CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 8980 del 5 maggio 2016
FALLIMENTO DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO – INIZIATIVA – DESISTENZA O RINUNCIA DEL CREDITORE ISTANTE – RILASCIO IN DATA SUCCESSIVA ALLA DICHIARAZIONE SI FALLIMENTO – EFFETTI – ACCOGLIMENTO DEL RECLAMO – ESCLUSIONE
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 20 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:
“Con sentenza in data 15 Dicembre 2014, la Corte d’Appello di Brescia, ha respinto il reclamo proposto, ex art. 18 L. Fall., dal sig. B.F., contro la sentenza del Tribunale di Bergamo, che aveva dichiarato il proprio fallimento su istanza dell’unico creditore procedente, T. Italia SpA, atteso che l’atto di desistenza depositato avanti alla Corte territoriale, in data 1 dicembre 2014, “per delega in calce all’istanza di fallimento” e a nome dell’avv. Discepolo, difensore della T. SpA, societa’ formalmente non costituitasi nel giudizio di reclamo, era successiva nel tempo alla pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento del reclamante.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso per cassazione il B., con atto notificato il 14 gennaio 2015, sulla base di quattro motivi, con cui denuncia violazione e falsa applicazione di norme della legge fallimentare (artt. 5 e 18) e del codice di rito civile (artt. 99, 100, 306, 82, 83, 132 e 5).
La Curatela fallimentare e la creditrice istante (T. Italia SpA) non hanno svolto difese.
Il ricorso appare manifestamente infondato, giacche’, con riferimento alla problematica della rinuncia all’istanza di fallimento – pur nell’ambito della procedura riformata – questa Corte ha espresso il seguente orientamento che, per essere in parte ampliativo del vecchio indirizzo ermeneutico, ha comunque posto chiari paletti ad un giudizio altrimenti dilatabile pressoche’ senza limiti:
a) con riguardo alla prima doglianza (con la quale si lamenta l’omessa considerazione della desistenza dell’unico creditore procedente), infatti, questa Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui “Il nuovo procedimento per la dichiarazione di fallimento, non prevedendo alcuna iniziativa d’ufficio, suppone, affinche’ il giudice possa pronunciarsi nel merito, che la domanda proposta dal soggetto a tanto legittimato sia mantenuta ferma, cioe’ non rinunciata, per tutta la durata del procedimento stesso, derivandone, quindi, che la desistenza dell’unico creditore istante intervenuta anteriormente alla pubblicazione della sentenza di fallimento, pur se depositata solo in sede di reclamo avverso quest’ultima, determina la carenza di legittimazione di quel creditore e la conseguente revoca della menzionata sentenza” (Sez. 1, Sentenza n. 21478 del 2013);
e, a tal proposito, la Corte territoriale ha sottolineato, in contrasto con il menzionato principio, la posteriorita’ della desistenza rispetto alla pronuncia dichiarativa dell’insolvenza dell’impresa individuale;
b) tali argomentazioni consentono di ritenere assorbita anche la seconda doglianza (attinente all’esistenza del ius postulandi dell’avv. Discepolo per conto dell’unico creditore procedente) divenendo irrilevante la questione agitata in rapporto alla fondamentale ratio decidendi;
c) con riguardo alle residue due doglianze (relative alla sussistenza dello stato d’insolvenza dell’imprenditore individuale: art. 5 L. Fall.), in disparte i preliminari profili di autosufficienza del ricorso (non essendo ne’ trascritti ne’ indicati con precisione il “se, come, dove e quando” le questioni siano state poste nel giudizio di reclamo, resta il fatto che l’accertamento dello stato d’insolvenza dell’impresa debitrice, per l’esistenza di un solo debito contro il mancato apprezzamento delle consistenze immobiliari e delle complessive possidenze, costituiscono critiche tutte miranti alla inammissibile ripetizione del giudizio di merito, attraverso il riesame di atti e documenti oggetto di apprezzamento nella fase di merito, con riferimento alle sentenze (come quella oggetto del presente giudizio) pubblicate oltre il termine di trenta giorni successivo all’entrata in vigore della L. n. 134 del 2012 (che ha convertito il D.L. n. 83 del 2012), per le quali e’ stato dettato un diverso tenore della previsione processuale (al di la’ delle formulazioni recate dal ricorso) sostanzialmente invocata (ossia, l’art. 360 c.p.c., n. 5), si infrangono sull’ interpretazione chiarita dalle SU civili nella Sentenza n. 8053 del 2014 la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultante processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;
che, in ogni caso, l’accertamento dello stato d’insolvenza puo’ essere introdotto (come nella specie) anche da un solo creditore, ma la sua consistenza non si riduce tanto all’accertamento dell’esistenza di un solo credito bensi’ all’incapacita’ dell’imprenditore di far fronte (ad uno o piu’ debiti) con l’uso di mezzi ordinari di pagamento e senza la distruzione delle consistenze patrimoniali ed aziendali;
che, in ogni caso, con riguardo alle consistenze immobiliari possedute dall’imprenditore a garanzia della complessiva debitoria accertata, questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7252 del 2014) ha gia’ chiarito che “lo stato di insolvenza richiesto ai fini della pronunzia dichiarativa del fallimento dell’imprenditore non e’ escluso dalla circostanza che l’attivo superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili. In particolare, il significato oggettivo dell’insolvenza, che e’ quello rilevante agli effetti dell’art. 5 L. Fall., deriva da una valutazione circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalita’) all’esercizio di attivita’ economiche, si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all’impresa e si esprime, secondo una tipicita’ desumibile dai dati dell’esperienza economica, nell’incapacita’ di produrre beni con margine di redditivita’ da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l’estinzione dei debiti), nonche’ nell’impossibilita’ di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio. Il convincimento espresso dal giudice di merito circa la sussistenza dello stato di insolvenza costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, ove sorretto da motivazione esauriente e giuridicamente corretta”.
In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., n. 5″.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale state rivolte critiche ed osservazioni con memoria in data 31 marzo 2016; che, in particolare, con riferimento al principio di diritto posto a base della reiezione della questione sollevata e secondo cui l’atto di desistenza depositato avanti alla Corte territoriale, in data 1 dicembre 2014, “per delega in calce all’istanza di fallimento” e a nome dell’avv. Discepolo, difensore della T. SpA, societa’ formalmente non costituitasi nel giudizio di reclamo, era successiva nel tempo alla pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento del reclamante, s’invoca l’esistenza di un precedente di questa Corte (la sentenza n. 13909 del 2014) che esprimerebbe un principio di diritto del tutto diverso ed opposto, manca affatto il preteso contrasto di tale principio rispetto a quello indicato nella richiamata e trascritta proposta decisoria del Consigliere relatore;
che, infatti, la sentenza invocata cosi’ precisa la fattispecie e i principi applicati:
“Nel caso di specie, il tribunale aveva dapprima dichiarato il fallimento, dalla corte d’appello revocato in ragione della mancata comparizione del pubblico ministero all’udienza prefallimentare all’uopo fissata: onde cio’ rappresentava piuttosto una (tacita) desistenza dalla richiesta.
Questa Code ha gia’ chiarito che la desistenza dal ricorso “determina l’adozione, da parte del tribunale fallimentare, di un decreto di archiviazione, in quanto la necessita’ del decreto di rigetto sussiste solo nei confronti di un’istanza che continui ad essere effettivamente coltivata e che sia ritenuta priva di fondamento” (cfr. Cass. 14 ottobre 2009, n. 21834), posto che, dopo le riforme degli ultimi anni, il procedimento per la dichiarazione di fallimento “suppone, affinche’ il giudice possa pronunciarsi nel merito, che la domanda proposta dal soggetto a tanto legittimato sia mantenuta ferma, cioe’ non rinunciata, per tutta la durata del procedimento stesso, derivandone, quindi, che la desistenza dell’unico creditore istante intervenuta anteriormente alla pubblicazione della sentenza di fallimento (..) determina la carenza di legittimazione di quel creditore e la conseguente revoca della menzionata sentenza” (Cass. 19 settembre 2013, n. 21478; ord. 11 febbraio 2011, n. 3472)”;
che, in sostanza, la revoca dell’istanza di fallimento o atto di desistenza implicita, di cui si e’ discorso in quella sede, se avvenuta, si e’ comunque consumata nella fase prefallimentare, ossia prima della pronuncia di fallimento, cio’ che invece non e’ quello che e’ accaduto nella specie, essendo la desistenza o rinuncia in data successiva all’avvenuta dichiarazione di fallimento: il caso e’ dunque del tutto, diverso e, in relazione al principio affermato, del tutto opposto;
che, in ordine alla questione del difetto di ius postulandi del difensore della societa’ creditrice procedente,non solo la questione appare del tutto nuova rispetto ai motivi di appello proposti dall’odierna ricorrente (non rilevando al riguardo le considerazioni, spesso esorbitanti, del giudice del gravame)ma il documento rilevante (ossia l’istanza di fallimento e la relativa procura alle liti) non e’ neppure richiamato, a pena d’improcedibilita’, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 4, nel ricorso per cassazione;
che, per le altre doglianze, vale quanto gia’ riportato nella relazione sopra trascritta;
che, in conclusione, il ricorso deve essere respinto, senza che occorra provvedere sulle spese di questa fase del giudizio, non avendo l’intimata curatela svolto difese in questa fase;
che sussistono le condizioni, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte, respinge il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
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