CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, – Sentenza 04 settembre 2017, n. 39882
Omesse ritenute previdenziali – Reato penale – Soglia di punibilità di 10.000 euro – Connessione con il periodo temporale dell’anno – Intervenuta prescrizione di alcune mensilità
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 24/1/2017, la Corte di appello di Catania confermava la pronuncia emessa I’11/9/2015 dal Tribunale di Ragusa, con la quale G.T. era stata giudicata colpevole del delitto di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 2, comma 1 -bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla I. 11 novembre 1983, n. 638, e condannata alla pena di due mesi di reclusione e 300,00 euro di multa; alla stessa – nella qualità di legale rappresentante di due distinte ditte – era contestato di non aver versato le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti nell’anno 2009, per un importo complessivo di circa 11.200,00 euro.
2. Propone ricorso per cassazione la T., a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
– violazione degli artt. 157, 160, 161 cod. pen., 129 cod. proc. pen.
La Corte di appello non si sarebbe avveduta della maturata prescrizione di numerose delle condotte ascritte, contestate in continuazione, quantomeno con riguardo alle mensilità da gennaio a marzo 2009 (e fino a comprendere anche quelle di aprile e maggio dello stesso anno, qualora si applichi la sospensione del termine ai sensi del solo art. 2, comma 1-quater, d.l. citato); ne deriverebbe la violazione delle norme contestate;
– violazione dell’art. 129 cod. proc. pen., con riguardo all’art. 3, comma 6, d. Igs. 15 gennaio 2016, n. 8.
Qualora la Corte di merito avesse accertato quanto precede, avrebbe altresì constatato che – in ordine alle mensilità residue, non colpite da prescrizione – non era più raggiunta la soglia di punibilità di 10.000 euro annui, di cui al d. Igs. n. 8/2016; con ogni conseguenza in termini di proscioglimento;
– violazione dell’art. 131-bis cod. pen.; vizio motivazionale. La sentenza avrebbe negato la causa di non punibilità per particolare tenuità con argomento carente e contraddittorio; in particolare, e premessa la pacifica applicazione dell’istituto anche a condotte per le quali sia prevista una soglia di punibilità, il Collegio avrebbe omesso la doverosa verifica degli elementi di cui all’art. 133, comma 1, cod. pen., valorizzando peraltro un precedente specifico – neppure citato – la cui rilevanza sarebbe stata già esclusa dal primo Giudice.
Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza.
Considerato in diritto
4. Il ricorso risulta fondato limitatamente alla prima doglianza.
Con riguardo, infatti, all’eccepita prescrizione del reato – per talune mensilità – già alla data della pronuncia di appello, osserva la Corte che, in effetti, le omissioni relative al periodo gennaio-marzo 2009 erano già estinte al 24/1/2017; ed invero, individuato il dies a quo nel giorno 16 del mese successivo a quello di riferimento, applicata la sospensione trimestrale della prescrizione di cui all’art. 2, comma 1-quater della legge citata, nonché quella ordinaria ex art. 159 cod. pen., il termine prescrizionale per le mensilità citate è spirato tra il 16 novembre 2016 ed il 16 gennaio 2017. In epoca anteriore, quindi, alla pubblicazione della sentenza di secondo grado.
5. La fondatezza della prima doglianza, dunque, comporta ex se che il gravame non possa esser ritenuto inammissibile, sì da doversi dichiarare l’intervenuta estinzione per prescrizione anche di ulteriori mensilità oggetto di rubrica, fino a quella di ottobre 2009 compreso; ed invero, applicando i termini di calcolo appena richiamati, la fattispecie di reato relativa a tale ultimo periodo si è estinta il 16/8/2017.
Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza senza rinvio – quanto alle omissioni relative alle mensilità da gennaio ad ottobre 2009 compresi – per esser tali episodi estinti per prescrizione.
6. Residua, dunque, la sola mensilità di novembre 2009.
Al riguardo, occorre innanzitutto rilevare l’infondatezza della seconda censura di cui al ricorso, in punto di irrilevanza penale del fatto.
Questa Corte, infatti, ha già affermato – con indirizzo condiviso dal Collegio e qui da ribadire – che, con l’introduzione della soglia di 10.000 euro annui, di cui al d. Igs. n. 8 del 2016, il legislatore non si è limitato semplicemente ad introdurre un limite di “non punibilità” delle condotte lasciando inalterato, per il resto, l’assetto della precedente figura normativa (che, come noto, nessun limite prevedeva), ma ha configurato tale superamento, strettamente collegato al periodo temporale dell’anno, quale vero e proprio elemento caratterizzante il disvalore di offensività che viene a segnare, tra l’altro, il momento consumativo dello stesso; in altri termini, il reato deve ritenersi già perfezionato, in prima battuta, nel momento e nel mese in cui l’importo non versato, calcolato a decorrere dalla mensilità di gennaio dell’anno considerato, superi l’importo di 10.000 euro senza che, peraltro, attesa, come si è detto, la necessaria connessione con il periodo temporale dell’anno, le ulteriori omissioni che seguano nei mesi successivi dello stesso anno sino al mese finale di dicembre possano “aprire” un nuovo periodo e, dunque, dare luogo, in caso di secondo superamento, ad un ulteriore reato.
Tali omissioni, infatti, contribuiscono ad accentuare la lesione inferta al bene giuridico per effetto del già verificatosi superamento dell’importo di legge sicché, da un lato, non possono semplicemente atteggiarsi quale post factum penalmente irrilevante e, dall’altro, approfondendo il disvalore già emerso, non possono segnare, in corrispondenza di ogni ulteriore mensilità non versata, un ulteriore autonomo momento di disvalore (che sarebbe infatti assorbito da quello già in essere). Ricorre, in realtà dunque, a ben vedere, alla stessa stregua di altre figure criminose (come, ad esempio, le fattispecie di corruzione o di usura : cfr. rispettivamente, per la prima, Sez. 6, n. 49226 del 25/09/2014, Chisso, Rv.261352; per la seconda, da ultimo, Sez, 2, n. 40380 del 11/06/2015, P.G., Tiesi in proc. Cardamone, Rv.264887), una fattispecie caratterizzata dalla progressione criminosa nel cui ambito, una volta superato il limite di legge, le ulteriori omissioni nel corso del medesimo anno si atteggiano a momenti esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata la cui definitiva cessazione viene a coincidere con la scadenza prevista dalla legge per il versamento dell’ultima mensilità, ovvero, come noto, con il termine del 16 del mese di gennaio dell’anno successivo.
Quanto sopra comporta dunque che, rispetto alla precedente figura di reato, il momento consumativo sia evidentemente diverso: mentre nel precedente assetto normativo il reato si consumava in corrispondenza di ogni omesso versamento mensile (cfr., da ultimo, Sez.3, n. 26732 del 05/03/2015, P.G. in proc. Bongiorno, Rv. 264031), nell’attuale e nuovo la consumazione appare coincidere, secondo una triplice diversa alternativa, o con il superamento, a partire dal mese di gennaio, dell’importo di euro 10.000 ove allo stesso non faccia più seguito alcuna ulteriore omissione, o con l’ulteriore o le ulteriori omissioni successive sempre riferite al medesimo anno ovvero, definitivamente e comunque, laddove anche il versamento del mese di dicembre sia omesso, con la data del 16 gennaio dell’anno successivo. La struttura del “nuovo” reato come tratteggiata sopra, impone inoltre di tenere conto, al fine dell’individuazione o meno del superamento del limite di legge di 10.000 euro, di tutte le omissioni verificatesi nel medesimo anno e, dunque, nella specie, anche di quelle eventualmente estinte per prescrizione: del resto, la mera declaratoria di estinzione del reato per ragioni connesse al decorso del tempo non può significare elisione della materiale sussistenza del fatto di omesso versamento (per tutte, Sez. 3, n. 37232 dell’11/5/2016, Lanzoni, Rv. 268308; Sez. 3, n. 649 del 20/10/2016, Messina, Rv. 268813).
Dal che, l’infondatezza della seconda doglianza.
8. Con riguardo alla stessa mensilità di novembre 2009, peraltro, ritiene questa Corte di poter direttamente provvedere alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio, a tal fine richiamando l’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., per come novellato dalla I. 23 giugno 2017, n. 103; ed a mente del quale, la Corte di cassazione pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene di poter decidere, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, o di rideterminare la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito o di adottare i provvedimenti necessari, e in ogni altro caso in cui ritiene superfluo il rinvio. Orbene, in forza di questo principio, e valutata la gravità della residua omissione secondo i parametri dell’art. 133 cod. pen., si stima congrua la pena di 15 giorni di reclusione e 50,00 euro di multa, condizionalmente sospesa come già disposto in sede di merito.
7. Da ultimo, la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.; orbene, anche sul punto ritiene la Corte che la questione sia infondata.
La sentenza impugnata, infatti, con motivazione del tutto congrua e non suscettibile di censura, ha negato l’applicazione dell’istituto in ragione dell’ammontare dell’importo complessivo evaso (pari al 12.3% della soglia fissata dal d. Igs. n. 8/2016), ritenendo che lo stesso non potesse esser qualificato come “irrisorio”, quindi di particolare tenuità; quel che, peraltro, emerge anche dal numero delle mensilità oggetto di omissione, e dall’esser queste riferite a due distinti soggetti giuridici. Con piena applicazione, dunque, dei criteri di cui all’art. 133, comma 1, cod. pen., tali da render priva di fondamento la censura qui proposta.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente agli episodi consumati sino ad ottobre 2009 e ridetermina la pena per il residuo episodio di novembre 2009 in giorni 15 di reclusione e 50,00 euro di multa.
Rigetta nel resto il ricorso.
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