CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 9276 del 6 maggio 2016
TRIBUTI – ACCERTAMENTO SINTETICO – OBBLIGO DI CONTRADDITTORIO ENDOPROCEDIMENTALE – OSSERVANZA DEL TERMINE DILATORIO A PENA DI NULLITA’ DELL’ATTO DI ACCERTAMENTO – ESCLUSIONE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
T.U. ha proposto ricorso presso la Commissione Tributaria Provinciale di Milano avverso avviso di accertamento sintetico con il quale la locale Agenzia delle Entrate aveva accertato maggior reddito imponibile ai fini IRPEF (e add. com.) anno 2006.
L’adita Commissione ha accolto il ricorso sul presupposto che l’Ufficio avesse emesso l’avviso impugnato prima dello spirare dei 60 gg dal rilascio della copia del p.v. di chiusura delle operazioni, e quindi senza l’osservanza del termine di cui all’art. 12, comma 7, L. 212/2000, nonostante l’insussistenza di ragioni di particolare urgenza.
Con sentenza depositata il 9 luglio 2013 la Commissione Tributaria Regionale Lombardia ha rigettato l’appello dell’Agenzia, ritenendo la su menzionata disposizione applicabile ad ogni tipo di accertamento e rilevando che l’Ufficio non aveva dato prova, nemmeno in sede giudiziaria, della sussistenza di gravi motivi di urgenza per giustificare il mancato rispetto del detto termine.
Avverso detta sentenza propone ricorso per Cassazione l’Agenzia, affidato ad un motivo.
Il contribuente resiste con controricorso.
All’udienza del 4-2-2015 il giudizio è stato rinviato a nuovo ruolo in attesa di decisione delle sezioni unite di questa Corte; intervenuta detta decisione (Cass. sez. unite 24823/2015), è stata nuovamente fissata l’udienza di discussione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia, denunziando -ex art. 360 n. 3 c.p.c.- violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, L. 212/2000 e dell’art. 32 dpr 600/73, si duole che la CTR non abbia considerato che il termine dilatorio di cui al detto art. 12, comma 7, e applicabile solo ad operazioni di verifica condotto dagli organi dell’amministrazione Finanziaria nei locali del contribuente destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali; tanto non si era verificato nel caso di specie, regolamentato dall’art. 32 cit, ove l’accertamento sintetico era stato preceduto dal mero invio al contribuente di un questionario informativo in ordine al possesso e/o disponibilità di alcuni beni Il motivo, autosufficiente in quanto contenente tutti gli elementi necessari per consentire a questa Corte di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto nonché di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alla sentenza impugnata, è fondato.
E’ vero, infatti, che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio” (Cass. sez. unite 18184/2013).
Questa Corte, tuttavia, nella sentenza a sez. unite 24823/2015, nell’affrontare la questione ad essa rimessa (e cioè se le garanzie di carattere procedimentali predisposte dall’art. 12, comma 7, L. 212/2000 si applichino soltanto agli accertamenti emessi in esito ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente ovvero se esse -in quanto espressione di un generalizzato obbligo di contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo di formazione dell’atto fiscale- operino pure in relazione agli accertamenti conseguenti ad ogni altro tipo di verifica fiscale e, in particolare, in relazione agli accertamenti derivanti da verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio, in base alle notizie acquisite da altre P.A., da terzi ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio – c.d. verifiche a tavolino-), ha dapprima precisato che le dette garanzie procedimentali trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; tanto anche per la peculiarità di tali verifiche, caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutatiti a lui sfavorevoli; peculiarità che giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio;
la Corte ha poi escluso, sulla base della normativa nazionale, l’esistenza di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale, e cioè di un principio generale per il quale l’Amministrazione, anche in assenza di specifica disposizione, sia tenuta ad attivare, pena la nullità dell’atto, il contraddittorio endoprocedimentale ogni qualvolta debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente; la Corte, inoltre, sulla base dell’ordinamento europeo (in particolare: art. 41 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), ha invece ritenuto il rispetto del contraddittorio nel procedimento tributario principio fondamentale dell’ordinamento europeo, la cui violazione tuttavia può determinare l’annullamento dell’atto soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, il detto procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso”; di conseguenza, secondo la Corte, per i “tributi non armonizzati” (cioè per i tributi soggetti solo alla disciplina nazionale ed estranei quindi alla sfera di competenza del diritto dell’Unione Europea; in particolare: i tributi diretti, quale quello in questione – IRAP -), l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il detto contraddittorio, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi in cui tale obbligo sia previsto da specifica norma di legge.
La CTR, ritenendo applicabile il cit. art. 12, comma 7, ad ogni accertamento, senza quindi considerare che nel caso di specie non si era svolta alcuna verifica in house (e, cioè, nei locali ove è esercitata l’attività imprenditoriale), si è discostata da tali principi e va, quindi, cassata.
In conclusione, quindi, in accoglimento del ricorso, va cassata l’impugnata sentenza, con rinvio per nuovo esame alla CTR Lombardia, diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza, con rinvio per nuovo esame alla CTR Lombardia, diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
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