CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 8981 del 5 maggio 2016
SOCIETÀ DI PERSONE – SOCIETÀ IRREGOLARE E DI FATTO – PROVA – SCRITTA – MANCANZA – IRRILEVANZA – POSSIBILITÀ DI PROVARE CON OGNI MEZZO LO SVOLGIMENTO IN COMUNE DI UN’ATTIVITÀ ECONOMICA – SUSSISTENZA – RESPONSABILITÀ SOLIDALE DEI SOCI VERSO I TERZI – ESTERIORIZZAZIONE DEL VINCOLO SOCIALE – SUFFICIENZA – ACCERTAMENTO DEL GIUDICE DI MERITO – SINDACABILITÀ IN SEDE DI LEGITTIMITÀ – ESCLUSIONE
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 20 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:
“Con sentenza in data 26 Settembre 2014, la Corte d’Appello di Palermo, ha accolto l’impugnazione proposta dalla signora C. M., contro la sentenza del Tribunale di Termini Imerese – Sez. Dist. di Cefalu’, che aveva respinto la propria domanda di condanna della socia della pretesa societa’ di fatto con quella costituita, signora D.M.E., affermando – al contrario del primo giudice – che le chiare e dettagliate dichiarazioni testimoniali e i numerosi riscontri documentali deponevano per l’esistenza di una societa’ di fatto tra le due litiganti, la cui vicenda dissolutiva comportava l’obbligo di corresponsione della meta’ dell’attivo netto, con la conseguente condanna dell’appellata al pagamento di tale somma oltre che delle spese dei due gradi di giudizio.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso per cassazione la signora D.M.E., con atto notificato il 29 dicembre 2014, sulla base di due motivi, con cui denuncia violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 2247 c.c. e art. 246 c.p.c) e la nullita’ della sentenza per vizi motivazionali (in quanto consistente in una “motivazione misteriosa”).
La signora C.M. ha resistito con controricorso.
Il ricorso appare manifestamente infondato, giacche’:
a) con riguardo alla prima subdoglianza (con la quale si lamenta la violazione dei principi relativi all’accertamento dei requisiti della societa’ di fatto) il mezzo di ricorso appare inammissibile proprio richiamando la giurisprudenza di questa Corte (ultima Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5961 del 2010) secondo cui “La mancanza della prova scritta del contratto di costituzione di una societa’ di fatto o irregolare (non richiesta dalla legge ai fini della sua validita’) non impedisce al giudice del merito l’accertamento “aliunde”, mediante ogni mezzo di prova previsto dall’ordinamento, ivi comprese le presunzioni semplici, dell’esistenza di una struttura societaria, all’esito di una rigorosa valutazione (quanto ai rapporti tra soci) del complesso delle circostanze idonee a rivelare l’esercizio in comune di una attivita’ imprenditoriale, quali il fondo comune costituito dai conferimenti finalizzati all’esercizio congiunto di un’attivita’ economica, l’alea comune dei guadagni e delle perdite e l'”affectio societatis”, cioe’ il vincolo di collaborazione in vista di detta attivita’ nei confronti dei terzi,. peraltro, e’ sufficiente a far sorgere la responsabilita’ solidale dei soci, ai sensi dell’art. 2297 cod. civ., l’esteriorizzazione del vincolo sociale, ossia l’idoneita’ della condotta complessiva di taluno dei soci ad ingenerare all’esterno il ragionevole affidamento circa l’esistenza della societa’. Tali accertamenti, risolvendosi nell’apprezzamento di elementi di fatto, non sono censurabili in sede di legittimita’, se sorrette da motivazioni adeguate ed immuni da vizi logici o giuridici.”;
b)con riguardo alla seconda subdoglianza (con la quale si lamenta la violazione dei principi relativi all’ammissione della prova testimoniale del coniuge dell’attrice – appellante, reputato) il mezzo di ricorso appare manifestamente infondato in ossequio al principio di diritto enunciato da questa Corte (ultima Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1109 del 2006) secondo cui ” In materia di prova testimoniale, non sussiste con riguardo alle deposizioni rese dai parenti o dal coniuge di una delle parti alcun principio di necessaria inattendibilita’ connessa al vincolo di parentela o coniugale, siccome privo di riscontri nell’attuale ordinamento, considerato che, venuto meno il divieto di testimoniare previsto dall’art. 247 cod. proc. civ. per effetto della sentenza della Corte Cost. n. 248 del 1974, l’attendibilita’ del teste legato dai uno dei predetti vincoli non puo’ essere esclusa aprioristicamente, in difetto di ulteriori elementi in base ai quali il giudice del merito reputi inficiarne la credibilita’, per la sola circostanza dell’esistenza dei detti vincoli con le parti.”; che, infatti, nella specie, la ricorrente (in disparte i profili di ammissibilita’ del mezzo con riguardo al “se, come, quando e dove” la doglianza sia stata posta nella fase di gravame) nulla ha allegato sulla specifica incompatibilita’ alla testimonianza del marito della parte, le cui dichiarazioni sono state valutate congruenti con quella degli altri testi e riscontrate dai documenti acquisiti;
c) con riguardo alla residua doglianza (relative alla sussistenza di vizi motivazionali), le critiche – tutte miranti alla inammissibile ripetizione del giudizio di fatto, attraverso il riesame (anche dell’ammissibilita’) di testi e documenti oggetto di apprezzamento nella fase di merito -, con riferimento alle sentenze (come quella oggetto del presente giudizio) pubblicate oltre il termine di trenta giorni successivo all’entrata in vigore della L. n. 134 del 2012 (che ha convertito il D.L. n. 83 del 2012), per le quali e’ stato dettato un diverso tenore della previsione processuale (al di la’ delle formulazioni recate dal ricorso) sostanzialmente invocata (ossia, l’art. 360 c.p.c., n. 5), si infrangono sull’ interpretazione chiarita dalle SU civili nella Sentenza n. 8053 del 2014 la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di insufficienza della motivazione”; che, in ogni caso, le valutazioni compiute dalla Corte territoriale non appaiono affatto ispirate da criteri misteriosi essendo le medesime basate sulla ricognizione dei dati offerti dalle dichiarazioni dei testi escussi e dal riscontro – ritenuto efficace – di quelle affermazioni con i dati documentali versati in atti.
In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., n. 5″.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale non sono state rivolte critiche sviluppate con scritti;
che, percio’, il ricorso, manifestamente infondato, deve essere respinto, in applicazione dei richiamati ed enunciati principi di diritto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questa fase, liquidate come in dispositivo, oltre che al raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
LA CORTE
Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questa fase del giudizio che si liquidano, in favore della parte resistente, in complessivi Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi oltre spese generali forfettarie ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
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