CORTE DI CASSAZIONE sez. penale sentenza n. 3890 del 27 gennaio 2016
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza della Corte di appello di Genova del 3 aprile 2014 è stata confermata la decisione del Tribunale di Genova del 7 marzo 2012 che aveva condannato Z. A., unificati reati con la continuazione e concesse le generiche, esclusa la recidiva, alla pena di anni uno oltre al pagamento delle spese processuali, e alle pene accessorie dell’art. 12 del d. Igs. 74 del 2000, per la durata di anni 3, e l’interdizione perpetua dall’ufficio di componente di Commissione tributaria; per i reati di cui agli art. 110, 81 cod. pen. e 5 d. Lgs. 74 del 200, capo A – anno di imposta 2005; art 110, 81 cod. pen. e 5 d. Lgs. 74 del 2000, capo B – anno di imposta 2006-.
2. L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, personalmente, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2. 1. Violazione dell’articolo 606, lettera B, cod. proc. pen. per erronea applicazione di norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, ovvero dell’articolo 2205 del codice civile, nonché violazione dell’articolo 606, lettera E, cod. proc. pen. per contraddittorietà ed illogicità della motivazione. Il Tribunale indicava il ricorrente quale responsabile dei reati perché titolare di una procura institoria conferitagli, con atto notarile dalla madre, titolare dell’impresa. L’ampiezza dei poteri conferiti al ricorrente venivano ritenuti elementi sufficienti per la condanna. La Corte di appello nella sentenza impugnata riteneva che la procura doveva considerarsi di carattere generale non speciale, diversamente da come pure riportato nei capi d’imputazione. L’affermazione della sentenza impugnata non è condivisibile perché attribuisce al mandato con rappresentanza, procura institoria, i effetti giuridici di diritto pubblico estranea all’Istituto attraverso una sostanziale equiparazione della figura giuridica del mandatario con rappresentanza e quella dell’amministratore di fatto. E’ come ritenere responsabile un professionista che ha ricevuto mandato per presentare delle pratiche agli uffici delle imposte, solo per questo, responsabile dei reati di cui al d. Lgs. 2000 numero 74.
2. 2. Violazione dell’articolo 606, lettera C, cod. proc. pen. per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, ovvero e segnatamente per violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e la sentenza, stabilito dall’articolo 521 e sanzionato con la nullità dall’articolo 522, cod. proc. pen. L’aver interloquito con gli ispettori, fornendo la documentazione richiesta, non può costituire un elemento indiziario per evocare la figura dell’amministratore di fatto, ma è semplicemente il compito dell’ institore previsto dall’articolo 2205 del codice civile.
Manca una contestazione nell’imputazione del concorso con il titolare onde consentire la piena sottoposizione alla dialettica processuale e ad un vero contraddittorio. Appare, quindi evidente la violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata la sentenza con conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’articolo 522 del codice di rito.
2. 3. Violazione dell’articolo 606, lettera B e lettera E, del codice di rito per erronea applicazione della legge penale, nonché carenza ed illogicità della motivazione relativamente alla conferma della quantificazione delle pene accessorie comminate in primo grado. Nel respingere motivo di appello concernente l’eccessività delle pene accessorie inflitte in costanza di carenza assoluta di motivazione i giudici di appello hanno motivato sui precedenti specifici per omesso versamento di ritenute previdenziali. Ci si trova di fronte a un evidente travisamento dei fatti processuali: i precedenti evocati dalla Corte di appello erano infatti coperti da riabilitazione come già rilevato dal giudice del Tribunale che aveva escluso la recidiva. Ne consegue che il presupposto è errato e quindi la motivazione è illogica e inesistente. Ha chiesto pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Risulta fondato il terzo motivo di ricorso; durata delle pene accessorie,’ inammissibili per manifesta infondatezza gli altri motivi di ricorso. Sono riconducibili al novero delle pene accessorie la cui durata non è espressamente determinata dalla legge penale quelle per le quali sia previsto un minimo e un massimo edittale ovvero uno soltanto dei suddetti limiti, con la conseguenza che la loro durata deve essere dal giudice uniformata, ai sensi dell’art. 37 cod. pen., a quella della pena principale inflitta. (Sez. U, n. 6240 del 27/11/2014 – dep. 12/02/2015, B, Rv. 26232801). Le pene accessorie previste dall’art. 12 del d. Igs. n. 74 del 2000 sono riconducibili al novero delle pene accessorie non espressamente determinate dalla legge, infatti è previsto un massimo ed un minimo edittale, con la conseguenza che, in tal caso, la pena accessoria va parametrata dal giudice a quella della pena principale inflitta. (In tal senso Sez. 5, n. 2925 del 03/12/2013 – dep. 22/01/2014, Monteleone, Rv. 25794001). Le pene accessorie quindi devono rideterminarsi ai sensi dell’art.37 del cod. pen. per la durata uguale alla pena principale irrogata, anni 1. La sentenza quindi sul punto deve annullarsi senza rinvio, potendo direttamente questa Corte provvedere alla determinazione della durata delle pene accessorie – art. 620, comma 1, lettera L, cod. proc. pen. -, nella misura di anni 1 ciascuna.
4. Gli altri due motivi concernono la ritenuta posizione del ricorrente quale amministratore di fatto e la mancanza nell’imputazione della contestazione del concorso con l’amministratore di diritto. La sentenza impugnata (e in doppia conforme la sentenza di primo grado) con motivazione adeguata ed immune da contraddittorietà e da manifeste illogicità individua nel ricorrente l’amministratore di fatto in relazione alla nomina quale procuratore generale della defunta madre amministratore di diritto: “si tratta di una procura institoria amplissima, che gli concedeva tutti i poteri dell’imprenditore, ivi espressamente compresi quelli di fare pratiche in via amministrativa presso le autorità governative, regionali … e fiscali e presentare ricorsi”. Del resto per la costante giurisprudenza di questa Corte “In tema di reati tributari, ai fini della attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore “di fatto” non occorre l’esercizio di “tutti” i poteri tipici dell’organo di gestione, ma è necessaria una significativa e continua attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale. (Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014 – dep. 27/05/2015, Berni e altri, Rv. 26400901; vedi anche Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013 – dep. 22/08/2013, Tarantino, Rv. 25653401; 3 sez. n. 47239 dep. Il 10/11/2016, non massimata).
5. Del tutto generico risulta il motivo dell’assenza di contestazione per l’amministratore di diritto in concorso con il ricorrente amministratore di fatto. Non risulta chiaro cosa lamenta il ricorrente: “Se non vi è dubbio infatti, che per consolidato orientamento del Giudice nomofilattico il ruolo di amministratore di fatto valga a qualificarlo come soggetto attivo del reato e, come tale, quale diretto destinatario dei precetti violati, dovendosi ravvisare nel formale titolare dell’impresa il concorrente del reato per non aver impedito l’evento, una tale caratterizzazione in termini di ruolo fattuale in capo al concludente avrebbe dovuto essergli espressamente contestata nei capi di imputazione (attestante la rilevante incidenza in termini di diversità del fatto contestato), onde consentirne la piena sottoposizione alla dialettica processuale e ad un vero contraddittorio”. L’imputazione è già in concorso con B. P. deceduta in primo grado, titolare della “ditta individuale Z L. di B. P.”, e il ricorrente è stato riconosciuto in sentenza amministratore di fatto della stessa ditta. Conseguentemente nessuna lesione del contraddittorio sussiste perché la contestazione è in concorso (art. 110 cod. pen.). L’indicazione della procura speciale del ricorrente, nell’imputazione, aggiunge un elemento, e quindi, anche per quest’aspetto, non sussiste violazione del contraddittorio. Anche questo motivo è pertanto manifestamente infondato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla durata delle pene accessorie temporanee, che determina in anni 1 ciascuna;
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 22/06/2016
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