CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 9448 del 8 marzo 2016
DICHIARAZIONE FRAUDOLENTA TRAMITE FATTURE FALSE – IMPRENDITORE – MOTIVAZIONE DIFETTIVA DEL GIUDICE – PENALE RESPONSABILITA’ – NON SUSSISTE
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 ottobre 2014, la Corte di appello di Potenza ha sostanzialmente confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Matera, Sezione distaccata di Pisticci, aveva dichiarato la penale responsabilita’, condannandoli, pertanto, alla pena ritenuta di giustizia, di M.M.N., nella qualita’ di legale rappresentante della Ambientare di M.M. e C. Sas, e di M.P.C., nella qualita’ di legale rappresentante della societa’ Ambientare Srl, in ordine, rispettivamente, al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, commi 1 e 3, e al reato di cui all’art. 8, commi 1 e 3, del medesimo D.Lgs., per avere, il primo, indicato nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni 2005, 2006 e 2007, elementi passivi fittizi, documentati con n. 3 fatture di favore, relative ad operazioni inesistenti, emesse dalla seconda nella predetta qualita’; il tutto per il complessivo importo imponibile di circa 16.900,00; nel riformare la sentenza del giudice di prime cure la Corte territoriale aveva esclusivamente rilevato che in relazione al primo degli episodi di emissioni di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla M., il relativo reato si era prescritto.
Essa aveva, pertanto, provveduto a prosciogliere M.P. C. relativamente al detto reato ed alla rideterminazione della pena in suo favore.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione sia l’uno che l’altra imputata, assistiti dal medesimo difensore.
Quanto alla impugnazione di M.P.C., questa era articolata sulla base di tre motivi; con primo ed il terzo di essi la sentenza della Corte territoriale era censurata in quanto da una parte, nella contestazione a lei mossa non era indicato il particolare fine di consentire a terzi la evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sicche’ la condanna era viziata per la violazione del principio della correlazione fra la contestazione e l’accertamento del fatto; la ricorrente aveva, altresi’, rilevato che tale fine, il quale costituisce l’elemento caratterizzante il dolo specifico richiesto per la commissione del reato de quo, non era stato oggetto di prova di fronte al Tribunale ne’ la Corte di appello aveva motivato sulla specifica censura svolta sul punto in sede di gravame.
Col secondo motivo di impugnazione era dedotta la carenza di motivazione in ordine alla stessa sussistenza del reato cointestato alla M.; essa, infatti, sarebbe stata fatta discendere dalla Corte territoriale solo in funzione della presenza di indizi equivoci e non concordanti ed in assenza di qualsivoglia riscontro obbiettivo, essendo l’intera indagine stata svolta solo con riferimento alla documentazione rinvenuta presso la sede della Ambientare Sas e non presso la sede della societa’ emittente le fatture ritenute relative ad operazioni inesistenti.
M.M.N., a sua volta, aveva dedotto il vizio della motivazione della sentenza impugnata in ordine a specifici punti che avevano formato oggetto della sua impugnazione; in particolare egli aveva contestato la mancata prova della inesistenza delle operazioni di cui alle fatture elencate nel capo di imputazione; la mancata prova del loro inserimento nelle dichiarazioni dei redditi presentate dal ricorrente; la mancata valutazione delle prove a discarico; l’erroneita’ della mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
Tali rilievi non avevano trovato una risposta nella motivazione della sentenza emessa dal giudice di appello che, per tale motivo, doveva essere annullata.
Col secondo motivo il ricorrente aveva dedotto la mancanza di motivazione della sentenza impugnata o la sua manifesta illogicita’ nella parte in cui il M. non era stato assolto dalla imputazione mossagli per insussistenza dell’elemento oggettivo del reato; in sostanza il M. aveva rilevato che non era stata raggiunta la prova, stante la verifica meramente cartolare eseguita, della inesistenza della operazioni il cui importo era stato portato a passivo del reddito di impresa.
Infine il ricorrente deduceva la violazione dell’art. 163 cod. pen. o comunque la mancanza di motivazione in relazione alla mancata concessione in suo favore del beneficio della sospensione condizionale della pena, osservando che la stessa era stata negata dal giudice di appello sulla base della presenza di precedenti penali che, vuoi per essere relativi a reati colposi ovvero a fattispecie penali depenalizzate, non potevano essere ritenute indicative di una prognosi sfavorevole sul futuro comportamento del prevenuto.
Nel corso della discussione orale svoltasi di fronte al questo Collegio il difensore dei ricorrenti segnalava altresi’ la possibilita’ di dichiarare i fatti loro ascritti non punibili, stante la loro particolare tenuita’, ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen..
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, risultato fondato, e’, pertanto, meritevole di accoglimento. Osserva, infatti, la Corte che la motivazione sulla base della quale la Corte territoriale ha respinto l’appello dei ricorrente e’ ampiamente difettiva. Essa si fonda su tre elementi indiziari, onde arguire la fittizieta’ delle fatture emessa dalla impresa della quale era legale rappresentante la ricorrente M. P.C., che appaiono privi della valenza dimostrativa necessaria ai fini della affermazione della penale responsabilita’ dei prevenuti.
Sostanzialmente la Corte territoriale fa derivare l’affermazione della penale responsabilita’ sia di M.P.C. sia di M.M.N., rispettivamente legali rappresentanti di Ambientare Sas e di Ambientare Srl, dai seguenti elementi indizianti ritenuti dotati dei requisiti della gravita’, precisione concordanza e costituiti dal fatto che: a) il contratto di prestazione di servizi fra le due Societa’ concerneva l’anno 2005, mentre due delle tre fatture sono relative ad operazioni compiute negli anni 2006 e 2007; b) non risulta che Ambientare Srl abbia effettuato, come invece sarebbe stato previsto, la rendicontazione mensile delle proprie prestazioni ne’ dalla contabilita’ di Ambientare Sas risultano tracce di affari conclusi; c) le parti, invitate a chiarire la loro posizione di fronte alla Pg non hanno fornito alcun utile contributo.
Siffatti argomenti non paiono presentare le caratteristiche tale da consentire, sulla base del mero indizio, la affermazione della penale responsabilita’.
Premesso, infatti, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, come di seguito limpidamente sintetizzata, gli indizi devono corrispondere a dati di fatto certi – e, pertanto, non consistenti in mere ipotesi, congetture o giudizi di verosimiglianza – e devono, ex art. 192 c.p.p., comma 2, essere gravi – cioe’ in grado di esprimere elevata probabilita’ di derivazione dal fatto noto di quello ignoto – precisi – cioe’ non equivoci – e concordanti, cioe’ convergenti verso l’identico risultato e che tutti gli elencati requisiti devono rivestire il carattere della concorrenza, nel senso che in mancanza anche di uno solo di essi gli indizi non possono assurgere al rango di prova idonea a fondare la responsabilita’ penale, ed ancora che il procedimento della loro valutazione si articola in due distinti momenti: il primo diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravita’ e di precisione di ciascuno di essi, isolatamente considerato, il secondo costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguita’ (Corte di cassazione, Sezione 5 penale, 30 gennaio 2014, n. 4663), rileva il Collegio, chiamato a verificare l’esatta applicazione sia dei criteri legali dettati dall’art. 192 c.p.p., comma 2, sia delle regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori, che, nel caso di specie, i ricordati requisiti, necessari ai fini della assunzione a livello di prova della penale responsabilita’ dell’indizio, cioe’ dell’elemento di fatto certo da cui desumere, con un criterio basato essenzialmente sulle massime di esperienza, un ulteriore fatto, non risultano ricorrere.
In tal senso questa Corte – cui compete la possibilita’ di sottoporre a verifica se la decisione impugnata abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di controllo empirico, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilita’ (Corte di cassazione, Sezione 1 penale, 30 aprile 2014, n. 18118) – segnala la insufficienza dimostrativa del fatto che il contratto di agenzia concluso fra la Ambientare Sas e la Ambientare Srl documenti la vigenza del rapporto solo per l’anno 2005; invero, in disparte il fatto che la contestazione mossa ai due imputati, ed oggetto di proscioglimento per intervenuta prescrizione solo per cio’ che attiene alla posizione della M.P.C., concerne anche l’emissione di una fattura relativa all’anno di imposta 2005, periodo in cui vi e’ l’oggettivita’ della esistenza di un rapporto contrattuale per la prestazione di un servizio da parte dell’una impresa in favore dell’altra, la Corte di Potenza ha, in maniera quanto meno sbrigativa, neppure valutato la possibilita’ che il rapporto de quo possa essersi tacitamente rinnovato, in considerazione degli evidenti elementi di cointeressenza che legavano le due societa’, operanti nello stesso campo e verosimilmente gestite da soggetti legati da stretti vincoli parentali, alla sua prima scadenza anche per gli anni successivi.
Parimenti non dotato del requisito della gravita’ e precisione indiziaria e’ il fatto che la Ambientare Srl non abbia minutamente rendicontato la propria attivita’, potendo logicamente tale omissione essere ascritta proprio alle esistenza dei ricordati vincoli che potrebbero avere giustificato una piu’ informale gestione dei reciproci rapporti, il che vale anche in relazione alla mancata documentazione dal parte di Ambientare Sas degli affari conclusi tramite l’altra societa’.
Rileva, infatti, la Corte che il giudice territoriale non ha evidenziato l’esistenza di alcun elemento a carico delle due societa’ implicate nella presente vicenda, quale la assenza di struttura aziendale ovvero la mancanza di attivita’ imprenditoriale od ancora la assenza di una qualche reale utilita’ per l’una delle prestazioni apparentemente offerte dall’altra, che sono i tipici indici sintomatici della fittizieta’ delle operazioni documentate dalle fatture di favore emesse da una societa’ in favore dell’altra e della natura meramente “cartolare” e non reale della attivita’ svolta dalla societa’ emittente.
Del tutto privo di valore indiziario e’, infine, la circostanza che i prevenuti non abbiano essi spiegato il contenuto delle attivita’ commerciali sottese alle fatture ipoteticamente connesse ad operazioni inesistenti, posto che attribuire natura indiziante a detto comportamento, indipendentemente dall’esistenza da altri validi elementi di giudizio a loro carico, porterebbe ad un’inammissibile inversione dell’onere della prova, di tal che dovrebbe essere l’imputato a fornire la prova della causalita’ delle documentazioni emesse e non la pubblica accusa a addurre gli elementi, convincenti, idonei a dimostrarne la fittizieta’.
Sulla base di quanto illustrato la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio alla Corte di appello di Salerno, stante la unicita’ della Sezione penale della Corte di appello di Potenza, che, attenendosi ai principi esposti, riesaminera’ la fondatezza o meno della impugnazione proposta dagli attuali ricorrenti avverso la sentenza emessa a loro carico dal Tribunale di Matera, sezione distaccata di Pisticci.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Salerno.
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