raccordandoli al tenore testuale dell’art. 7 L.Fall., devonsi completarsi quelle affermazioni, nel senso che, con riguardo al caso sollecitato e per dare ad esso la soluzione che l’ordinamento appresta:
il P.M. e’ legittimato a chiedere il fallimento dell’imprenditore anche se la “notizia decoctionis”, da lui appresa nel corso di indagini svolte nei confronti di soggetti diversi o collegati con l’imprenditore medesimo, sia stata approfondita e sviluppata, sul piano investigativo, dopo che siano gia’ state formulate le proprie richieste in sede penale, ove quegli sviluppi risultino – come nel caso di specie – non gia’ come una nuova arbitraria iniziativa d’indagine ma come uno sviluppo di essa, collegato strettamente alle sue risultanze, per quanto non complete, gia’ acquisite nel corso dell’indagine penale.
Invero, nella specie, risulta che il PM aveva disposto che la GdF fornisse informazioni sulla situazione patrimoniale e finanziaria della societa’ reclamante, sia pure dopo aver trasmesso gli atti al GIP, formulando le richieste nei confronti degli imputati, ma dopo che il proprio consulente aveva allegato la segnalazione ricevuta dalla Banca d’Italia, circa le anomale relazioni tra il gruppo societario cui appartiene l’odierna societa’, definito come “in palese stato d’insolvenza”, ed il Banco di Sardegna, “profilando possibili ipotesi di bancarotta fraudolenta”.
Infatti, non e’ necessaria la contestualita’ delle indagini penali dalle quali emerga la notitia decoctionis e quelle volte ad approfondire quest’ultima, essendo necessario e bastevole che la seconda sia nata dalle prime e che non sia arbitrario il suo approfondimento in quanto tra l’una e le altre vi sia rapporto di evidente e stretta connessione.
In conclusione, il ricorso e’ manifestamente infondato e deve essere respinto, in ossequio al menzionato principio di diritto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali (in ragione della partecipazione della Curatela all’udienza camerale) ed al raddoppio del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore della Curatela, in Euro 5.200,00, oltre spese generali forfettarie ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
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