CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 giugno 2017, n. 30643
Versamento delle ritenute sulle retribuzioni dei dipendenti – Omissione – Reato ex art. 10-bis, D.Lgs. n. 74/2000 – Elemento soggettivo – Accertamento
Ritenuto in fatto
1. – Con sentenza dell’11 marzo 2015, la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 15 novembre 2013, con la quale l’imputato era stato condannato, con la quale l’imputato era stato condannato, per il reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere, quale legale rappresentante di una società, omesso di versare entro il termine di legge le ritenute operate sulle retribuzioni dei dipendenti e risultanti dalle certificazioni a loro rilasciate quale sostituto di imposta, per euro 356.729,00, per l’anno di imposta 2006 (il 30 settembre 2007).
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo, con un primo motivo di doglianza, l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice, sul rilievo che il controllo espletato dall’Agenzia delle entrate avrebbe riguardato esclusivamente la dichiarazione modello 770 presentata dal sostituto d’imposta e non anche le certificazioni rilasciata ai lavoratori (CUD). Non vi sarebbe, del resto, prova in atti del rilascio di tali certificazioni annuale.
Si deduce, in secondo luogo, la manifesta illogicità della motivazione, sul rilievo che la Corte territoriale avrebbe desunto l’avvenuto rilascio dei CUD ai lavoratori dal pagamento delle retribuzioni; elemento di per sé insufficiente a tal fine.
Con un terza censura, si denunciano vizi della motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato, quanto alla valutazione della crisi di impresa, non avendo i giudici di merito considerato che nell’atto di appello si era affermato che l’imputato «preferì pagare per intero le retribuzioni ai dipendenti, talvolta anche ratealmente, in modo da poter continuare la produzione, anziché pagare parzialmente i dipendenti ed accantonare i contributi».
Considerato in diritto
3. – Il ricorso è inammissibile.
3.1. – I primi due motivi – che possono essere trattati congiuntamente, perché attengono entrambi alla prova del rilascio delle certificazioni ai lavoratori – sono manifestamente infondati.
Premesso che alla fattispecie è applicabile, ex art. 2 cod. pen., il testo della disposizione incriminatrice previgente rispetto a quello introdotto dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, in quanto tale ultima formulazione non risulta più favorevole all’imputato, la difesa richiama, a sostegno dei suoi assunti, l’orientamento giurisprudenziale inaugurato dalla sentenza Cass., sez. 3, 8 aprile 2014, n. 40526, rv. 260090, secondo cui, nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la prova dell’elemento costitutivo rappresentato dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate, il cui onere incombe all’accusa, non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro, perché tale dichiarazione avrebbe una valenza meramente indiziaria. Tale orientamento si riferisce, però, evidentemente a modulistiche 770 nelle quali non vi sia un diretto richiamo all’avvenuto rilascio delle certificazioni ai lavoratori sostituiti.
Nel caso di specie – come chiarito dalla Corte d’appello con valutazione di fatto non contestata né contestabile in questa sede – il modello 770 contiene, invece, un espresso riferimento ai dati relativi alle certificazioni rilasciate ai soggetti cui erano stati corrisposti redditi di lavoro dipendente, equiparati e assimilati. Di talché il modello in questione non può essere considerato come un mero indizio del rilascio delle certificazioni, perché con la presentazione dello stesso il soggetto obbligato ha dichiarato di aver effettivamente rilasciato tali certificazioni. Facendo applicazione di tali principi, correttamente la Corte d’appello ha affermato, quanto al caso in esame, che, a fronte dell’inequivoco tenore del modello 770, non vi sono elementi di senso contrario, non avendo l’imputato neppure dedotto, ancor prima che provato, alcun fatto o alcuna circostanza che fosse indicativa di una realtà effettiva contraria a quanto formalmente risultante dalla dichiarazione inviata all’Agenzia delle entrate. E, anzi, secondo la corretta valutazione della Corte distrettuale vi è un ulteriore elementi indiziario a sostegno dell’avvenuto rilascio delle certificazioni, rappresentato dalla stessa linea difensiva dell’imputato, il quale ha affermato di avere pagato per intero le retribuzioni, seppure con difficoltà.
3.2. – Del tutto generico è il terzo motivo di doglianza, relativo a una pretesa situazione di dissesto economico della società, tale da escludere, quanto meno, l’elemento del dolo. Come ricordato dalla Corte d’appello nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la colpevolezza del sostituto di imposta non è esclusa dalla crisi di liquidità intervenuta al momento della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa all’esercizio precedente, a meno che l’imputato non dimostri che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse, inoltre, non possano essere altrimenti fronteggiate con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale (ex plurimis, Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Rv. 259190; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Rv. 258055). E, nel caso di specie, il ricorrente non solo non ha dimostrato, ma neanche ha prospettato la sussistenza di tali condizioni.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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