CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 9788 depositata il 12 maggio 2016
FALLIMENTO – SOCIETÀ E CONSORZI – COOPERATIVA AVENTE AD OGGETTO ATTIVITÀ AGRICOLE – ESENZIONE DAL FALLIMENTO – VALUTAZIONE DEL GIUDICE – CONTENUTO – EFFETTIVITÀ DELLO SCOPO MUTUALISTICO – IRRILEVANZA
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 20 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.:
“Con sentenza in data 28 ottobre 2014, la Corte d’Appello di Bari ha accolto il reclamo proposto, L. Fall., ex art. 18, dalla soc. P. V. scarl in liq., contro la sentenza del Tribunale di Foggia, che aveva dichiarato il proprio fallimento su istanza del creditore procedente G. N.L. e G. srl.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso per cassazione la Curatela del Fallimento P. V. scarl in liq., con atto notificato il 27 novembre 2014, sulla base di tre motivi, con cui denuncia violazione e falsa applicazione di norme della L. Fall. (artt. 1 e 5) e del D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 1, comma 2, artt. 2135, 2511, 2512 e 2513 c.c. e art. 111-septies disp. att. c.c. creditrice istante (G. N. L. e G. srl) non ha svolto difese ma la societa’ debitrice ha resistito con controricorso. Il ricorso appare manifestamente fondato, giacche’, con riferimento alla problematica dell’esenzione dal fallimento della cd. impresa agricola:
a) con riguardo alla prima doglianza (violazione della L. Fall., art. 1 e D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 1, comma 2), risulta non considerato dal giudice di appello il tenore dello Statuto della societa’, cosi’ come prospettato dalla Curatela nel corso del giudizio di appello con riferimento alle clausole (richiamate e riprodotte nel ricorso per cassazione) legittimanti l’ingresso fra i soci della cooperativa anche di societa’, genericamente intese (e percio’ anche di societa’ non agricole), in violazione del principio di diritto, piu’ volte posto da questa Corte (da ultima, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 28015 del 2013), secondo cui “Le societa’ costituite nelle forme previrte dal codice civile ed aventi ad oggetto un’attivita’ commerciale sono assoggettabili a fallimento, indipendentemente dall’effettivo esercizio di una siffatta attivita’, in quanto esse acquistano la qualita’ di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall’inizio del concreto esercizio dell’attivita’ d’impresa, al contrario di quanto avviene per l’imprenditore commerciale individuale. Sicche’, mentre quest’ultimo e’ identificato dall’esercizio effettivo dell’attivita’, relativamente alle societa’ commerciali e’ lo statuto a compiere tale identificazione realizzandosi l’assunzione della qualita’ in un momento anteriore a quello in cui e’ possibile, per l’impresa non collettiva, stabilire che la persona fisica abbia scelto, tra i molteplici fini potenzialmente raggiungibili, quello connesso alla dimensione imprenditoriale.”;
b) con riguardo alle doglianze (violazione del D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 1, comma 2, artt. 2135, 2511, 2512 e 2513 c.c. e art. 111- septies disp. att. c.c.) riportate sotto il 2 motivo, con le quali ci si duole della erronea assimilazione del concetto di “prevalenza”, costituente la condizione per il riconoscimento della natura agricola delle attivita’ connesse, ai sensi dell’art. 2135 c.c., con il concetto di “mutualita’ prevalente”, proprio delle societa’ cooperative anche commerciali, considerato assorbente del primo, in quanto i due predicati vanno tenuti tra di loro nettamente distinti dovendosi fare applicazione del principio di diritto, secondo cui “Lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non e’ elemento essenziale per il riconoscimento della qualita’ di imprenditore commerciale, essendo individuabile l’attivita’ di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicita’ dell’attivita’ esercitata, intesa quale proporzionalita’ tra costi e ricavi (c.d. lucro oggettivo), requisito quest’ultimo che, non essendo inconciliabile con il fine mulualistico, ben essere presente anche in una societa’ cooperativa, pur quando essa operi solo nei confronti dei propri soci. Ne consegue che anche tale societa’ ove svolga attivita’ commerciale puo’, in caso di insolvenza, puo’ essere assoggettata a fallimento in applicazione dell’art. 2545-terdecies cod. civ.” (Sez. 1, Sentenza n. 6835 del 2014);
che, infatti, a tale proposito deve affermarsi il principio di diritto secondo cui: anche per le cooperative aventi ad oggetto le attivita’ agricole e’ dovere del giudice, oltre che quello della verifica delle clausole statutarie e del loro tenore, esaminare anche in concreto l’atteggiarsi dell’attivita’ d’impresa svolta dal sodalizio mutualistico esaminando le attivita’ economiche svolte, alla luce della disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 1 senza che su tale esame si sovrapponga la considerazione dell’effettivita’ dello scopo mutualistico, rilevante a diversi fini, ma non assorbente dell’esame dei presupposti di legge (art. 2135 c.c.) per il riconoscimento (o l’esclusione) della qualita’ di impresa agricola esentata dal fallimento (L. Fall., art. 1);
che tale accertamento non risulta essere stato compiuto correttamente dal giudice del reclamo avendo quest’ultimo sovrapposto due nozioni che, invece, vanno tenute tra di loro nettamente distinte, anche per le diverse finalita’ che le caratterizzano;
c) con riguardo alla doglianza esposta nel terzo motivo (L. Fall., art. 5) con la quale la curatela si duole dell’erronea affermata insussistenza dello stato d’insolvenza in costanza di liquidazione volontaria, sul presupposto che l’istanza di fallimento era stata depositata il 9 gennaio 2013 e la messa in liquidazione della societa’ era avvenuta il 13 dicembre 2013, il giudice del reclamo non ha preso in considerazione tale premessa temporale applicando non correttamente un principio di diritto (quello espresso, da ultimo, da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13644 del 2013) che suppone che il ricorso di fallimento sia proposto contro la societa’ in liquidazione e non gia’ che questa, dopo l’avvenuta notifica del ricorso per l’accertamento dell’insolvenza, si ponga volontariamente in liquidazione allo scopo di eludere gli effetti della sollecitata cognizione.
In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., n. 5″.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale non risultano essere state mosse osservazioni critiche;
che, percio’, il ricorso, manifestamente fondato, deve essere accolto, con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d’appello di Bari che, in diversa composizione, si atterra’ ai principi di diritto sopra richiamati.
P.Q.M.
LA CORTE
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione.
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