CORTE DI CASSAZIONE sez. penale sentenza n. 4916 del 2 febbraio 2017
RITENUTO IN FATTO
1.1 Con sentenza del 22 ottobre 2015 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di quella città del 13 gennaio 2015 che aveva affermato la penale responsabilità di BARI Piergiuseppe in ordine al reato di cui all’art. 10 quater del D. Lg.vo 74/00 [reato commesso il 16 gennaio 2009], condannandolo, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di anno uno di reclusione oltre alle pene accessorie di legge, riduceva la pena principale a mesi otto di reclusione, confermando nel resto.
1.2 Avverso la detta sentenza propone ricorso l’imputato tramite il proprio difensore deducendo, con unico articolato motivo, inosservanza delle legge penale per avere la Corte territoriale omesso di ridurre la pena accessoria in misura corrispondente alla pena principale in violazione dell’art. 37 cod. pen. applicabile nella specie.
1.3 Con memoria difensiva tempestivamente depositata in data 29 giugno 2016, la difesa del ricorrente rilevava la mancata allegazione all’avviso di fissazione dell’udienza calendata per il 14 luglio 2016 del decreto con il quale erano stati abbrevia`ki termini di comparizione ai sensi dell’art. 169 disp. Att. cod. proc. pen. chiedendo che venisse quindi dichiarata la nullità dell’avviso per la mancata osservanza del termine a comparire fissato in giorni trenta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va prioritariamente esaminata la questione prospettata dalla difesa con la memoria difensiva circa la mancata osservanza del termine a comparire previsto per il giudizio di legittimità in giorni trenta ai sensi dell’art. 610 comma 5 cod. proc. pen. Sostiene il difensore che la mancata allegazione del decreto di abbreviazione dei termini di cui all’art. 169 Disp. Att. Cod. proc. pen. (del quale è cenno nell’avviso di fissazione dell’udienza pubblica) comporta la nullità dell’avviso e conseguentemente la necessità di una nuova fissazione dell’udienza nel rispetto dei termini di legge.
2. La questione sollevata dalla difesa non è fondata. Dispone il comma 1 dell’art. 169 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale che “Nei casi di urgenza, le parti possono chiedere la riduzione dei termini stabiliti per il giudizio di cassazione. Il presidente, se accoglie la richiesta, dispone con decreto la riduzione dei termini in misura non superiore a un terzo. Del provvedimento di riduzione è fatta menzione negli avvisi.” Nessuna menzione contiene la norma circa un obbligo di allegazione del decreto di abbreviazione dei termini, essendo solo prevista la menzione del provvedimento negli avvisi. Va, altresì, chiarito che la riduzione dei termini di comparizione disposta ai sensi della norma processuale citata è atto discrezionale del Presidente sulla base di quanto richiesto da una delle parti (v. in tal sens , Sez. 5^ 10.9.2003 n. 39736, Casini, Rv. 226660 e, più di recente, Sez. 5^ 8.11.2007 n. 8260, Pirro, Rv. 241748) e che, essendo stata fatta espressa menzione nell’avviso di tale provvedimento di riduzione, l’avviso stesso deve ritenersi del tutto legittimo, anche perché non si rinviene nelle disposizioni codicistiche alcuna norma che sanziona con la nullità la mancata allegazione del decreto. Peraltro la menzione del decreto di abbreviazione dei termini serve per consentire alle parti, laddove lo ritengano necessario, di verificare che la procedura di abbreviazione dei termini di comparizione sia stata correttamente seguita, in quanto rientra certamente nel novero delle nullità di ordine generale, la mancata osservanza del termine, nella specie, però, non verificatasi. Può quindi affermarsi il principio di diritto secondo il quale non è previsto in tema di adozione del decreto di abbreviazione dei termini ex art. 169 Disp. Att. Cod. proc. pen. alcun onere di allegazione del detto provvedimento all’avviso di fissazione dell’udienza da notificarsi alle parti, essendo sufficiente la mera indicazione nell’avviso della esistenza del decreto presidenziale.
3. Risolta nei termini che precedono la questione preliminare, e tornando all’esame del motivo di ricorso, questo è fondato nei limiti e con le precisazioni che seguono.
3.1 II motivo di ricorso ha ad oggetto esclusivamente la statuizione relativa alla durata delle pene temporanee di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12.. Tale tema investe la durata della pena accessoria nelle ipotesi in cui sia prevista normativamente l’irrogazione della misura con riferimento ad un minimo e ad un massimo e costituisce, ancora oggi, questione controversa nonostante l’intervento chiarificatore delle S.U. con la sentenza 27.11.2014 n. 6240, B., Rv. 262328 secondo cui “sono riconducibili al novero delle pene accessorie la cui durata non è espressamente determinata dalla legge penale quelle per le quali sia previsto un minimo e un massimo edittale ovvero uno soltanto dei suddetti limiti, con la conseguenza che la loro durata deve essere dal giudice uniformata, ai sensi dell’art. 37 cod. pen., a quella della pena principale inflitta”.
3.2 Con specifico riferimento – per quanto qui rileva – alla disciplina prevista per i reati tributari, occorre ricordare che l’art. 12 del D. Lgs.vo 74/00 prevede – fatta eccezione per la pena accessoria dell’interdizione dall’ufficio di componente delle commissioni tributarie – che tutte le altre pene accessorie possono essere irrogate entro una fascia compresa fra un minimo ed un massimo. Si tratta, quindi, di stabilire se in evenienze del genere la pena accessoria debba essere determinata dal giudice con riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. ovvero se possa trovare applicazione il principio dell’uniformità temporale tra pena accessoria e pena principale di cui all’art. 37 cod. pen, in forza del quale il principio della parità temporale opera soltanto qualora la durata non sia stata dalla legge espressamente determinata. Quanto al significato da attribuire all’anzidetta espressione, si tratta di vedere se l’art. 37 trovi applicazione anche per quelle pene accessorie per la quali la legge contempla un minimo ed un massimo: ciò in quanto la norma in esame trova applicazione solo quando la durata non è espressamente predeterminata.
3.3 Recita infatti l’art. 37 sopra citato “Quando la legge stabilisce che la condanna importa una pena accessoria temporanea, e la durata di questa non è espressamente determinata, la pena accessoria ha una durata eguale a quella della pena principale inflitta, o che dovrebbe scontarsi, nel caso di conversione, per insolvibilità del condannato [136]. Tuttavia, in nessun caso essa può oltrepassare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria [79, 139, 140]”.
3.4 Secondo un primo orientamento, con riferimento alle pene accessorie temporanee di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12, si è sostenuto che agli effetti dell’art. 37 cod. pen., per pena accessoria di durata espressamente determinata dalla legge va intesa anche quella per la quale la legge contempli un minimo ed un massimo spettando in tali casi al giudice, nell’ambito di tale intervallo temporale, stabilirne la concreta durata ricorrendo ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (così Sez. 3^ 17.4.2008 n. 25229, Ravara, Rv. 240256; idem 15.10.2008 n. 42889, P.G. in proc. Di Vincenzo, Rv. 241538; Sez. F. 1.8.2013 n. 35729, Agrama e altri, Rv. 256581; Sez. 3^ 11.5.2016 n. 35855, Scrollini, non massimata).
3.5 Secondo un diverso ed opposto indirizzo, rientra nella nozione di pena accessoria non espressamente determinata dalla legge quella per la quale è previsto un minimo ed un massimo (anche quando tali limiti vengano indicati con espressioni quali “non inferiore a” ovvero “non superiore a” come ricorda le menzionata sentenza delle S.U. n. 6240/14), sicché, in tali casi, la durata della pena accessoria va parametrata dal giudice a quella della pena principale inflitta (così, sempre in una fattispecie relativa alle pene accessorie previste per i reati tributari dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12, Sez. 3^ 9.10.2008 n. 41874, Azzani e altro, Rv. 241410; Sez. 5^ 3.12.2013 n. 2935, Monteleone, Rv. 257940; sez. 5^ 18.10.2013 n. 51526, Bonalumi, Rv. 258666). Viene in rilievo, in tal senso, la considerazione che l’art. 37 cod. pen. detta un criterio generale di applicazione delle pene accessorie, la cui durata – qualora essa “non è espressamente determinata” – è legata a quella della pena principale inflitta: il carattere generale della disciplina in esame troverebbe, peraltro, una ulteriore conferma nella regola sussidiaria stabilita dal secondo periodo dello stesso art. 37 cod. pen., in forza della quale la durata della pena accessoria in nessun caso può superare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di essa. Secondo tale indirizzo la disciplina in esame, oltre a trovare applicazione in quei casi in cui la pena accessoria sia comminata attraverso la previsione di un limite minimo “o” di un limite massimo di durata (come avviene ad esempio, a proposito del reato di bancarotta semplice ex art. 217 L. Fall. v. Sez. 5^ 16.2.2012 n. 23606 Ciampini, Rv. 252960), varrebbe anche nel caso in cui la previsione legale relativa alla pena accessoria stabilisca sia il minimo, sia il massimo di durata della pena accessoria attraverso la congiuntiva “e”. L’espresso riferimento della regola sussidiaria delineata dal secondo periodo dell’art. 37 cod. pen. al limite minimo “e” al limite massimo infatti “consente di rinvenire nel dato normativo una conferma alla tesi dell’applicabilità del criterio generale dell’equiparazione cronologica tra la durata della pena principale e quella della pena accessoria anche all’ipotesi qui in esame” (Sez. 5^ 3.12.2013 n. 2935, cit.).
3.6 Secondo l’orientamento testè citato, un argomento ulteriore a sostegno della tesi della applicabilità tout court dell’art. 37 cod. pen. andrebbe individuato nel fatto che l’interpretazione contraria “comporterebbe una rilevante contrazione della sfera applicativa dell’art. 37 cod. pen., che verrebbe sostanzialmente limitata alle ipotesi di pene accessorie disciplinate in assenza di qualsiasi limite edittale nel minimo o nel massimo”, non mancando di osservare che la disciplina delle pene accessorie temporanee dettata dal D.Lgs. sopra menzionato non sembra presentare, rispetto alla comminatoria edittale delle pene principali cui accede, profili tali da ipotizzare una incompatibilità della legge speciale con la regola generale stabilita dall’art. 37 cod. pen.. Da qui l’affermazione conclusiva secondo cui le pene accessorie temporanee di cui all’art. 12 del D.Lgs. 74/2000 devono ritenersi non espressamente determinate, quanto alla durata, dalla legge, con conseguente applicazione dell’art. 37 cod. pen..
4. Così riepilogati i termini della questione, reputa il Collegio di doversi discostare dal secondo indirizzo interpretativo sulla base anche di un argomento testuale rappresentato dalla particolare formulazione delle lett. a), b) e c) del comma 10 dell’art. 12 D. Lgs. 74/00 che deve essere letta alla luce del disposto di cui all’art. 37 seconda parte del codice penale a tenore del quale la durata della pena accessoria non può in alcun caso oltrepassare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria.
4.1 Ne consegue infatti che – ferma restando l’indicazione di un limite edittale minimo (sei mesi per quanto riguarda la pena accessoria di cui alla lett. a) del menzionato art. 12; un anno per quanto riguarda le residue ipotesi di cui alle lettere b) e c) del comma 10 dell’art. 12) e di un limite edittale massimo (non superiore a tre anni nei casi di cui alle lettere a) e b) e non superiore a cinque anni nel caso di cui alla lettera c) – in ogni caso si tratta di limite prefissato dal legislatore. L’uso di espressioni come “non inferiore a” e/o “non superiore a” sta solo a significare che il legislatore anziché indicare un limite edittale numericamente fissato, usa termini sostanzialmente equivalenti. Non si vede, infatti, quale differenza possa correre tra termine minimo riferito ad un anno e termine minimo individuato tramite la frase “non inferiore ad un anno” ( espressioni equivalenti). Se così è appare evidente la volontà del legislatore, ancorata a finalità di tipo special-preventivo e special-repressivo collegate alla specificità di determinati reati, di stabilire un limite invalicabile di durata della pena accessoria che preclude la possibilità di operare una modulazione di detta pena parametrata sulla durata della pena principale: ciò perché l’art. 37 cod. pen., per un verso, richiama il giudice al dovere di rapportare la durata della pena accessoria alla durata della pena principale nel caso di indeterminatezza della durata della pena accessoria e, per altro verso, stabilisce un limite invalicabile in relazione a quelli di volta in volta indicatd: da una norma speciale che prevede l’applicazione di pene accessorie.
4.2 Né pare condivisibile il ragionamento circa la superfluità della precisazione contenuta nella seconda parte dell’art. 37 cod. pen., in quanto tale norma – che correttamente viene indicata come “norma di chiusura” nel sistema del computo della durata delle pene accessorie – va intesa nella sua seconda parte come rafforzativa del concetto che esistono limiti invalicabili (soprattutto con riferimento al minimo) previsti da singole disposizioni specifiche che si pongono quindi in rapporto di specialità rispetto alla disposizione codicistica generale.
4.3 Ed ancora, non si vede anche dal punto di vista semantico in cosa differisca l’espressione “non inferiore a” dalla preposizione “da” con la quale solitamente il legislatore usa indicare la pena edittale per il singolo reato, trattandosi di espressioni – come già segnalato – del tutto equivalenti. Ammettere, infatti, una differenza di significato si ridurrebbe ad operazione di puro sofismo o di mera esercitazione linguistica.
4.4 Proprio perché norma di chiusura, l’art. 37 citato può trovare applicazione solo quando non esistono norme che prevedano limiti diversi predeterminati per legge. E non può dubitarsi del fatto che l’espressione “non inferiore a” stia a significare l’indicazione di un limite edittale predeterminato ed invalicabile.
5. Sulla base di tali considerazioni deve allora ritenersi fondato il ricorso limitatamente alla durata della pena accessoria di cui alla lettera a) dell’art. 12 D. Lgs.vo 74/00, in quanto il limite minimo invalicabile è fissato in mesi sei, con possibilità per il giudice di applicare una durata diversa compresa entro la forbice edittale massima dei tre anni. Ne consegue che in questo residuo caso, essendo stata irrogata una pena principale pari a mesi otto, a questa deve essere rapportata anche la durata della pena accessoria prevista dalla lettera a) del ricordato art. 12.
5.1 Viceversa per le ipotesi di cui alle lettere b) e c) per le quali la durata minima è prevista in anno uno è del tutto inammissibile che possa trovare applicazione il disposto di cui all’art. 37 cod. pen. che equivarrebbe, oltretutto, a fissare la durata della pena accessoria in modo illegale proprio perché inferiore al limite minimo. Invero quando la pena accessoria risulta determinata nel minimo e nel massimo, la fissazione di un intervallo editale non può che ricondursi al concetto di “durata espressamente determinata dalla legge”, per cui deve essere il giudice nell’ambito dell’intervallo temporale a stabilire la concreta durata, trovando invece applicazione il disposto dell’art. 37 soltanto quando la legge non indichi né una misura fissa né un minimo ed un massimo.
6. La sentenza impugnata va quindi annullata senza rinvio limitatamente alla durata della pena accessoria temporanea di cui all’art. 12 comma 1 lett. a) del D. Lgs. 74/00 da determinarsi in mesi otto al pari della durata della pena principale. Nel resto il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla durata della pena accessoria temporanea di cui all’art. 12 comma 1 lett. a) del D. Lgs. 74/00 che determina in mesi otto. Rigetta, nel resto, il ricorso.
Così deciso in Roma il 14 luglio 2016
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