CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 9534 depositata il 11 maggio 2016
TRIBUTI – FATTURE DI ACCONTO PER FUTURE FORNITURE DI MERCI – MANCATA CONSEGNA DELLE MERCI – EMISSIONE NOTE DI CREDITO A STORNO FATTURE DI ACCONTO – LEGITTIMITA’
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
P.L.S. s.r.l. propose ricorso avverso avviso di accertamento, nei suoi confronti emesso dall’Agenzia delle entrate, per Irpeg, Iva ed Irap relative all’annualità 2000.
Sul presupposto che, il 30.12.1999, la società intimata aveva emesso nei confronti della collegata P. s.p.a. fattura di acconto (n. 25) concernente forniture da effettuarsi nell’anno 2000, recante un imponibile di circa I. 5.000.000,000 miliardi ed un’iva di circa I. 1.000.000.000, e quindi, a parziale storno della fattura, nota di credito (n. 1), di circa I. 3.000.000.000, l’avviso si fondava sul convincimento che la fattura, essendo basata su negozio simulato, concernesse operazioni inesistenti, e che l’attività sopra descritta fosse stata posta in essere dalla s.r.l. al solo scopo di agevolare la s.p.a., consentendole, in particolare, di abbattere, tramite detrazione relativa a costo fittizio, debito iva di oltre un miliardo di lire e risultare, nel contempo, creditrice d’imposta per importo pressoché corrispondente.
L’adita commissione provinciale respinse il ricorso, con decisione che, in esito all’appello della società contribuente, fu, tuttavia, riformata dalla commissione regionale, che annullò l’accertamento.
Avverso la decisione di appello, l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione in quattro motivi.
La società contribuente ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La sentenza si fonda sul rilievo che le risultanze processuali comprovano l’effettività delle operazioni attestate dalla fattura in rassegna (al netto dello storno di cui alla successiva nota di credito). Vi si legge, infatti: “Non risulta provato che la (…) fattura 25 del 30.12.1999 sia volta a favorire la consorella s.p.a. P. nella liquidazione periodica dell’IVA. Risulta dalla documentazione prodotta che la fornitura delle merci richiamate nella fattura 25 – contestata dall’ufficio – è stata disposta regolarmente nel mese successivo alla emissione della stessa, già a decorrere dal 11.1.2000. Gli stessi verificatori poi riportavano e riconoscevano, nel verbale, avvenuta la consegna dei beni”.
Tale essendo il nucleo essenziale della decisione impugnata, con il primo motivo di ricorso l’Agenzia – denunziando violazione degli articoli 6, 21 e 73 d.p.r. 633/1972 – censura la decisione impugnata per non aver ritenuto “illegittima l’emissione di una fattura effettuata da una società controllata nei confronti di una controllante in base ad un contratto di fornitura non ancora eseguito, con riferimento al pagamento di un acconto di cui non sia stata fornita alcuna prova, con l’effetto di consentire alla controllante di operare una detrazione dell’IVA relativa che ha consentito di ridurre di un corrispondente importo gli obblighi periodici di versamento dell’imposta”.
2. – Con il secondo motivo, l’Agenzia denuncia motivazione contraddittoria, da parte della sentenza impugnata, nella parte in cui afferma la effettività dell’operazione sulla base del fatto che la fattura era da riferirsi ad una prestazione da effettuarsi l’anno successivo. Così opinando, secondo l’Agenzia, la decisione non tiene conto che la fattura era emessa per il pagamento di un acconto, di cui non v’era traccia effettiva. Né la sentenza considera il fatto che la s.r.l. ha poi emesso una nota di credito (la n. 1 del 2000), dimostrando dunque che la fattura non dovesse essere emessa sin dall’origine.
3. – Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 21 e 26 DPR n. 633 del 1972, nonché dell’art. 62 dello stesso DPR.
La sentenza impugnata infatti avrebbe ritenuto regolare la predetta nota di credito, emessa per neutralizzare la fattura in questione. Senza considerare che non poteva emettersi nota di credito in relazione ad una fattura comunque irregolare, ossia che l’emissione di una nota di credito presuppone che la fattura sia relativa ad un’operazione effettiva.
Non avrebbe inoltre tenuto conto la decisione di appello che la nota di credito formalmente era riferita all’insieme delle fatture emesse nel 2000, e dunque anche a quelle per operazioni effettivamente attuate, così che la nota di credito risulta comunque emesse illegittimamente. Infatti l’art. 62 DPR n. 633 del 1972 consente di emettere note di credito per rimediare a fatture cui non sia poi seguito il pagamento, ma non in relazione a fatture emesse a fronte di effettive prestazioni.
4. – Con il quarto motivo denuncia violazione degli articoli 57 e 62 DPR n. 546 del 1992.
La sentenza impugnata avrebbe ritenuto illegittimo l’accertamento relativamente ad Irpeg ed Irap perché l’emissione della nota di credito contestata non avrebbe influito sulla determinazione delle imposte.
Ritiene l’Agenzia che si tratta di una questione nuova, sollevata per la prima volta con l’atto di appello, e che nessuna censura simile era stata mossa con il ricorso introduttivo.
5. – I motivi di ricorso sono infondati.
Come eccepito dalla controricorrente, essi non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Risulta chiaro dal testo della sentenza che, secondo i giudici di appello, la fattura non era da ritenersi “falsa”, ossia relativa ad operazioni inesistenti.
La sentenza di appello ritiene accertato che la fornitura delle merci, cui si riferiva la fattura in questione (la n. 25), era stata disposta regolarmente nel mese successivo e che gli stessi verificatori davano atto, nel verbale, che i beni erano stati consegnati. Dunque, la ratio decidendi presuppone che la fattura fosse relativa ad operazioni effettivamente esistenti, mentre i motivi di ricorso presuppongono il contrario. L’Agenzia, in sostanza, assume una ratio decidendi diversa da quella che sorregge la sentenza.
Quest’ultima, sul presupposto che le operazioni sottostanti la fattura fossero reali ha ritenuto che ben potevano le società interessate effettuare una compensazione tra credito e debito.
Invece l’Agenzia intende che, secondo la decisione impugnata, tale compensazione poteva essere fatta pur in presenza di una fatturazione irregolare o falsa.
Il non avere contestato il punto della decisione impugnata che ritiene provata l’effettività dell’operazione fatturata, rende infondata la contestazione dei motivi basati su quell’accertamento.
6. – Ad ogni modo, e più specificatamente, il primo motivo è infondato in quanto attribuisce alla decisione impugnata una erronea interpretazione dell’art. 73 DPR 633/1972, proprio sul diverso presupposto della falsità delle operazioni.
In sostanza, non è vero, come assume la ricorrente, che la sentenza impugnata ha ritenuto che quella norma autorizza due società, di cui l’una controlla l’altra, a compensare debiti e crediti sorti sulla base di operazioni false.
Non è questo il senso che la decisione attribuisce alla norma.
La sentenza infatti muove dal presupposto in fatto che vi è prova della effettività della prestazione effettuata e ritiene che la norma autorizzi le società che abbiano legami sociali di controllo, ad effettuare quelle compensazioni se derivanti da operazioni effettive e non inesistenti.
6.1. – A parte, la violazione dell’art. 366 bis c.p.c., per difetto del quesito di diritto, infondato è altresì il motivo che riguarda la pretesa contraddittorietà della motivazione.
Secondo l’Agenzia la sentenza impugnata, da un lato, ritiene regolare la fattura, ma, nello stesso tempo, ritiene altresì regolare la nota di credito, che invece è rivolta a revocare proprio quella fattura, evidentemente sul presupposto che quest’ultima fosse irregolare.
In realtà, la sentenza impugnata non dice questo. Piuttosto ritiene, fatta sempre la premessa che la fatturazione è stata regolare, che alla nota di credito si applica non già l’art. 21, 7° comma, ma l’art. 26, ossia che non si versa in un caso di nota di credito che revoca una fattura falsa, ma di nota di credito che revoca una fattura regolare.
Dunque la motivazione parte sempre dalla premessa che le operazioni sottostanti la fattura sono state effettivamente provate.
7. – La ricorrente ritiene inoltre che la sentenza impugnata ha ritenuto regolare la nota di credito in violazione dell’art. 26, il quale non consente di emettere note di credito a revoca di una fattura emessa in assenza dei presupposti.
Inoltre la nota di credito sarebbe stata ritenuta legittima nonostante essa sembri rivolta a revocare non già la fattura n. 25, ma addirittura tutte quelle emesse nell’anno (2000), contro, anche questa volta, la regola per cui non si può emettere nota di credito in relazione a fatture doverosamente emesse a fronte di prestazioni effettive.
Secondo l’Agenzia, la società avrebbe revocato tutte le fatture del 2000 pur di poter revocare anche la n. 25.
In realtà, sul presupposto dell’effettività della prestazione, la sentenza impugnata si limita a dire che la nota di credito è regolare poiché l’art. 26 consente di regolarizzare operazioni in cui l’IVA è stata pagata in eccesso.
In tal senso l’art. 26 non è male interpretato, poiché consente di rettificare le inesattezze della fatturazione operate dal contribuente. E ciò sempre che le fatture siano regolari. La norma consente in sostanza di operare una rettifica delle fatture quando, avendo indicato o versato IVA in eccesso, per una fattura di acconto (come la n. 25) poi non versato, il contribuente abbia omesso di indicare nelle fatture successive il recupero di tale IVA.
L’art. 26 consente in questo caso di operare la rettifica dell’errore, sempre che, si ripete, la fatturazione sia regolare.
La tesi dell’Agenzia presuppone che la fattura rispetto a cui la società ha inteso operare rettifica, con nota di credito, era invece irregolare.
8. – L’ultimo motivo di ricorso, infine, assume un ampliamento tardivo del thema decidendi da parte della sentenza impugnata, la quale avrebbe posto la questione del ricalcolo di Irpeg ed Irap, nonostante si trattasse di aspetto introdotto per la prima volta in appello, e dunque tardivamente.
Risulta però dalla lettura dell’atto introduttivo che la ricorrente aveva chiesto di annullare l’accertamento non solo quanto all’IVA, ma altresì all’Irpeg ed all’Irap.
La questione dunque della contestazione di queste ultime due tasse era stata inizialmente posta, e non solo in appello.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in complessive 8 mila euro, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.
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