CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 9307 del 9 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – TRASFERIMENTO D’AZIENDA – CREDITI DI LAVORO – RESPONSABILITA’ DELL’ULTIMO DATORE DI LAVORO
Fatto
Con sentenza depositata il 9.1.2013, la Corte d’appello di Messina confermava la statuizione di prime cure, che aveva rigettato le domande per differenze retributive proposte da F. e G.C.B. nei confronti di T.A., quale titolare prò tempore del Deposito fiscale Generi di Monopolio di Stato di Messina.
La Corte in particolare riteneva che in nessun modo nel ricorso di primo grado i lavoratori avessero dedotto a fondamento delle pretese differenze retributive la sussistenza di un trasferimento d’azienda per argomentare la responsabilità del convenuto anche in ordine ai periodi del rapporto di lavoro intercorsi con i precedenti titolari del Deposito e quindi rigettava ogni pretesa nei suoi confronti, siccome carente di causa petendi.
Per la cassazione di tali statuizioni ricorrono i lavoratori, affidandosi a quattro motivi di censura.
Resiste T.A. con controricorso.
Diritto
Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano violazione e omessa applicazione dell’art. 2112 c.c., errata e insufficiente motivazione e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte di merito ritenuto che la causa petendi del trasferimento d’azienda non fosse stata mai validamente introdotta nel giudizio di primo grado.
Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 2112 c.c. per non avere la Corte territoriale ritenuto di dover procedere alla verifica dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 2112 c.c.
Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono di violazione e falsa applicazione degli artt. 22, comma 3°, e 36, d.P.R. n. 1293/1957, nonché dell’art. 2112 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che il controricorrente fosse subentrato nella titolarità del Deposito in virtù di cessazione dell’appalto di cui era titolare la madre.
Da ultimo, con il quarto motivo, i ricorrenti ribadiscono la piena fondatezza nel merito delle loro ragioni e chiedono disporsi CTU contabile per la quantificazione delle loro pretese patrimoniali.
Detto subito della manifesta inammissibilità di tale ultimo motivo, esulando dai poteri-doveri di questa Corte una decisione sul merito della causa se non nella ristretta ipotesi di cui all’art. 384 comma 2° c.p.c. (e la richiesta di CTU contabile palesa all’evidenza che non sarebbe mai questo il caso), il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte territoriale ha infatti correttamente rilevato che, non avendo i ricorrenti validamente dedotto nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado i presupposti fattuali per l’operatività della disciplina del trasferimento d’azienda, non vi era possibilità alcuna di invocare l’applicazione dell’art. 2112 c.c.; né a contrarie conclusioni può pervenirsi per aver fatto i ricorrenti riferimento, nel corpo del ricorso, ad una consulenza contabile di parte, nella quale erano indicati i periodi in cui essi avevano lavorato alle dipendenze dei diversi titolari che si erano nel tempo succeduti nella gestione del Deposito fiscale, giacché il fatto dell’essersi succeduti più gestori non è di per sé esplicativo delle ragioni per le quali si dovrebbe affermare la responsabilità ex art. 2112 c.c. dell’ultimo di essi per i crediti dei lavoratori maturati nei periodi precedenti: valga al riguardo ricordare che la fattispecie del trasferimento d’azienda non coincide con quella della successione meramente cronologica fra due imprese con lo stesso oggetto, alle cui dipendenze il lavoratore presti la sua opera con continuità, essendo il discrimen costituito dal fatto che il mutamento del titolare deve lasciare inalterata la struttura e l’unicità organica del complesso aziendale, sì che i beni trasferiti – a prescindere dalle Integrazioni apportate dal nuovo titolare, pure compatibili col trasferimento – siano tali da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa (Cass. n. 7743 del 2000).
L’infondatezza del primo motivo di doglianza implica l’assorbimento del secondo e del terzo, che logicamente presuppongono una valida Introduzione in giudizio della questione del trasferimento d’azienda, che viceversa, nel caso di specie, non v’è stata.
Il ricorso, pertanto, va rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono inoltre i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 3.500,00 per compensi ed € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
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