CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 9608 depositata il 11 maggio 2016
TRIBUTI – IVA – OPERAZIONI DI ACQUISTO DI MERCE SOGGETTIVAMENTE INESISTENTI – CEDENTI PRIVI DI ATTREZZATURE E PERSONALE ADEGUATI – DETRAIBILITA’ DELL’IMPOSTA – PROVA DI BUONA FEDE DEL CESSIONARIO – NON E’ SUFFICIENTE L’INCONSAPEVOLEZZA DELL’EVASIONE A MONTE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Centro Carni A. s.r.l. impugnò avviso di accertamento relativo all’IVA ed alle imposte dirette per l’anno d’imposta 2000, emesso sulla base di p.v.c. in cui si rilevavano una serie di operazioni di acquisto di merce soggettivamente inesistenti. La CTP rigettò il ricorso. L’appello della contribuente venne disatteso dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio sulla base della seguente motivazione, per quanto qui rileva.
La contribuente si è servita per gli acquisti dal cedente francese di due società cartiere, dapprima la società S.T.T., operante fino al giugno 1999, e quindi la società L.T., composta dalle medesime persone e priva di attrezzatture e dipendenti tali da poter commercializzare bestiame per valori di miliardi di lire. La ricorrente non avrebbe mai potuto portare in detrazione l’IVA, perché le operazioni rispondono alla disciplina di cui all’art. 40, comma 2, d. I. n. 331/1993 che prevede l’acquisto triangolare comunitario, e cioè la merce viene trasportata direttamente dal primo cedente al cessionario del secondo cedente.
Ha proposto ricorso per cassazione la contribuente sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 21, 26 e 54 d.p.r. n. 633/1972, 75 d.p.r. n. 917/1986, 4 ss. d. leg. n. 446/1997, 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3, 4 e 5 c.p.c. Osserva la ricorrente che la motivazione è viziata in quanto priva di cenni alla questione, posta nell’atto di appello, della mancanza di consapevolezza da parte della contribuente dell’attività svolta dalle società presunte cartiere. Lamenta che la sentenza, prima ancora che da vizio di motivazione, è viziata per omesso esame del motivo di appello e che, ipotizzando che la CTR abbia interpretato la disciplina nel senso dell’irrilevanza della mancanza di consapevolezza da parte del contribuente, la sentenza è affetta da error in iudicando, avendo il contribuente diritto a dedurre l’IVA pagata se inconsapevole della frode.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. L’inammissibilità ricorre con riferimento alla denuncia sia per vizio motivazionale che per error in procedendo per omessa pronuncia. In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. 23 settembre 2011, n. 19443). Ai fini dell’ammissibilità del ricorso è necessario che la formulazione del motivo permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. 6 maggio 2015, n. 9100). Con riferimento alla denuncia di vizio motivazionale e vizio processuale per omessa pronuncia si realizza nell’articolazione del motivo una mescolanza di censure che non consente il separato esame. Diversamente, per la denuncia di error in iudicando, può essere autonomamente identificata la censura.
Afferma la ricorrente che, stante l’assenza di consapevolezza in ordine alla ipotizzata frode carosello, doveva essere riconosciuto il diritto alla detrazione dell’IVA corrisposta. Nei termini in cui la censura è stata formulata, essa non risulta coerente ai principi affermati da questa Corte, sulla scorta di quanto risultante dalla giurisprudenza comunitaria. Ha affermato il giudice comunitario (Corte giust. 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e 142/11) che va negato il beneficio del diritto a detrazione dell’IVA ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo, al quale sono stati forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che tale operazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte. Così “qualora sussistano indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni, un operatore accorto potrebbe, secondo le circostanze del caso di specie, vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale prevede di acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità”. A questi principi si è attenuta questa Corte, affermando che, qualora l’amministrazione contesti ad un operatore il diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle operazioni oggetto dell’accertamento, è onere della medesima amministrazione provare, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva – per l’esistenza nella specie di indizi idonei ad avvalorare il sospetto in tal senso indicati dall’amministrazione – in un’evasione commessa dall’emittente delle fatture contestate o da un altro operatore intervenuta a monte nella catena di prestazioni (Cass. 20 dicembre 2012, n. 23560). E’ poi onere del contribuente dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti (Cass. 24 settembre 2014, n. 20059).
Fatto impeditivo del diritto alla detrazione dell’IVA non è dunque soltanto la consapevolezza dell’iscrizione dell’operazione, a fondamento del diritto a detrazione, in un’evasione a monte nella catena di prestazioni, ma anche il fatto che l’operatore, sulla base della diligenza esigibile dall’operatore accorto in relazione alle circostanze, avrebbe dovuto sapere dell’esistenza dell’evasione. La ricorrente, limitando la rilevanza della questione dello stato soggettivo alla mancanza di consapevolezza circa la collocazione dell’operazione all’interno di un meccanismo fraudolento, non coglie il principio di diritto di cui sopra. Non sufficiente è denunciare l’assenza di consapevolezza. Ciò che il contribuente deve denunciare è anche l’impossibilità di conseguire la detta consapevolezza.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 c.c. e 116 c.p.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente che con sentenza penale del Tribunale di Frosinone, non esaminata dalla CTR, il legale rappresentante della società era stato prosciolto dall’imputazione di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti e che la CTR non poteva esimersi dal valutare la portata del giudicato penale.
Il motivo è inammissibile. In violazione del principio di autosufficienza nel motivo si parla di giudicato penale ma non si indicano le circostanze che avrebbero consentito il passaggio in cosa giudicata della richiamata sentenza del Tribunale di Frosinone. In secondo luogo nell’articolazione del motivo viene stabilita una mescolanza dì vizio motivazionale e violazione di legge che non consente l’esame separato delle ragioni di censura, secondo quanto già evidenziato a proposito del primo motivo.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 d. I. n. 331/1993, in combinato disposto con gli artt. 8, 28 quater, sesta direttiva n. 77/388/CEE, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente che, conformemente a quanto statuito dalla Corte di giustizia, quando due cessioni successive relative agli stessi beni danno luogo ad un’unica spedizione intracomunitaria, la seconda cessione interna è assoggettata ad IVA e che, inoltre, la motivazione non indica le ragioni giuridiche per le quali l’IVA non sarebbe detraibile da parte della contribuente.
Il motivo è inammissibile. Con la memoria la ricorrente ha rinunciato al motivo. Ne consegue l’inammissibilità per cessazione della materia del contendere (Cass. 23 ottobre 2003, n. 15962).
Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 75 ss. d.p.r. n. 917/1986, 4 ss. d leg. n. 446/1997 e 2697 c.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente che la CTR non ha tenuto conto che, in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti, il contribuente può comunque invocare in detrazione dalla base imponibile i costi esposti nelle fatture e che il giudice tributario non ha motivato in ordine alle ragioni per le quali non fosse consentita tale detrazione.
Il motivo è inammissibile. Con il motivo la ricorrente solleva la questione della detraibilità dei costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti. In violazione del principio di autosufficienza la ricorrente non ha specificatamente dedotto se la questione sia stata sollevata con l’originario ricorso innanzi alla CTP. Nel processo tributario il thema decidendum è limitato alle contestazioni comprese nei motivi d’impugnazione dedotti con il ricorso introduttivo. Sempre in violazione del principio di autosufficienza la ricorrente non ha specificatamente indicato se i costi in questione fossero assistiti dai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (ai fini della deducibilità dei costi nel caso delle imposte dirette resta ferma la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità – Cass. 30 ottobre 2013, n. 24426). Quanto alla denuncia di vizio motivazionale in ordine alla questione di diritto essa è inammissibile potendo la censura ai sensi dell’art. 360 n. 5 essere elevata solo con riferimento a questioni di fatto.
P.Q.M.
Rigetta parzialmente il primo motivo e dichiara per il resto inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali che liquida in euro 5.130,00 per compenso, oltre le spese prenotate a debito.