CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 9484 del 12 aprile 2017
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza depositata in data 29/6/2011 la C.T.R. della Calabria, in accoglimento dell’appello proposto dalla contribuente S. S.r.l., ha annullato l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva provveduto a rettificare il reddito imponibile a fini Ires, Iva e Irap per l’anno d’imposta 2004, sulla base degli studi di settore di cui all’art. 62-bis d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427. I giudici d’appello hanno rilevato in motivazione che «l’ufficio ha respinto tutte le osservazioni del[la] contribuente senza procedere a una verifica contabile che si rendeva necessaria per la resistenza del[la] contribuente e per la segnalazione, tra l’altro, della risoluzione del mandato Opel [… la quale …] costituiva un indizio di cattiva gestione economica che andava approfondita e contrastata con dati contabili e prove certe e attendibili». Hanno pertanto ritenuto censurabile anche la motivazione della sentenza di primo grado, «per non aver adeguatamente valutato le deduzioni del[la] contribuente e le risultanze delle motivazioni, prodotte dall’ufficio, nell’atto impugnato».
2. Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, con unico mezzo, cui resiste la società contribuente depositando controricorso e proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi.La società ha altresì depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 62-sexies d.l. n. 331 del 1993 e della legge 8 maggio 1998, n. 146, nonché dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., denunciando altresì insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.. Lamenta che la C.T.R. ha negato valenza indiziaria allo studio di settore senza prendere in adeguata considerazione i dati offerti dall’Ufficio, riportati nel verbale di contraddittorio e attestanti una gestione antieconomica dell’impresa sfornita di comprovata giustificazione; tali in particolare: l’andamento dei ricavi nel quinquennio 2002/2006, congruo solo nell’anno 2005 con reddito tuttavia sempre negativo, a fronte dei costi, tra cui quelli per lavoro dipendente, cresciuti nel 2004 (oggetto di accertamento) rispetto al 2003 ed a fronte altresì dell’erogazione di finanziamenti da parte dei due soci per C 2.509.164,66. La sentenza impugnata incorre, secondo la ricorrente, nel denunciato vizio motivazionale anche laddove postula un onere dell’ufficio di svolgere ulteriori «indagini e ripensamenti» a fronte della segnalazione da parte della contribuente di non meglio precisati «ulteriori elementi» e inoltre per aver attribuito rilievo alla risoluzione del mandato Opel, omettendo di considerare che proprio in quell’anno le retribuzioni del personale dipendente risultavano cresciute rispetto al precedente.
2. Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato la società denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e delle norme sul giusto processo, in relazione all’art. 360, comma primo, num. 4, 3 cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sulla eccezione — preliminarmente opposta già nel ricorso introduttivo e iterata come motivo di gravame — di inapplicabilità della disciplina degli studi di settore, trattandosi di impresa in contabilità ordinaria, in difetto della condizione in tal caso prevista della inattendibilità della contabilità sulla base dei criteri stabiliti dall’art. 1 d.P.R. 16 settembre 1996, n. 570: condizione che — sostiene la contribuente — venuta meno dal 1 gennaio 2004 per effetto della novella di cui all’art. 1, comma 409, lett. a), legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), avrebbe comunque dovuto considerarsi necessaria onde estendere l’esame della congruità dei ricavi ai due anni precedenti, siccome richiesto dalla nuova norma (in virtù della quale anche nei confronti degli esercenti attività d’impresa in regime di contabilità ordinaria può procedersi all’accertamento basato sugli studi di settore «quando in almeno due periodi d’imposta su tre consecutivi considerati, compreso quello da accertare, l’ammontare … dei ricavi determinabili sulla base degli studi di settore risulta superiore all’ammontare dei … ricavi dichiarati con riferimento agli stessi periodi di imposta»).
3. Con il secondo motivo di ricorso incidentale condizionato la società denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e delle norme sul giusto processo, in relazione all’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sulla eccezione – anch’essa preliminarmente opposta già nel ricorso introduttivo e iterata come motivo di gravame – di inapplicabilità della disciplina degli studi di settore per mancanza della condizione (prevista dall’art. 10, comma 4, legge n. 146 del 1998) dello svolgimento di un’attività normale del 2004, essendo stata in quell’anno la società costretta a vendere beni strumentali per un valore di C 663.000, pari a più del doppio dei ricavi derivanti dall’attività normale di vendita di veicoli.
4. Sono fondate le censure, congiuntamente esaminabili, poste a fondamento del ricorso principale. Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.
In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (Cass. Sez. U. 18/12/2009, n. 26635). Nel caso di specie la Commissione regionale, pur dichiaratamente muovendo da tale principio, omette di illustrare (così incorrendo nel denunciato vizio di motivazione) il percorso logico posto a fondamento dell’espresso convincimento della inadeguatezza della motivazione dell’atto impositivo, mancando in particolare di illustrare quali sono – oltre alla risoluzione del mandato Opel – gli «altri elementi» che avrebbero dovuto «indurre l’Ufficio a ulteriori indagini e ripensamenti» e, al contempo, mancando di esprimere alcuna compiuta valutazione circa i rilievi che, a fronte di tali elementi, svolge l’Ufficio nell’atto impositivo (rilievi specificamente indicati in ricorso con pieno assolvimento dell’onere di autosufficienza).
La C.T.R., inoltre, limitandosi a esprimere un giudizio — peraltro come detto meramente assertivo e apodittico — di inadeguatezza della valutazione data dall’ufficio alle giustificazioni offerte dalla parte, omette a sua volta di operare alcuna specifica valutazione della fondatezza e conducenza di quelle giustificazioni, così venendo meno a un compito che le deriva sia in generale dall’essere il giudice tributario, come noto, non soltanto giudice dell’impugnazione dell’atto ma anche giudice del rapporto, sia dallo stesso principio sopra richiamato. Questo infatti, ponendo a fondamento dell’accertamento standardizzato sulla base degli studi di settore lo svolgimento del contraddittorio, giustifica la formazione di un sistema di presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati, ma, appunto, dalla valutazione delle controdeduzioni del contribuente cui essi sono applicati; valutazione dalla quale non può, quindi, esimersi il giudice tributario, altrimenti incorrendo anche nella denunciata violazione di legge.
5. In accoglimento delle esposte censure la sentenza impugnata va pertanto cassata. La causa deve conseguentemente essere rinviata al giudice a quo, il quale provvederà anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
6. Va invece dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, ancorché condizionato, in quanto riguardante questioni assorbite dalla pronuncia favorevole resa nel giudizio di merito, che la parte vittoriosa potrà e dovrà riproporre nel giudizio di rinvio. Costituisce in tal senso jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui «è inammissibile il ricorso incidentale per cassazione, anche se condizionato, con il quale la parte vittoriosa sollevi una questione che non sia stata sfavorevolmente decisa dal giudice del merito, ma solo risulti assorbita dall’accoglimento di altra tesi, perché in questa situazione manca il presupposto della soccombenza, sia pure teorica, e tale questione potrà essere riproposta davanti al giudice di rinvio, qualora la sentenza impugnata venga cassata» (v. Cass. 15/01/2016, n. 574; 03/12/1988, n. 6572; Cass. 09/02/1982, n. 767; Cass. 07/04/1981, n. 1980). Principio questo rispetto al quale nessuna incidenza potrà avere la soluzione che sarà data dalle Sezioni Unite alla questione — menzionata dalla difesa della società contribuente nelle memoria — ad essa rimessa con ordinanze interlocutorie della Seconda Sezione n. 4058 del 01/03/2016 e della Quinta Sezione n. n. 21808 del 28/10/2016, «se a fronte non già del semplice assorbimento o della mancata disamina, ma dell’espresso rigetto di un’eccezione della parte, la parte, risultata per il resto totalmente vittoriosa, sia interessata ad una nuova disamina da parte del giudice di appello, debba proporre appello incidentale ovvero possa limitarsi alla mera riproposizione della questione ex art. 346 c.p.c.». Trattasi invero di questione diversa e non interferente, postulandosi in essa l’espressa disamina e il rigetto della eccezione che si intende sottoporre all’esame del giudice superiore e ponendosi il dubbio (in relazione al disposto dell’art. 346 cod. proc. civ. e dell’omologo art. 56 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) circa la necessità di espressa impugnazione perché la stessa sia esaminata dal giudice superiore, laddove, nel caso in esame, quella che si ripropone è eccezione non esaminata né comunque decisa sfavorevolmente nel giudizio a quo e la sua affermata inammissibilità nel giudizio di impugnazione non è legata al mezzo con il quale è in esso prospettata ma alla mancanza del presupposto della soccombenza e alla necessità che sulla questione, in ragione dell’accoglimento del contrapposto ricorso, si esprima il giudice a quo.
P.Q.M.
accoglie il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Calabria in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità
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