CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 9494 del 10 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – MALATTIA PROFESSIONALE – REVOCA DELLA RENDITA PER MALATTIA PROFESSIONALE – PRESCRIZIONE
FATTO E DIRITTO
1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto:
“La Corte di appello, giudice del lavoro, di Palermo, con sentenza n. 1048/2013 del 6 maggio 2013, decidendo sull’impugnazione proposta da F.G. nei confronti dell’I.N.A.I.L., confermava la decisione del Tribunale di Palermo che aveva respinto la richiesta, avanzata dal F. con ricorso depositato in data 26/8/2010, intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del provvedimento con cui in data 3/3/1998 l’Istituto, all’esito della visita di revisione, aveva revocato la rendita per malattia professionale di cui l’appellante godeva in virtù della sentenza n. 2680/1993 del 4/11/1993 resa nel giudizio instaurato dal F. nei confronti delle Ferrovie dello Stato S.p.A. (cui poi, ai sensi della L. n. 515 del 1995, era poi subentrato l’I.N.A.I.L. nelle funzioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali). Prima del suddetto giudizio instaurato innanzi al Tribunale di Palermo, il F. aveva proposto ricorso per Cassazione avverso il provvedimento di revoca della rendita del 3/3/1998. Questa Corte, con sentenza n. 9012 del 15/3/2001, aveva dichiarato lo stesso inammissibile (non essendo consentito il ricorso per cassazione avverso un atto amministrativo definitivo).
Successivamente l’I.N.A.I.L. aveva proposto opposizione avverso l’atto di precetto notificatogli in data 31/7/2001 con il quale il F. gli aveva intimato il pagamento della somma di lire 12.958.450 asseritamente dovutagli in forza della medesima sentenza n. 2680/1993. Sempre il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 1642/2003 del 5 giugno 2003, aveva annullato il precetto opposto e la decisione era stata confermata dalla Corte di appello di Palermo con pronuncia n. 569/2006 del 30/3-11/5/2006. Il ricorso per Cassazione proposto dal F. avverso tale decisione era stato, quindi, dichiarato inammissibile da questa Corte (Cass. n. 10972 del 2010) per essere stata la relativa notifica effettuata all’I.N.A.I.L. in data 14/15 settembre 2006 e, quindi, oltre il termine di cui all’art. 325 c.p.c..
Nella sentenza qui impugnata, riteneva la Corte territoriale, come già il Tribunale, che fosse decorso il termine di prescrizione triennale per l’impugnazione del provvedimento di revoca e ciò anche considerando quale atto interruttivo la notifica del ricorso per cassazione (relativo all’impugnazione del provvedimento del 3/3/1998). In ogni caso rilevava l’inammissibilità delle censure relative all’asserita violazione delle norme regolanti la rettifica per errore da parte dell’Istituto evidenziando che si trattava di un rilievo mai prospettato in primo grado e che comunque nella specie si era trattato di una revoca per insussistenza dei presupposti invalidanti non di una rettifica della misura o del contenuto della provvidenza economica in questione.
Per la cassazione di tale sentenza F.G. propone ricorso affidato a plurimi motivi.
Resiste con controricorso l’I.N.A.I.L..
Con i motivi di ricorso il ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 137, dell’art. 104 del medesimo T.U., dell’art. 112 c.p.c., della decisione della Corte costituzionale n. 191/2005, del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 55 e del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 9. Si duole della mancata considerazione a fini della interruzione del termine di prescrizione di un “certificato medico con raccomandata” presentato all’I.N.A.I.L. “entro il predetto termine” oltre che di altri atti non meglio precisati. Lamenta, inoltre, l’illegittimità della visita di revisione effettuata dalla medicina del lavoro e contesta il giudizio di insussistenza del nesso causale laddove datore di lavoro F.S. aveva riconosciuto l’ascrivibilità delle patologie da cui il F. era risultato affetto alla causa di servizio.
Il ricorso è manifestamente infondato.
Vanno innanzitutto rilevati profili di inammissibilità per carenza di autosufficienza laddove il ricorrente incentra le doglianze su atti (così quelli asseritamente integranti interruzioni della prescrizione) che non solo non risultano riprodotti nel loro contenuto essenziale nè sono allegati al ricorso per cassazione ma in relazione ai quali neppure è indicato quando siano stati sottoposti alla valutazione dei giudici di merito.
Per il resto si osserva che tutti i rilievi del ricorrente riguardanti, da un lato, la pretesa illegittimità della visita di revisione svolta, a suo dire, da un organo diverso da quello previsto dall’art. 137 del D.P.R. e, dall’altro, il giudizio finale fatto proprio dall’Istituto restano irrilevanti in considerazione del maturato termine prescrizionale.
Del resto la Corte territoriale ha preso in esame, al fine della prospettata interruzione della prescrizione, non solo la notifica del ricorso per cassazione effettuata all’Istituto in data 20/4/1999 ma anche la successiva comunicazione della pronuncia di inammissibilità del 3/7/2001 e ritenuto che comunque, al momento del deposito in cancelleria del ricorso per cui è causa (26/8/2010), il termine triennale di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112, fosse abbondantemente trascorso.
Del tutto improprio risulta, poi, il richiamo al D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 9 (ed alla pronuncia della Consulta n. 115 del 2005 che su tale norma è intervenuta), che ha disciplinato la cd. rettifica per errore, prevedendo che le prestazioni a qualunque titolo erogate dall’istituto assicuratore possono essere rettificate dallo stesso istituto in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione delle prestazioni e che, salvo i casi di dolo o colpa grave dell’interessato e accertati giudizialmente, l’istituto assicuratore può esercitare la facoltà di rettifica entro dieci anni dalla data di comunicazione dell’originario provvedimento errato. Nella specie, infatti, tale ius superveniens non è applicabile ragione temporis.
Come si evince, del resto, dagli atti, l’I.N.A.I.L. ha fatto ricorso al diverso istituto della revisione per miglioramento (“recupero della capacità lavorativa”), che si fonda su un differente presupposto e cioè, appunto, l’intervenuto miglioramento dei postumi conseguenti alla malattia dell’assicurato tale da abbassare la percentuale di inabilità al di sotto della soglia dell’indennizzabilità.
Senza dire, poi, che non risulta neppure censurato, con l’opposizione di dati fattuali contrari, il passaggio motivazionale con il quale la Corte di appello ha ritenuto l’inammissibilità delle censure relative all’asserita violazione delle norme regolanti la rettifica per errore da parte dell’Istituto trattandosi di un rilievo mai prospettato in primo grado.
Non vi è dubbio che, a seguito di conferma, in sede di visita collegiale conseguente ad opposizione dell’assicurato (ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 104) del provvedimento di riduzione della rendita da infortunio sul lavoro adottato dall’I.N.A.I.L. per modificazione migliorativa delle condizioni fisiche del titolare della rendita stessa accertata con procedimento di revisione, si applichi la prescrizione triennale del diritto dell’assicurato ad ottenere una rendita non inferiore a quella precedentemente riconosciutagli ed in concreto erogatagli con decorrenza, ai sensi del combinato disposto degli artt. 83 e 104 del T.U. citato, dal momento della comunicazione dell’esito della visita di revisione. E’ da tale momento, infatti, che l’interessato il quale non accetti la riduzione definitivamente confermata o al quale comunque la risposta dell’Istituto non sembri soddisfacente (ai sensi dell’art. 104 menzionato, comma 2) può convenire quest’ultimo avanti l’Autorità giudiziaria (si vedano in tal senso Cass. 2 dicembre 1998, n. 12228;
Cass. 3 gennaio 1986, n. 12228).
Nè invero la previsione del suddetto termine si espone a dubbi di costituzionalità afferenti alla violazione dei precetti fissati negli artt. 3, 36 e 38 Cost., in tema di tutela delle condizioni di vita dei cittadini e dei lavoratori, del diritto di eguaglianza e per disparità di trattamento, che deriverebbe dalla rigida applicazione dello stesso per gli invalidi del lavoro, rispetto agli invalidi per cause extralavorative, nei cui confronti i diritti alle prestazioni previdenziali non sono assoggettati a prescrizione. In subiecta materia già si sono pronunciate la Consulta, con sentenza n. 297/1999, e questa Suprema Corte, con la sentenza n. 10907 del 17 agosto 2000, le quali, nel ritenere infondate dette eccezioni, hanno evidenziato che la previsione, di cui al ripetuto art. 112, della prescrizione del diritto a conseguire le prestazioni per infortunio sul lavoro e malattie professionali in radice, e non solamente per i ratei pregressi, diversamente da quanto si verifica per il diritto a pensione, non soggetto a prescrizione, non suscita dubbi di illegittimità costituzionale in relazione alle richiamate norme (evidenziandosi che la tutela infortunistica e per le malattie professionali si ricollega ad eventi incerti, per la prevenzione o l’indennizzo dei quali esiste apposita legislazione, da verificarsi di volta in volta con specifica indagine, imponendosi accertamenti riferiti al caso concreto per i quali il decorso temporale provoca difficoltà sovente insuperabili nell’ambito probatorio, mentre esigenze di razionale tenuta dei conti dell’Istituto assicuratore conclamano una determinazione ed esecuzione degli obblighi risarcitoti in tempi ragionevolmente brevi).
In conclusione, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5″.
2 – Va preliminarmente dato atto che in calce alla memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, è stata conferita dal ricorrente F. G. procura speciale in favore del nuovo difensore Pietro Incandela in luogo dei precedenti difensori Carlo Falzetti e Simona Belletti, cancellati dall’Albo. Tale procura è da ritenersi valida per effetto del nuovo testo dell’art. 83 c.p.c., comma 3, quale risultante a seguito della modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 9, lett. a – che, per i giudizi instaurati, come nella specie, dopo l’entrata in vigore della novella, prevede (a differenza di quanto avveniva nella vigenza del testo anteriore alla modifica e secondo il quale nel giudizio di cassazione la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso), la possibilità di apporre la procura speciale nella memoria di nomina di nuovo difensore.
3 – Per il resto, questa Corte ritiene che le considerazioni e conclusioni svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia e non scalfite dalla memoria con la quale il ricorrente si limita a ripercorrere i fatti di causa e a ribadire quanto già evidenziato in ricorso in ordine al passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Palermo n. 2680/1993 che, alla luce delle osservazioni svolte nella relazione, non assume rilevanza dovendosi viepiù evidenziare, da un lato, che un accertamento coperto da giudicato non può costituire oggetto di una diversa valutazione solo qualora permangano immutati gli elementi di fatto e di diritto preesistenti (diversa essendo l’ipotesi della revisione per miglioramento) e, dall’altro, che ogni diversa determinazione si infrange, comunque, contro la maturata prescrizione triennale del diritto dell’assicurato ad ottenere una rendita non inferiore a quella precedentemente riconosciutagli.
Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.
4 – In conclusione il ricorso va rigettato.
5 – La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
6 – Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater, del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.
Essendo il ricorso in questione integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’I.N.A.I.L., delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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