CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 9725 depositata il 12 maggio 2016
TRIBUTI – ACCERTAMENTO – RADDOPPIO DEI TERMINI DI ACCERTAMENTO PREVISTO IN CASO DI REATI TRIBUTARI – EFFETTIVA FORMULAZIONE DELL’IMPUTAZIONE PENALE – IRRILEVANZA – SUFFICIENTE L’ASTRATTA CONFìGURABILITA’ DI UN’IPOTESI DI REATO.
IN FATTO
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della S. srl (che non resiste), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania Sez. Staccata di Salerno n. 7628/05/2014, depositata in data 2/09/2014, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento, per IRPEG, IRAP ed IVA dovute in relazione all’anno d’imposta 2003, a seguito di rettifica del reddito d’impresa e del volume d’affari, per effetto del disconoscimento, da parte dell’Ufficio, della deducibilità di costi, non inerenti o portati da fatture ritenute relative ad operazioni inesistenti, e della contestazione di omessa dichiarazione di ricavi, avviso notificato il “29/11/2010” – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della contribuente.
In particolare, i giudici d’appello, nell’accogliere il gravame della società, annullando l’atto impositivo per decorso del termine di decadenza, hanno sostenuto, in ordine all’eccezione preliminare, sollevata dalla contribuente, sin dal primo grado, di decadenza dell’Amministrazione finanziaria dall’azione di accertamento, ai sensi dell’art. 43 comma 3 DPR 600/1973, e del raddoppio dei termini in presenza di un reato tributario, che, nella specie, in difetto di produzione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di copia della denuncia penale e di documentazione in ordine alla pendenza del processo penale, essa Commissione si trovava impossibilitata a vagliare che non vi fosse stato utilizzo, da parte dell’Amministrazione, “‘pretestuoso delle disposizioni al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento”.
A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.
IN DIRITTO
1. L’Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 43, commi 1 e 3, DPR 600/1973, 57, commi 1 e 3, DPR 633/1972, avendo i giudici d’appello dato rilievo a circostanze ininfluenti, in base alle suddette disposizioni di legge, come interpretate dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 247/2011, conseguendo il raddoppio dei termini al mero riscontro, da parte del giudice, di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione o dall’inizio dell’azione penale. Con il secondo motivo, la stessa ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 n. 4 c.p.c., dell’art. 112 c.p.c., avendo i giudici della C.T.R. omesso di accertare (sulla base del processo verbale di constatazione prodotto in appello) la sussistenza di fatti comportanti l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. di uno dei reati tributari previsti dal d.lgs. 74/2000.
2. Le due censure, da trattare congiuntamente, in quanto connesse, sono fondate.
Invero, sussiste la denunciata violazione dell’art. 43 DPR 600/1973 e della disciplina sul raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento, in presenza di una notitia criminis di natura fiscale.
L’art. 37 d.l. 223/2006, al comma 24, ha modificato l’art. 43 d.p.r. 600/1973, in base alla previsione che “in caso di violatone che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti [cioè gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento] sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violatone”.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 247/2011, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità del combinato disposto dell’art. 57, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 37, comma 26, del d.l. n. 223 del 2006 (convertito nella legge n. 248 del 2006), nella parte in cui prevede il raddoppio dei termini di accertamento nel caso di violazioni comportanti obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, ha chiarito che: a) “il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale”; b) l’obbligo di denuncia “sorge anche ove sussistano cause di non punibilità impeditive della prosecuzione delle indagini penali ed il cui accertamento resti riservato all’autorità giudiziaria penale”; c) “la lettera della legge impedisce di interpretare le disposizioni denunciate nel senso che il raddoppio dei termini presuppone necessariamente un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato”; d) subordinare il raddoppio dei termini a un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato, “contrasterebbe anche con il vigente regime del cosiddetto «doppio binario» tra giudizio penale e procedimento e processo tributario, evidenziato dall’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000”; e) l’obbligo di denuncia opera quando si “sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare (escluse le cause di estinzione e di non punibilità, che possono essere valutate solo dall’autorità giudiziaria), non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita”; f) il pubblico ufficiale “non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia ma deve presentarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall’art. 361 cod. pen. per il caso dt omissione o ritardo nella denuncia”; g) sussiste “il dovere del Giudice tributario di vagliare autonomamente (o su richiesta del contribuente) la presenza de II’obbligo di denuncia».”
Applicando tali principi di diritto alla fattispecie in esame, risulta evidente che, ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertatrice, rileva l’astratta confìgurabilità di un’ipotesi di reato e non rileva né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di «doppio binario» tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (Cass. 9974/2015).
Come osservato da questa Corte (Cass. 9974, cit.), “i principi enunciati dall’art. 37, come interpretato dalla Corte costituzionale, sono quelli consolidati nella giurisprudenza di legittimità secondo cui, “perché sussista l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 361 c.p., è sufficiente che il pubblico ufficiale che vi è tenuto ravvisi nel fatto il fumus di reato “… il che significa che “presupposto del concretizzarsi dell’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria è l’esistenza di una notizia di reato che, pur non necessitando la certezza o anche il dubbio circa l’esistenza dello stesso, deve essere riconducibile ad una fattispecie illecita”, mentre “i giudizi di valore complementari al fatto tipico vale a dire antigiuridicità e dolo, competono invece in ma esclusiva all’autorità giudiziaria”.
Per impedire che il raddoppio sia adoperato in maniera distorta, ossia comunicando al P.M. notizie di reato manifestamente infondate, al solo fine di beneficiare del più ampio termine di decadenza, la Corte costituzionale devolve al giudice di merito il compito di vigilare sull’osservanza degli elementi minimi richiesti dall’art. 331 c.p.p. per l’insorgere dell’obbligo di denuncia e di negare l’applicazione del termine allungato in casi d’iniziative di denuncia palesemente pretestuose, se non addirittura calunniose (art. 368 c.p.c.), rivelatrici di un uso distorto dello strumento legale apprestato dall’art. 37.
Nella specie, i giudici d’appello, ritenendo non documentata l’effettività dell’inoltro della denuncia penale e dell’avvio dell’azione penale, circostanze queste non necessarie ai fini che qui interessano, hanno omesso di compiere l’accertamento, nel concreto, loro richiesto, delle condizioni legittimanti l’eventuale raddoppio dei termini di decadenza per l’azione accertatrice (che se sussistenti avrebbero comportato la tempestività dell’atto impositivo).
3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla C.T.R. Campania, in diversa composizione.
Il giudice del rinvio prowederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione.
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