CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 10509 depositata il 3 marzo 2017
Modello 770 – Ritenute – Omissione versamento – Dichiarazione – Certificazione attestante le ritenute-
Massima:
Presupposto In materia di reato per omesso versamento di ritenute dovute o certificate, di cui all’art. 10 bis del Decreto Legislativo n. 74/2000, vale ai fini probatori la dichiarazione del modello 770 a seguito dell’intervenuta modifica dell’art. 10 bis citato ad opera dell’art. 7, comma 1, let. b) del Decreto Legislativo n. 158/2015, entrato in vigore il 22 ottobre 2015, che ha inserito nella tipizzazione del reato la lettera “o”: ” ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti”. Nel caso di specie, pertanto, non è sufficiente l’invio del modello 770 a comprovare l’omissione dei versamenti d’imposta, ma è necessaria anche la consegna ai lavoratori delle certificazioni attestanti le ritenute a loro effettuate.
Testo:
RITENUTO IN FATTO
1. P. O. ha proposto ricorso nei confronti della sentenza della Corte d’appello di Cagliari in epigrafe che, revocata la confisca disposta in primo grado, ha per il resto confermato la sentenza del Tribunale di Cagliari di condanna per il reato di cui all’art.10 bis del d.lgs. n. 74 del 2000 in relazione all’omesso versamento, quale legale rappresentante della nuova S. s.r.l., di ritenute per euro 333.278,00 per l’anno 2007.
2. Con un primo motivo lamenta la violazione dell’art. 10 bis cit. nonché insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in relazione alla sussistenza dell’ elemento costitutivo del reato. Dopo avere richiamato l’orientamento della Corte di cassazione che, anteriormente alla novellazione dell’art. 10 bisintervenuta nel 2015, aveva considerato insufficiente ai fini della prova la mera dichiarazione modello 770 essendo invece necessario il rilascio delle certificazioni attestanti le ritenute operate, lamenta che la sentenza impugnata ha valorizzato una serie di circostanze che invece nulla dimostrerebbero circa la commissione del reato, ovvero l’esistenza del modello 770, in ragione di quanto appena esposto, le dichiarazioni del teste del P.M., che nulla ha riferito in ordine al materiale rilascio delle certificazioni, e le dichiarazioni della commercialista Ruju, che, in realtà, non ha affatto dichiarato che per quanto concernente gli stipendi era tutto in regola; né possono certo essere considerate idonee supposizioni o illazioni contenute nel provvedimento impugnato : in particolare nega che la questione relativa alla mancanza di prova del rilascio delle certificazioni sia stata sollevata soltanto con l’appello come evincibile nel verbale d’udienza in primo grado del 10/02/2015.
3. Con un secondo motivo lamenta il difetto di motivazione relativamente alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in particolare deducendo che il giudice dell’appello non ha analiticamente esaminato i documenti dimostrativi della situazione di illiquidità in cui versava la società anche a causa del rilevantissimo impegno finanziario dell’azienda, anche nei rapporti con l’Agenzia delle entrate; né l’eventuale liquidazione dell’immobile di proprietà per un valore stimato di euro 20.000 avrebbe risolto, come invece ritenuto dalla sentenza, i problemi di liquidità in oggetto; e neppure un mutuo sarebbe stato concesso a fronte dell’indebitamento in cui la società versava.
4. Con un terzo motivo lamenta la insufficiente e illogica motivazione sempre in relazione alla prova della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato giacché nel periodo di imposta 2007 l’imputato non rivestiva la carica di amministratore della nuova S. s.r.l. né altra carica sociale.
5. Con un quarto motivo, infine, deduce la insufficiente e illogica motivazione in relazione al mancato accoglimento della richiesta di revoca del sequestro preventivo avendo la sentenza disposto la revoca della confisca ma nulla disponendo in ordine a tale richiesta pur a fronte della produzione documentale che dimostrava il pagamento quasi integrale dell’intera imposta di cui in imputazione.
Fa infine rilevare la intervenuta decorrenza in data 10/07/2008 del termine massimo di prescrizione stabilito dalla legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
6. Il primo motivo di ricorso è fondato. Va precisato che, nella vigenza del testo dell’art. 10 bis cit. anteriore alle modifiche attuate per effetto del d. Igs. n. 158 del 2015, si erano formati, nella giurisprudenza di questa Corte quanto, in particolare, alla prova dell’elemento costitutivo del reato di cui all’art. 10 bis rappresentato dall’avvenuto rilascio della certificazione delle ritenute operate, due diversi indirizzi: secondo un primo orientamento, infatti, si era ritenuto che la prova del rilascio delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, potesse essere fornita dal pubblico ministero anche soltanto mediante prove documentali, testimoniali o indiziarie e, in particolare, mediante la dichiarazione fiscale acquisita agli atti (il cosiddetto mod. 770), ovvero la testimonianza del funzionario erariale sul contenuto della dichiarazione stessa (tra le altre, Sez. 3, n. 20778 del 06/03/2014, dep. 22/05/2014, Leucci, Rv. 259182; Sez. 3, n. 33187 del 12/06/2013, dep. 31/07/2013, Buzi, Rv. 256429; Sez. 3, n. 1443 del 15/11/2012, dep. 11/01/2013, Salmistrano, Rv. 254152).
Secondo altro indirizzo, invece, poiché la condotta penalmente rilevante non è appunto l’omesso versamento delle ritenute nel termine previsto dalla normativa tributaria, ma il mancato versamento delle ritenute certificate nel maggiore termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al periodo di imposta dell’anno precedente, si è affermato essere necessaria la prova che il sostituto abbia rilasciato ai sostituiti la certificazione (o le certificazioni) da cui risultino le ritenute il cui versamento è stato poi omesso, essendo dunque il reato ravvisabile solo in seguito al materiale rilascio della certificazione, mentre alcun illecito penale può sussistere se il soggetto che ha effettuato le ritenute non le abbia poi versate al fisco e non abbia rilasciato ai sostituiti la relativa certificazione, ovvero l’abbia rilasciata in ritardo.
Dunque, si è aggiunto, la presentazione del modello 770 può costituire al più un mero indizio dell’avvenuto versamento delle retribuzioni e della effettuazione delle ritenute, in quanto con tale modello il datore di lavoro dichiara di averle appunto effettuate, ma non può costituire elemento di prova dell’avvenuto rilascio delle certificazioni ai sostituiti prima del termine previsto per presentare la dichiarazione, “dal momento che tale modello non contiene anche la dichiarazione di avere tempestivamente emesso le certificazioni”.
Di qui, conclusivamente, l’affermazione del principio secondo cui la prova dell’elemento costitutivo rappresentato dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate, il cui onere incombe all’accusa, non può appunto essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro o dalle dichiarazioni testimoniali aventi ad oggetto tale circostanza (tra le altre, Sez. 3, n. 6203 del 29/10/2014, Rispoli, Rv. 262365; Sez. 3, n. 11335 del 15/10/2014, Pareto, Rv. 262855; Sez. 3, n. 40526 del 08/04/2014, Gagliardi, Rv. 260090).
7. Intervenuta, ad opera dell’art.7, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 158 del 2015, la modifica dell’art. 10 bis cit. nel senso che il reato corrispondente è oggi configurabile laddove non si versino “entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti”, questa Corte ha affermato ormai in più occasioni, che se il legislatore ha inteso, come pare indiscutibile, con detta formulazione, in particolare laddove ha inserito la dichiarazione annuale di sostituto accanto alla certificazione rilasciata ai sostituiti, estendere la tipicità del reato anche alle ipotesi di omesso versamento di ritenute dovute sulla base della dichiarazione mod. 770, deve ritenersi che non soltanto la precedente formulazione racchiudesse nel proprio perimetro di tipicità soltanto l’omesso versamento di ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, ma richiedesse anche, sotto il profilo probatorio, la necessità di una prova del rilascio della certificazione ai sostituiti; il criterio logico dell’argumentum a contrario, desunto dalla novella che ha esteso la rilevanza normativa all’omesso versamento di ritenute dovute sulla base anche della dichiarazione, infatti, impone di escludere dalla portata applicativa della norma quanto non vi era espressamente compreso in precedenza (tra le altre, sulla scia di Sez. 3, n. 10104 del 07/01/2016, dep. 11/03/2016, Grazzini, Rv. 266301, Sez. 3, n. 41468 del 30/03/2016, dep. 04/10/2016, Pappalardo, non massimata; Sez. 3, n. 48302 del 20/09/2016, dep. 14/10/2016, Donetti, non massimata; Sez. 7, n. 53249 del 23/09/2016, dep. 13/12/2016, D’Ambrosi, non massimata; Sez. 3, n. 51417 del 29/11/2016, dep. 02/12/2016, Fontanella, non massimata).
Di qui dunque la riconosciuta validità, da parte dello stesso legislatore, del secondo dei due indirizzi sopra ricordati, senza che a diverse conclusioni possa, evidentemente, giungersi per il solo fatto che, nella relazione illustrativa al d. Igs. n. 158 del 2015 si sia affermato che la modifica ha “chiarito” la portata del precedente modello legale della fattispecie incriminatrice, stante, a fronte comunque dell’oggettivo precipitato della norma così come positivizzata, la equivocità di una simile locuzione.
Allo stesso tempo, poi, la portata innovativa della novella non può avere efficacia retroattiva quanto alle condotte, come quella di specie, poste in essere in precedenza attesa la portata estensiva dell’area di incriminazione operata con la menzionata modifica.
8. Ciò posto, nella specie, la Corte territoriale, pur avendo preso atto, in particolare a pag. 23, della incidenza che la modifica normativa appena ricordata è venuta ad assumere sul piano dell’interpretazione del testo previgente nel senso di avvalorare il più restrittivo indirizzo che conduceva a ritenere inidonea la dichiarazione mod. 770 a provare il rilascio delle certificazioni, pare avere, poi, nella sostanza, valorizzato essenzialmente, ai fini della conferma della sentenza di condanna, ancora una volta, la sola dichiarazione medesima se è vero che, da un lato, le dichiarazioni della commercialista della società richiamate dai giudici hanno avuto semplicemente ad oggetto il fatto che “tutto era in regola per quanto atteneva agli stipendi” (v. pag. 25), e che, dall’altro, i tabulati prodotti dalla difesa, anch’essi richiamati dalla sentenza impugnata, hanno riguardato l’elenco degli stupendi pagati, delle ritenute e delle singole modalità di pagamento, nulla specificamente dicendosi (neppure in relazione alle dichiarazioni testimoniali del funzionario dell’Agenzia delle entrate Floris richiamate a pag. 2) quanto al punto decisivo del rilascio delle certificazioni.
Ed anzi, l’affermazione svolta dalla sentenza secondo cui nessun interesse avrebbe avuto l’imputato a non certificare il rilascio delle ritenute (v. pag. 25) appare definitivamente illuminante della mancanza di elementi di prova diversi dalla mera dichiarazione mod. 770.
9. Né appare condivisibile il ragionamento svolto dalla Corte territoriale, evidentemente al fine di superare la lacuna appena evidenziata, in ordine al fatto che la “mancata contestazione dei fatti” da parte dell’imputato nel corso del giudizio di primo grado esonererebbe per ciò solo la Pubblica accusa dall’onere di prova e il giudice dell’appello dal relativo accertamento, tale assunto ponendosi in chiaro contrasto con la natura accusatoria del processo penale. Va invero chiarito che, una volta che, come accaduto nella specie, l’imputato lamenti con l’atto di gravame la mancanza di prova in ordine alla sussistenza di uno o più degli elementi costitutivi del reato (ovverossia, nella fattispecie in esame, appunto, la mancanza di prova circa il rilascio delle certificazioni delle ritenute, espressamente lamentata da Pisu con l’atto di appello), nessun rilievo può avere il fatto che, nel corso del giudizio di primo grado, detta mancanza di prova non sia stata espressamente contestata dall’imputato, nessuna preclusione in tal senso prevedendo le norme (se non quella derivante, evidentemente appunto, dalla mancata impugnazione del relativo punto), e non essendo, nell’ordinamento processuale penale, previsto un onere probatorio a carico dell’imputato modellato sui principi propri del processo civile (in tale ultimo senso, Sez. 5, n. 32937 del 19/05/2014, dep. 24/07/2014, Stanciu, Rv. 261657).
Permane dunque sempre e comunque in capo al giudice, pena il sostanziale ribaltamento dell’onere della prova incombente sulla Pubblica accusa, il compito di accertare la colpevolezza dell’imputato. Infatti, sia norme sovraordinate di carattere generale internazionali (specificamente art. 6.2. della Convenzione edu e art. 14 n.2 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, entrambe espressamente indicanti la necessità che la colpevolezza dell’accusato sia provata secondo legge) e interne (art. 25 Cost. in ordine alla presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva), sia norme processuali (specificamente l’art. 533 cod. proc. pen. laddove si stabilisce che il giudice pronuncia sentenza di condanna solo laddove l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio) appaiono indicative della fissazione in senso “sostanziale” a carico di chi sostenga la tesi di accusa nel processo penale di un preciso onere di prova.
10. Sicché, in definitiva, la sentenza andrebbe annullata con rinvio per nuovo esame che tenga effettivamente conto dei principi affermati da ultimo da questa Corte; sennonché deve prendersi atto della, nelle more, maturata prescrizione del reato : assunto come dies a quo quello del 30/09/2008 (per effetto della proroga operata dal d.l. n. 97 del 2008) quale termine per la presentazione del modello di dichiarazione di sostituto d’imposta nnod. 770 per l’anno 2007, e rilevata l’intervenuta sospensione di giorni ventisette per rinvio di udienza dal 13/01/2015 al 10/02/2015, il termine, pari ad anni sette e mesi sei (del tutto ininfluente essendo infatti, sia ai fini del calcolo della pena ex art. 157 cod. pen. sia ai fini della interruzione ex art. 161, comma 2, cod. pen.. la recidiva ex art. 99 cod. pen. non meglio qualificata, e dunque da ricondursi a quella del comma 1) deve ritenersi maturato in data 27/04/2016. La presa d’atto della prescrizione, di per sè impeditiva del rinvio nel merito per nuovo giudizio, impone pertanto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Così deciso il 16 dicembre 2016.
Depositata in cancelleria il 3 marzo 2017
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